Nel cuore dell’altopiano che occupa gran parte dell’interno del Madagascar, la grande isola davanti alle coste orientali dell’Africa, la cittadina di Ambositra possiede un esempio di architettura religiosa del Novecento quasi sconosciuto e molto particolare per lo stile e la storia della sua costruzione.

Correva l’anno 1934 quando le suore benedettine di Ste Bathilde, una congregazione nata in Francia nel 1921 con l’intento di seguire la regola originale di San Benedetto e diffondere la vita monastica femminile nelle Chiese di recente istituzione nelle colonie francesi, dettero inizio ai lavori per la costruzione del monastero di Vanves alla periferia di Parigi, il primo fondato dall’ordine. Il progetto era opera di un monaco-architetto benedettino, Dom Bellott, personaggio straordinario che avrebbe dato vita e nome a una scuola di pensiero nella quale si definivano i principi fondanti per una nuova architettura religiosa del XX secolo, il Dom-Bellotisme.

Paul Louis Denis Bellott (Parigi 1876 – Québec 1944), figlio di un architetto allievo di Viollet-le-Duc, dopo aver seguito le orme paterne laureandosi in Architettura intraprese una serie di viaggi in Spagna, focalizzando il proprio interesse sull’architettura arabo-andalusa e sulle opere moderniste di Antoni Gaudí. Con una decisione improvvisa, nel 1901 il giovane Paul si ritira dal mondo entrando nel monastero benedettino sull’isola di Wight, che apparteneva alla comunità francese di Solesmes. Non abbandona però la sua attività di architetto, che esercita al servizio dell’ordine dei Benedettini progettando chiese, monasteri e cappelle in vari paesi europei. Dopo la prima guerra mondiale, Dom Bellot entra in contatto con l’architetto francese Maurice Storez, fondatore di un gruppo di artisti, L’Arca, che si proponeva di rinnovare l’arte religiosa in Francia. Dom Bellott concluderà la sua vita in Canada, dove si trasferisce nel 1937, e dove realizza numerose chiese e cappelle nel Québec; qui tiene anche una serie di lezioni, confluite poi negli scritti in cui espone la sua concezione dell’architettura religiosa nel XX secolo.

Una delle realizzazioni più rappresentative dei principi ispiratori nell’opera di Dom Bellot si trova proprio nel monastero benedettino femminile di Vanves: il refettorio, di forma ottagonale con un pilastro al centro dal quale si dipartono le nervature che sostengono il soffitto, è una rivisitazione in chiave moderna delle sale capitolari di epoca gotica presenti in alcuni monasteri cistercensi. Una settimana dopo la posa della prima pietra per il monastero di Vanves, quattro suore della comunità partivano alla volta del Madagascar su sollecitazione della Chiesa locale. Le guidava Mère Denys, che agli studi di Belle Arti univa l’esperienza come collaboratrice di Dom Bellot presso il cantiere di Vanves.

Le suore si stabilirono ad Ambositra, alloggiando inizialmente in una casa nel centro della cittadina, mentre per la costruzione del monastero fu scelto un terreno in posizione elevata su una delle alture circostanti. La zona dovette prima di tutto essere bonificata e ripulita da alberi e cespugli; poi venne recintata alzando un muro di mattoni crudi realizzati sul posto secondo un procedimento utilizzato ancora oggi: le risaie che occupano la pianura sottostante e i terrazzamenti sui fianchi delle colline di Ambositra forniscono il fango per la produzione di mattoni che vengono fatti essiccare al sole. Mère Denys fu affiancata per la costruzione della chiesa e del monastero da due capimastri locali, mentre le suore iniziavano a coltivare il terreno circostante impiantando un orto e un frutteto e collaboravano nel trasporto dei materiali da costruzione, suscitando grande stupore nella popolazione locale. Nel cantiere del monastero furono impiegate fino a 70-80 persone, e questo permise una realizzazione in tempi rapidi: il cantiere venne avviato nel mese di luglio e già alla fine di ottobre si poneva la prima pietra per la chiesa.

Edificato in contemporanea con quello di Vanves, il complesso monastico di Ambositra porta in dote l’ispirazione alle stesse fonti, principalmente l’architetto francese Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc – considerato uno dei padri dello stile neogotico – che nella seconda metà dell’Ottocento aveva curato il restauro della cattedrale di Notre-Dame a Parigi, e la corrente del Modernismo, nella versione eclettica dai richiami moreschi tipica delle opere progettate dal catalano Antoni Gaudì.

Di base, un concetto d’avanguardia, quello di realizzare architetture complesse e di qualità utilizzando materiali locali e maestranze non specializzate con un coinvolgimento della popolazione; un richiamo alla costruzione delle grandi cattedrali gotiche, dove parte della manodopera era fornita volontariamente dai fedeli e parte dai contadini: questi – in base al principio feudale della corvée – erano obbligati a fornire giornate di lavoro senza compenso al proprietario delle terre che lavoravano, nobile o abate che fosse.

La chiesa del monastero di Ambositra abbina una struttura neogotica rivisitata secondo il modernismo d’inizio Novecento, con elementi geometrizzanti di stile Déco – il gusto imperante nell’Europa degli anni Trenta – presenti soprattutto in funzione decorativa, come l’effetto cromatico prodotto dall’alternanza di mattoncini bianchi, neri e colore del cotto che sottolinea e mette in risalto le componenti strutturali dell’edificio; gli archi acuti e le volte a crociera della navata, dall’ardita eleganza dinamica, dialogano con la spartizione delle finestre in quadrati, rombi e triangoli massicciamente definiti. Un contrasto che potrebbe risultare in un pastiche disarmonico, si fonde invece in un’inaspettata sinergia con effetti di aggraziata e fresca leggerezza.

Il fonte battesimale, un semplice recipiente in rame martellato, poggia su una mensola decorata con un’alta fascia di legno scolpito, opera degli artigiani locali che vantano una lunga tradizione e una grande maestria nella lavorazione del legno. Lo stile e gli elementi decorativi della chiesa sono ripetuti nell’edificio destinato all’accoglienza e nel chiostro, mentre la torre campanaria che s’innalza al centro della facciata – seguendo l’esempio caratteristico di molte chiese gotiche soprattutto nel nord Europa – mostra una chiara ispirazione all’architettura razionalista degli anni Trenta.

Se non è possibile stabilire quale sia stato l’effettivo apporto di Dom Bellott alla progettazione del complesso di Ambositra, certamente i principi che ne hanno guidato la realizzazione appaiono coerenti con le parole con cui il monaco aprì il ciclo di conferenze sull’architettura religiosa tenute durante il suo soggiorno in Canada: “Ogni forma di architettura che non nasca come conseguenza di un’idea, di un bisogno, di una necessità, non può essere considerata come un’opera di gusto [… ] Il buongusto possiede il privilegio di imporsi attraverso il tempo e nonostante i pregiudizi, come tutto quello che discende dalla verità. Il gusto non è altro che [… ] il coronamento di un lavoro paziente, il riflesso dell’ambiente nel quale si vive”.

Didascalie immagini

  1. Boschi e risaie sull’altopiano di Ambositra
    (© Donata Brugioni)
  2. Chiostro del monastero di Vanves (fonte)
  3. Refettorio nel monastero di Vanves (fonte)
  4. In Madagascar continua ancora oggi la tradizionale produzione di mattoni crudi essiccati al sole
    (© Donata Brugioni)
  5. Esterno della chiesa del monastero benedettino di Ambositra
    (© Donata Brugioni)
  6. L’edificio destinato all’accoglienza adotta le forme e gli elementi decorativi della chiesa 
    (© Donata Brugioni)
  7. L’interno della chiesa con i caratteristici elementi decorativi colorati
    (© Donata Brugioni)
  8. Il Fonte battesimale
    (© Donata Brugioni)
  9. Veduta della torre campanaria addossata alla facciata della chiesa
    (© Donata Brugioni)

IN COPERTINA
L’altopiano nei dintorni di Ambositra
[particolare]
(© Donata Brugioni)

Dove e quando

  • Indirizzo: Ambositra, Madagascar