Fin dall’epoca antica era noto come il sottosuolo dell’Etruria contenesse grandi giacimenti di numerosi metalli: fu grazie al loro sfruttamento e all’estrazione di minerali in quantità molto superiori al fabbisogno locale, che la civiltà etrusca stabilì un’importante rete di traffici commerciali con i Greci e i popoli orientali; si trattava in prevalenza di miniere di rame e ferro, ma non mancavano stagno e piombo. Il bacino minerario più ricco e intensamente sfruttato si trovava nel territorio compreso fra Populonia, Volterra, Massa Marittima e l’Isola d’Elba, quest’ultima chiamata dai greci Aithalia, “la fumosa”, per la grande quantità di fuliggine prodotta dalla fusione del metallo negli appositi forni, disseminati su gran parte dell’isola.

Miniera di Rio Albano
Miniera di Rio Albano (Isola d’Elba): l’acqua piovana che si raccoglie nel laghetto, a contatto con l’alta concentrazione di ossido proveniente dai minerali ferrosi, assume suggestive colorazioni – Courtesy © Mario Pellegrini

Sul continente, il centro più importante dell’attività siderurgica fu Populonia dove, a partire dal V secolo a.C., veniva lavorato anche il ferro elbano, e i resti degli antichi forni e delle miniere etrusche sono ancora oggi riconoscibili lungo tutto il litorale del golfo di Follonica e nei pressi delle Colline Metallifere. Nell’entroterra, insediamenti etruschi e poi romani – Gavorrano, Montieri e Monterotondo – conobbero prosperità e sviluppo grazie all’abbondanza di risorse come il rame, l’argento e il ferro.

Gli altiforni di Portoferraio (isola d’Elba) negli anni Trenta Fonte

All’isola d’Elba le attività minerarie proseguirono nel medioevo sotto la dominazione della Repubblica Pisana, e nei secoli successivi ad opera della signoria dei Medici: a Cosimo I de’ Medici si deve nel 1542 la costituzione della “Magona del ferro” (la magona era il luogo in cui avveniva la prima purificazione del minerale estratto), organo statale che gestiva il monopolio delle attività estrattive. Agli inizi del XX secolo vennero costruiti a Portoferraio i primi altiforni e poco dopo lo stabilimento siderurgico di Piombino; dopo la seconda guerra mondiale l’attività estrattiva sull’isola si andò progressivamente riducendo, fino alla chiusura nel 1981 dell’ultima miniera ancora attiva, quella del Ginevro; è stato stimato che dall’Elba siano stati estratti circa 100 milioni di tonnellate di minerali di ferro.

L’intenso colore del suolo attorno alla miniera di Rio Albano (Isola d’Elba) – Courtesy © Mario Pellegrini

L’attuale Parco Minerario dell’Isola d’Elba è nato dal recupero ambientale delle aree degradate dalle attività estrattive; comprende i musei mineralogici, dell’archeologia e dell’arte mineraria e offre la possibilità di visitare le miniere a cielo aperto di Rio Marina e Rio Albano e la galleria del Ginevro a Capoliveri. Il destino delle miniere elbane è comune anche alle altre zone della Toscana, dove si è dato avvio a un processo di valorizzazione delle aree dismesse, creando una rete di parchi minerari.

Ingresso al Parco Archeominerario di San Silvestro presso Campiglia Marittima (LI) Fonte

Il Parco Archeominerario di San Silvestro, presso Campiglia Marittima, comprende il Museo dell’Archeologia e dei Minerali e la Miniera del Temperino, di cui si visitano con guida alcune gallerie (vedi nostro articolo). Nei pressi, i Musei delle Macchine Minerarie e dei Minatori raccontano gli ultimi decenni di attività, mentre è possibile seguire a bordo del vecchio trenino il percorso dalle miniere della Valle del Temperino agli impianti di trattamento della Valle dei Lanzi.

Miniera di Caporciano a Montecatini Val di Cecina (PI) a fine Ottocento Fonte

Quella di Caporciano è una miniera di rame nei pressi di Montecatini Val di Cecina: attiva inizialmente dall’epoca etrusca alla caduta dell’impero romano, fu riaperta nel XV secolo, fino a divenire nell’Ottocento la miniera di rame più grande d’Europa. L’estrazione del minerale è cessata agli inizi del Novecento e anche qui è stato realizzato un museo (https://www.museodelleminieremontecatini.it) nel quale è possibile rendersi conto della ricchissima gamma di risorse presenti nel sottosuolo della zona: rame, salgemma, alabastro, lignite.

Ingresso del Museo Minerario ad Abbadia San Salvatore (GR) Fonte

Sul monte Amiata, in passato sono stati sfruttati importanti giacimenti, soprattutto di cinabro, il minerale da cui si è ricavato per secoli il mercurio. Il cinabro fu estratto fin dal Neolitico: all’interno di gallerie e cunicoli sono stati ritrovati strumenti da minatore realizzati in pietra e corno. Nel Medioevo, il mercurio veniva utilizzato come colorante, come rimedio medicamentoso e come elemento chiave nella pratica alchemica, che aveva come primo obiettivo la trasformazione dei metalli vili in metalli preziosi. Delle attività estrattive che per secoli hanno caratterizzato la vita di tutta la zona, rimangono oggi due musei, ad Abbadia San Salvatore (http://www.museominerario.it/), e a Santa Fiora.

Ricostruzione di una galleria nel Museo delle Miniere di Mercurio del Monte Amiata a Santa Fiora (GR) Fonte

Il Museo delle Miniere di Mercurio del Monte Amiata a Santa Fiora, è gestito dall’associazione “Minatori per il Museo”, nata dalla volontà di preservare la cultura, la storia e la tradizione mineraria di Santa Fiora e dell’Amiata. La miniera, il “pane amaro”, per lungo tempo ha sfamato le genti di una terra dura, difficile e povera. Il lavoro del minatore comportava sacrifici e pericoli, ma garantiva un reddito fisso che permetteva progetti di vita e di futuro. Sull’Amiata, oltre ai rischi comuni al lavoro in ogni miniera, gli operai che lavoravano a contatto con il mercurio erano soggetti a una grave malattia professionale, l’idrargirismo, una forma di avvelenamento che aveva spesso un esito funesto.

Una galleria nella Miniera dell’argento vivo a Levigliani Fonte

L’estrazione di metalli appartiene al passato anche di altre zone della Toscana, in particolare la Versilia: le miniere di Levigliani sono le più antiche dell’Alta Toscana, nominate in un atto del Comune di Pisa del 1153, e si caratterizzano per la presenza di mercurio liquido allo stato nativo, una particolarità unica al mondo, che ha dato origine al nome di miniera “dell’argento vivo” (antico nome del mercurio): attualmente è aperto ai visitatori un percorso in galleria di circa un chilometro.

Gli impianti della vecchia miniera argentifera del Bottino, presso Seravezza (LU), in una foto d’epoca Fonte

Valdicastello Carducci, una frazione di Pietrasanta, era fin dal Medioevo detta “Valle Buona”, grazie alla ricchezza delle sue vene; l’abbondante quantità di scorie di ferro trovate in zona indica che già gli Etruschi sfruttavano questi giacimenti, attivi per lunghissimo tempo. Quella che più suscitava l’interesse e la cupidigia era però la galena argentifera: quanto fosse ritenuto importante il possesso dell’area mineraria dell’Argentiera lo dimostra la catena di fortini fatti costruire nel Trecento da Castruccio Castracani, signore di Lucca, a difesa della zona.

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    • Miniera di Rio Albano (Isola d’Elba): l’acqua piovana che si raccoglie nel laghetto, a contatto con l’alta concentrazione di ossido proveniente dai minerali ferrosi, assume suggestive colorazioni – Courtesy © Mario Pellegrini
  •  Gli altiforni di Portoferraio (isola d’Elba) negli anni Trenta (Fonte)
  •  L’intenso colore del suolo attorno alla miniera di Rio Albano (Isola d’Elba) – Courtesy © Mario Pellegrini
  •  Ingresso al Parco Archeominerario di San Silvestro presso Campiglia Marittima (LI)
  •  Miniera di Caporciano a Montecatini Val di Cecina (PI) a fine Ottocento (Fonte)
  •  Ingresso del Museo Minerario ad Abbadia San Salvatore (GR) (Fonte)
  •  Ricostruzione di una galleria nel Museo delle Miniere di Mercurio del Monte Amiata a Santa Fiora (GR)
  •  Una galleria nella Miniera dell’argento vivo a Levigliani
  •  Gli impianti della vecchia miniera argentifera del Bottino, presso Seravezza (LU), in una foto d’epoca (Fonte)

 

in prima pagina: Dal pontile delle miniere di Rio Marina (isola d’Elba), affacciate sul mare, il minerale di ferro veniva caricato direttamente sulle navi

© Donata Brugioni