Vincent van Gogh giunse a Saint-Rémy-de-Provence l’8 maggio 1889 quando, dopo il drammatico episodio di autolesionismo nel quale si recise un orecchio, oggetto dell’ostilità dei vicini che ad Arles firmarono una petizione contro di lui, si fece ricoverare volontariamente alla Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, un ospedale psichiatrico accolto all’interno di un antico convento.
La rigidità delle regole imposte ai degenti e i bagni ghiacciati adottati come cura per ogni disturbo emotivo furono per lui fonte di dolore, ma anche strumento necessario per ritrovare un equilibrio che soltanto il suo lavoro era in grado di dargli. Nei primi tempi fu terrorizzato dalle urla degli altri pazienti – Vincent scrisse poi che i dipinti di quei giorni di dolore, vanno interpretati come “grida di terrore” – ma dopo sette mesi di completa inattività, unica volta nella sua vita artistica, riprese a dipingere alacremente proprio a Saint-Paul.
Delle opere di van Gogh realizzate nei dodici mesi di permanenza al convento – duecentocinquanta tra tele e disegni – nessuna è rimasta a Saint-Rémy-de-Provence, ma quel luogo conserva tracce importanti del suo passaggio; dal 1995 malati, personale e medici del Saint-Paul hanno costituito l’associazione Valetudo che, oltre a perseguire percorsi alternativi di cura per i degenti, sviluppa e porta avanti promozione culturale di quel luogo con spazi allestiti per conservare la memoria della presenza del grande artista tra le sue mura.
Situato fuori dal centro urbano di Saint-Rémy-de-Provence, il percorso che dalla piazza del paese conduce fino ai cancelli del convento/ospedale è segnato da piccole placche rotonde di metallo brunito incastonate nel terreno, che riproducono una parte della firma di van Gogh; nello specifico il solo nome di battesimo Vincent ricavato dalla sua personale grafia, ormai universalmente riconoscibile, con cui firmava le opere. Una sorta di tracciato come quello del racconto di Pollicino, ma decisamente molto meno effimero.
L’intero tracciato è poi disseminato di cartelli con riproduzioni dei quadri di van Gogh e brevi citazioni dei suoi scritti, passi tratti dalla nota corrispondenza col fratello Théo, ma anche da quella con amici mercanti d’arte, che creano un’empatia e un effetto di ‘avvicinamento emotivo’ alla figura umana di uno degli artisti più amati – indissolubile dalla sua opera, a volte maltrattata da iniziative come il portachiavi a forma di orecchio del Museo van Gogh di Amsterdam – che danno al sentiero l’essenza di autentico pellegrinaggio.
Già edificato attorno all’anno 1000 il monastero accolse nel tempo monaci di ordini diversi, ma tutti sempre dediti alla cura degli sfortunati con problemi mentali, col soffiare dei venti rivoluzionari l’edificio fu venduto e nel 1807 giunse in mano del dottor Mercurin, che fondò la struttura in cui venne accolto anche van Gogh. Quasi cento anni dopo gli eredi del fondatore lo donarono alla Congregazione delle Suore di Saint-Joseph-de-Vesseaux, lì dal 1866, con la clausola di mantenere l’attività psichiatrica del Centro sanitario di Saint-Paul.
La presenza di Vincent tra quelle mura per poco meno di un anno, fino al 16 maggio 1890, ha dato al Centro notorietà internazionale e una parte della struttura è oggi vincolata come monumento storico, ricostruito l’arredamento degli ambienti in cui l’Artista fu curato del dottor Peynon e dalle suore di Saint-Joseph, per aiutarlo a riprendere possesso della sua vita, traendo ispirazione più da ricostruzioni cinematografiche che da precisi riferimenti reali, il luogo mantiene comunque una pace che fa sentire vicini alla sensibilità spirituale di Vincent van Gogh.