“Ogni passione, alla fine, ha il suo spettatore … non c’è nessun sacrificio amoroso senza un teatro alla fine”
                                                                                          (Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso)

“E dire che ho sciupato anni della mia vita, ho desiderato di morire, ho avuto il mio più grande amore, per una donna che non mi piaceva, che non era il mio tipo!”
                                                                                          (Marcel Proust, Un amore di Swann)

Il nome popolare attribuito a quello che in realtà è il “Museo delle relazioni spezzate” (Museum of Broken Relationships) di Zagabria appare riduttivo perché questa istituzione, unica nel suo genere, raccoglie testimonianze e documenti relativi a ogni tipo di rapporto che si sia spezzato, non solo tra esseri umani, ma anche tra esseri umani e cose o situazioni appartenenti al loro vissuto. Il museo è nato nel 2006 da un’idea di Olinka Vištica e Dražen Grubišić, due artisti croati che esposero in quell’anno al 41° Salone dell’Arte a Zagabria un’opera di arte real life realizzata con oggetti-simbolo della loro relazione terminata tre anni prima.

Inizialmente il museo era stato concepito come un’esposizione itinerante, che dopo aver toccato i paesi della ex Jugoslavia, nel 2009 prese il volo attraverso il mondo, spostandosi da Singapore a Città del Capo, da Buenos Aires a Istanbul; a ogni tappa si aggiungeva nuovo materiale, di volta in volta toccante, spiritoso, tragico o divertente, che documentava la rottura di relazioni affettive: chi donava un oggetto-simbolo della propria storia doveva corredarlo con  una breve nota esplicativa, destinata a restare anonima. In seguito il museo ha trovato una collocazione stabile all’interno di un antico edificio nell’area più prestigiosa e rappresentativa del centro storico di Zagabria, sulla collina dove hanno sede tutte le istituzioni governative, compresi il Parlamento e la Presidenza della Repubblica.

Nella presentazione del museo, si precisa che questo “è uno spazio pubblico, fisico e virtuale creato con il solo scopo di far tesoro e condividere le vostre storie di cuori spezzati e di possesso simbolico. È un museo su di voi e di noi, sui modi in cui amiamo e perdiamo qualcosa o qualcuno”. Gli ambienti in cui si articola l’esposizione – piccole stanze dai bassi soffitti a volta, messe in comunicazione tra loro da angusti passaggi che attraversano le spesse pareti – costituiscono una sorta di labirinto, nel quale si perde la cognizione effettiva di uno spazio, che pur essendo di dimensioni ridotte, appare quasi indecifrabile e avvolto su se stesso. L’illuminazione dei vari ambienti è dosata abilmente e la penombra che fa risaltare gli oggetti esposti, immersi in una luce soffusa, si apre improvvisamente nel biancore di un passaggio-veranda che funge da raccordo e vestibolo allo stesso tempo.

I visitatori si aggirano in silenzio, o scambiano qualche parola sottovoce: giovani coppie che si tengono per mano, persone di ogni età e provenienza, da sole o in compagnia, tutti si muovono quasi con timido rispetto di fronte alle testimonianze di vite, comuni da un lato, uniche dall’altro. Molti sono gli oggetti, attentamente scelti, in grado di rappresentare modelli/archetipi dell’infinito caleidoscopio delle relazioni umane, tra esseri diversi o con se stessi e i propri demoni.

Il museo è un’opera aperta, e in quanto tale non solo ha ampliato la sua collezione nel corso delle numerose esposizioni itineranti in giro per il mondo, ma continua ad arricchirsi con i contributi di chi ritiene la propria storia degna di entrare a far parte del suo patrimonio; chi fosse interessato a partecipare, troverà le indicazioni necessarie nel sito ufficiale (in inglese). Inoltre, dal 2016, una sezione distaccata del Museo è stata aperta a Hollywood, “una città di sogni – molti realizzati e molti no – che spesso lasciano relazioni spezzate al risveglio”.

Qui ci si rende anche conto di come le piccole “storie” rappresentino il tessuto connettivo da cui si genera la grande “Storia”, e alcune testimonianze raccolte nel museo rimandano a eventi che fanno parte di una Storia vicina a noi nel tempo e nello spazio, troppo presto dimenticata. Una guerra ha insanguinato l’Europa appena venticinque anni fa, combattuta a un passo dal nostro paese con decine di migliaia di morti e centinaia di migliaia di profughi; una di quelle sporche guerre che per una sorta di crudele ironia si definiscono “civili”, dove civili sono solo gli inermi cittadini che ne sono vittime, la guerra combattuta fra il 1991 e il 1995 nei paesi dell’ex-Jugoslavia, ciascuno alla ricerca di un proprio spazio e di una propria identità, rivendicati in ragione di antichi diritti e vecchi rancori.

Nella corrente vorticosa e limacciosa della Storia, una piccola, tenera storia arriva fino a noi con la candida innocenza di chi si affaccia alla vita sperando in un mondo migliore. Tra i tanti oggetti che si incontrano negli ambienti angusti e avvolgenti, quasi un ventre materno, del museo, attira l’attenzione una piccola bacheca in cui è esposta una pagina strappata da un quaderno: qui, in caratteri ormai sbiaditi, figura una lettera che si conclude con le parole “I love you”, le sole universalmente intelligibili del testo. Il donatore correda questo modesto e spiegazzato foglio, che ha gelosamente conservato per un quarto di secolo, con una breve e struggente narrazione degli eventi a cui si riferisce:

Lettera d’amore di un adolescente in tempo di guerra
3 giorni nel maggio 1992
Sarajevo, Bosnia Herzegovina
“Fuggendo da Sarajevo sotto il fuoco in un grosso convoglio, fummo tenuti in ostaggio per tre giorni mentre lasciavamo la città. Pochi giorni prima avevo compiuto 13 anni.
In un’auto accanto alla nostra c’era Esna, con sua madre e altre persone. Non ricordo chi fossero gli altri, ricordo solo che lei era bionda e incredibilmente carina. M’innamorai con sincerità infantile e glielo confessai, con la stessa sincerità, in questa lettera. Le avevo dato alcune cassette di musica, perché lei aveva dimenticato di prendere le sue nella fretta della fuga. Così come io non ebbi il tempo di darle la lettera, perché dopo tre giorni fummo improvvisamente liberati e perdemmo di vista la macchina di Esna vicino a Travnik, lei non mi restituì mai i miei Azra, Bjelo dugme, EKV, Nirvana e altre cassette.
Naturalmente, non l’ho mai più rivista, e oggi spero solo che la musica le sia servita a pensare a qualcosa di bello in quella situazione, terribile sotto ogni aspetto”.

Didascalie immagini

  1. Esterno del Museum of Broken Relationships (edificio a destra) su una bella piazza dell’antica Zagabria
    (© Donata Brugioni),
  2. Ingresso del Museum of Broken Relationships
    (© Donata Brugioni)
  3. Nella galleria che collega i vari ambienti
    (© Donata Brugioni)
  4. Il percorso espositivo si snoda tra un abito per una cerimonia nuziale destinata a non avere mai luogo e piccoli oggetti assurti a simbolo dell’infinito caleidoscopio delle relazioni umane
    (© Donata Brugioni)
  5. Oggetti dall’aspetto innocente e casalingo, come due statuine e un piccolo mattarello in ceramica usato per stendere l’impasto dei biscotti, testimoniano storie familiari di violenza e dolore, e il coraggio della disperazione che ha dato la forza per troncare relazioni devastanti
    (© Donata Brugioni)
  6. Nella collezione del museo una vecchia automobilina a pedali racconta come un gesto d’amore aiuti a chiudere i conti con i fantasmi di un’infanzia infelice
    (© Donata Brugioni)

IN COPERTINA
Una vecchia automobilina a pedali nella collezione del museo
(© Donata Brugioni)
[particolare]

Dove e quando