Mentre la nebbia mattutina si solleva sulle acque calme, strane figure appaiono in lontananza, sospese in precario equilibrio sulla superficie del lago Inle, nell’altopiano dello Shan in Myanmar (Birmania, all’epoca della colonizzazione britannica). Sono i pescatori Intha, coloro che si definiscono “i figli del lago”, appartenenti a un’etnia arrivata qui secoli fa provenendo da sud, forse dal delta del grande fiume Ayarwaddy che attraversa tutto il paese.

Su lunghe e slanciate barche a fondo piatto, in grado di raggiungere i bassi fondali del lago – che ha una profondità media di due metri per una lunghezza di quasi venti chilometri – gli Intha si muovono stando in piedi e remando con un braccio e una gamba, in una posizione che li fa assomigliare a fenicotteri, e che permette di avere sempre un braccio libero per lanciare e ritirare le reti da pesca.

Tutta la vita dei villaggi situati sul lago, anzi nel lago visto che in gran parte sono costruiti su palafitte, si svolge sull’acqua, fonte primaria di nutrimento grazie all’abbondanza di pesce, (carpe soprattutto, ma anche nove specie endemiche esclusive di queste acque) e alla presenza di quegli “orti galleggianti” che rappresentano un’ingegnosa realizzazione unica al mondo. La creazione di isole flottanti si avvale del groviglio inestricabile creato dalle radici dei giacinti d’acqua, flora spontanea e infestante, sul quale viene posato un letto di alghe prelevate dal fondo del lago che forniscono l’humus per la coltivazione di ortaggi; famosi in tutto il Myanmar, i pomodori degli orti galleggianti sono considerati una prelibatezza.

Gli orti sono ancorati al fondo del lago per mezzo di alti pali di bambù, e se necessario vengono spostati anche per considerevoli distanze, specie quando passano a un nuovo proprietario, cosa non insolita; i contadini curano la coltivazione e raccolta dei prodotti senza scendere dalle barche, scostando i grovigli di giacinti d’acqua per muoversi lungo le file di piante: gli orti sono suddivisi in fasce strette e lunghe di “suolo” coltivabile in modo da poter essere agevolmente raggiunti, ed essendo galleggianti seguono il variare del livello del lago e quindi non vengono mai sommersi.

Le grandi distese di fiori di loto che punteggiano le acque spiccano con la loro gamma di toni, dal tenue rosa perla al rosso scuro, tra il verde delle foglie fluttuanti sulle acque azzurre; con la fibra del loto si producono qui tessuti pregiatissimi, di lucentezza e finezza superiore a quelle della seta. Anche i laboratori di tessitura sono costruiti su palafitte in legno di tek, lo stesso materiale delle pareti, che nelle abitazioni più modeste viene sostituito dalle stuoie di bambù intrecciato. Su antichi telai di legno le tessitrici lavorano seguendo i disegni tradizionali e creando tessuti multicolori nei quali prevale il motivo decorativo a onde sovrapposte di toni diversi, in origine riservato agli abiti nuziali, adesso diffuso per le occasioni festive; si tessono i longyi, le lunghe gonne strette in vita da un nodo, indossate anche dagli uomini, per i quali vengono prodotti longyi a sobri quadretti di colori scuri o neutri.

Sulla riva occidentale del lago si apre un canale, sempre più stretto, che s’inoltra nella foresta fino a raggiungere il villaggio di Indein, uno dei centri nodali dell’intensa spiritualità che pervade questa parte dello Shan, testimoniata dal gran numero (oltre mille) di pagode, monasteri e stupa che sorgono nel bacino del lago e anche dalle leggende fiorite attorno ad esso. Dal pontile del villaggio di Indein, adagiato sulle acque fangose, ha inizio un lungo porticato a gradoni affollato di bancarelle con merci di ogni genere e percorso nei giorni festivi da frotte di pellegrini che salgono la collina fino alla pagoda Shwe Indein. Si tratta di uno dei templi dall’origine più antica, se non il più antico, di tutto il lago: attorno alla pagoda, sulle guglie di un gruppo di stupa costruiti o restaurati in tempi recenti, una corona di piccoli campanelli diffonde nell’aria un suono sottile e tenue che si confonde col canto degli uccelli. I fianchi della collina sono coperti da una selva di stupa eretti fra il XIV e il XVIII secolo e in gran parte in rovina, immersi nella vegetazione.

Un luogo di grande fascino, per il mistero che circonda la sua origine (secondo la leggenda la pagoda fu costruita nel III secolo a.C. dall’imperatore Ashoka poco dopo la morte di Buddha) e per il ritrovamento di cinque piccole statue di Buddha – di origine misteriosa e di datazione incerta – tra le macerie di un’antico stupa, che sono divenute col tempo le protagoniste della più importante festa religiosa dell’anno, alla quale partecipano gli abitanti di tutti i villaggi Intha e pellegrini provenienti da ogni parte del Myanmar.

La festività del Phaung Daw Oo, che dura diciotto giorni, si celebra nel periodo del plenilunio di ottobre: quattro delle statuette di Buddha rinvenute a Indein – ormai trasformate in luccicanti masse informi per l’accumularsi dei frammenti di foglia d’oro con cui i fedeli fanno a gara per ricoprirle – vengono portate in processione attraverso il lago sostando nei vari villaggi. Le celebrazioni culminano l’ultimo giorno, quando, su una monumentale barca dorata a forma del mitico uccello Karawaik, tornano alla pagoda nella quale le attende il quinto Buddha, che non viene mai spostato dalla sua sede: qui, secondo la leggenda, fu miracolosamente ritrovato dopo essere scomparso nelle acque del lago per un naufragio.

La barca sacra è seguita da un’altra, meno imponente, sulla quale vengono riunite le offerte raccolte presso i fedeli, e apre il corteo formato da lunghissime e sottili imbarcazioni allestite dai vari villaggi: su ciascuna, fino a cinquanta-sessanta rematori in piedi su un piede solo, con un equilibrio precario che rende frequenti i ribaltamenti, disputano una serie di eliminatorie nei giorni precedenti la festa. Quando tutti i Buddha sono stati riportati nella pagoda, gli ultimi equipaggi rimasti in gara si preparano per la finale. Il pubblico, assiepato su barche, piattaforme su palafitte e lungo le rive del canale, partecipa con un tifo da stadio che riesce a sovrastare anche il volume altissimo della musica diffusa dagli altoparlanti.

Intanto, per tutto il periodo della festa continua incessante l’opera degli addetti che dispongono sulle piccole statue di Buddha nuove foglie d’oro offerte dai fedeli: solo agli uomini è concesso di entrare nel recinto sacro e toccare le statue, in questo come in tutti i templi buddisti del Myanmar. Di quelle che in origine erano statuette di una ventina di centimetri ormai non si possono neppure più immaginare le dimensioni, tanto spesso è lo strato d’oro che le ricopre, né si conosce l’epoca in cui furono realizzate e poste all’interno di un antico stupa a sfidare il tempo.

Didascalie immagini

  1. Nebbie mattutine sul lago Inle
    (© Donata Brugioni)
  2. I pescatori Intha utilizzano un braccio e una gamba per remare, in modo da avere sempre una mano libera per gettare o ritirare le reti (© Donata Brugioni)
  3. Gli orti galleggianti sono collocati in prossimità dei villaggi su palafitte e vengono coltivati restando sulle barche
    (© Donata Brugioni)
  4. Anche i laboratori tessili, raggiungibili per via d’acqua, sorgono su palafitte e sono collegati tra loro per mezzo di passerelle
    (© Donata Brugioni)
  5. Una delle oltre mille fra pagode e stupa che sorgono sul lago Inle
    (© Donata Brugioni)
  6. Presso il villaggio di Indein, raggiungibile attraverso un canale che si dirama dal lago addentrandosi nella foresta, un gran numero di antiche stupa ormai in rovina circonda la pagoda Shwe Indein
    (© Donata Brugioni)
  7. La pagoda Phaung Daw Oo custodisce le cinque antiche statuette di Buddha ritrovate in una stupa di Indein ed è il centro della festa di Phaung Daw Oo che si celebra attorno alla luna piena d’autunno
    (© Donata Brugioni)
  8. La grande barca-uccello dorata che trasporta sul lago quattro statuette di Buddha (una non viene mai spostata) è seguita dalla barca in cui sono raccolte le offerte dei fedeli di tutto il lago
    (© Donata Brugioni)
  9. Le lunghissime barche provenienti dai vari villaggi si preparano per la gara finale che conclude il periodo di celebrazioni in occasione della festa di Phaung Daw Oo
    (© Donata Brugioni)

IN COPERTINA:
Nebbie mattutine sul lago Inle
(© Donata Brugioni)
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