Isolata, grandiosa nella scabra severità delle sue nude pareti, la mole della basilica della SS. Trinità di Venosa si leva nel mezzo di una vasta spianata nella zona archeologica, ultimo atto di un succedersi di genti che nel corso di due millenni hanno lasciato in questo luogo i segni della propria cultura e della propria fede. In posizione appartata rispetto all’agglomerato urbano, raccolto attorno alla mole massiccia dell’imponente castello aragonese, la basilica deve l’appellativo di Incompiuta ai lavori di costruzione mai portati a termine.

Cittadina di antiche origini – fu conquistata dai romani agli inizi del III secolo a.C., segnando la definitiva sconfitta dei Sanniti – Venosa sorge su un altopiano nella parte settentrionale della Basilicata. Fino dall’epoca romana, la sua posizione privilegiata sulla via Appia (la regina viarum) fece di Venusia un importante centro di commerci e di scambi culturali. Qui nacque e trascorse gli anni giovanili uno dei massimi poeti e scrittori di lingua latina, Quinto Orazio Flacco, che ricorda le proprie origini nelle Satire (Libro II, 1, I rischi del poeta satirico): “Ed io lo seguo, / lucano od apulo ch’io sia: / il colono di Venosa ara i campi / a cavaliere delle due regioni, / qui insediato, per tradizione antica, / quando furon cacciati i sabelli, / perché in terre sguarnite di romani / non avvenissero incursioni di nemici“.

Qui, dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dell’imperatore Tito, trovò rifugio una consistente comunità di ebrei, una delle prime stabilitesi in Italia, che si integrò pienamente nel tessuto sociale ed economico della città: lo testimoniano le catacombe ebraiche, databili fra il IV e il VI secolo, scavate a poca distanza da quelle cristiane. Sull’area archeologica di epoca romana, comprendente un complesso termale e l’anfiteatro, in parte scavato sul fianco di una collina, fu eretta tra il V e il VI secolo dell’era cristiana una chiesa, oggi nota come Chiesa antica.

L’edificio sorse molto probabilmente sulle rovine di un tempio pagano, secondo una prassi frequente in epoca paleocristiana. A pianta basilicale romana, la chiesa fu modificata dai Longobardi nel X secolo, ma l’aspetto attuale è quello voluto dai Normanni attorno alla metà del secolo successivo. Fu infatti in quell’epoca che divenne il luogo di sepoltura della casata degli Altavilla: un’iniziativa del grande condottiero Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo, che fece trasportare nella chiesa appena consacrata le salme dei suoi fratelli.

Alla sua morte, avvenuta nel 1085 a Cefalonia, fu anch’egli sepolto qui. La lapide sepolcrale, oggi scomparsa, recava l’iscrizione “Hic terror mundi Guiscardus” (Qui è [sepolto] Guiscardo, terrore del mondo). I de Hauteville, che erano giunti dalla Normandia intorno all’anno Mille al comando di truppe mercenarie, con Roberto il Guiscardo dettero inizio al primo regno unitario dell’Italia meridionale.

Nei pressi della chiesa si trova il Battistero, del V secolo, che comprende due vasche battesimali, una a forma esagonale e l’altra a croce latina: quest’ultima probabilmente riservata ai fedeli che seguivano la dottrina dell’Arianesimo. A destra della chiesa antica, alla fine del X secolo, quando i principi longobardi di Salerno fecero insediare qui una comunità monastica benedettina, fu edificato il Palazzo Abbaziale, che comprendeva una foresteria al piano terreno e il monastero al piano superiore.

Verso la metà del XII secolo, i monaci dettero inizio ai lavori per la costruzione di una grande basilica adeguata alle necessità di una comunità sempre più numerosa: grazie al patrocinio degli Altavilla, l’Abbazia della SS. Trinità aveva assunto notevole importanza, fino a comprendere oltre cento monaci. Il cantiere si avvalse largamente dei materiali disponibili nell’area circostante, utilizzando manufatti di epoca romana e altomedievale, oltre a parti di epigrafi ebraiche.

L’edificio costituiva il prolungamento oltre l’abside della chiesa antica, che sarebbe stata utilizzata per le celebrazioni fino al completamento della nuova struttura e poi abbattuta. I lavori per la costruzione della basilica, a tre navate con un ampio transetto e coro – secondo il modello delle chiese abbaziali benedettine di tipo normanno – furono portati avanti con lunghe interruzioni e ritardi.

I pilastri tra la navata centrale e quella di destra furono in parte innalzati, mentre a sinistra non vennero realizzate neppure le fondazioni. Le alterne vicende della basilica seguirono le fortune degli Altavilla, e alla fine del XII secolo il cantiere venne definitivamente chiuso: nel 1198, con la morte dell’imperatrice Costanza, moglie dell’imperatore Enrico VI e madre di Federico II, si estingueva anche la dinastia regnante degli Altavilla.

Alla fine del Duecento, per ordine di papa Bonifacio VIII, il monastero benedettino fu soppresso e il complesso abbaziale passò nelle mani dei Cavalieri di Malta, che non lo utilizzarono mai, limitandosi ad aggiungere nel XVI secolo un semplice campanile a vela, collocato sulla parete destra della basilica e innalzato utilizzando ancora una volta materiali di spoglio.

Un impiego, questo, che nel caso del cantiere di epoca normanna poteva venire letto anche come spunto di riflessione sulla continuità storica che in questi luoghi legava idealmente il regno normanno all’epoca romana, suggerendo l’esistenza di un fil rouge che attraverso i secoli dell’alto Medioevo e l’epoca longobarda, ribadiva la “latinità” (e conseguente legittimità) del regno normanno in una terra ancora fortemente legata alla cultura greco-bizantina.