“Ben presto siamo divenuti frequentatori abituali di quel giardino, quasi non passava giorno che non ci andassimo. Era aperto al pubblico, ma non c’era quasi nessuno. Fummo sedotti da questa oasi dove i colori di Matisse si mescolano a quelli della natura”…”Così, quando abbiamo saputo che il giardino era stato messo in vendita e che al suo posto sarebbe sorto un hotel, abbiamo fatto l’impossibile per divenire proprietari del giardino e della villa. Nel corso degli anni, abbiamo dato nuova vita al giardino”.
                                                         (Yves Saint Laurent, citato in Une passion marocaine di Pierre Bergé)

Il giardino che Yves Saint Laurent e il suo compagno Pierre Bergé vollero così fortemente, era stato definito “una cattedrale di forme e di colori” dal suo creatore, il pittore Jacques Majorelle, che intendeva realizzare “un giardino impressionista”, dando vita a una versione mediterranea del celebre giardino di Claude Monet a Giverny. Figlio dell’ebanista Louis Majorelle – uno dei massimi esponenti di quel fiorire delle arti applicate che caratterizzò l’Art Nouveau – il giovane Jacques fu affascinato dalla cultura e dall’arte islamica durante un soggiorno in Egitto, iniziato nel 1910 quando aveva 24 anni, e destinato a protrarsi per quasi quattro anni. Nel 1917 si trasferiva in Marocco stabilendosi a Marrakech, che costituiva la base ideale per i frequenti viaggi nel sud del paese; nelle oasi del deserto e nelle Kasbah fortificate, lungo le vie carovaniere e nelle valli dell’Atlante, Majorelle fissava sulla tela le scene di vita quotidiana dei villaggi berberi, calcinati da un sole implacabile, e gli intensi contrasti di luce e ombra che creavano un’atmosfera quasi onirica nei vicoli affollati dei souk.

Fu l’acquisto di un terreno ai margini del grande palmeto in cui era immersa Marrakech, a segnare nel 1923 la vita di Majorelle, in un modo che forse neppure lo stesso artista poteva immaginare; vi fece costruire una villa in stile moresco dove si stabilì con la moglie, e iniziò a dare forma all’incolto spazio circostante: venne innalzato un muro di cinta e al centro fu posta una fontana, dalla quale ha origine una lunga e stretta vasca che forma quasi un sentiero d’acqua attraverso il giardino – tutti elementi caratteristici dei giardini arabo-andalusi, a cui l’artista si ispirò nel progettare il suo giardino.

Negli anni Trenta, l’architetto francese Paul Sinoir disegnò per Majorelle un edificio a due piani – destinato a ospitare l’atelier del pittore e uno studio – concepito nelle forme nitidamente geometriche proprie dello stile razionalista, all’avanguardia nell’architettura dell’epoca; di fronte a un elemento così esplicitamente “europeo” e moderno, Majorelle fece innalzare un piccolo padiglione di stile arabo, quasi a voler stemperare una presenza che appariva alquanto incisiva in quel contesto ambientale.

La mescolanza di stili eterogenei e apparentemente discordanti tra loro, s’inseriva in uno spazio che alternava zone di vegetazione lussureggiante – alberi, cespugli fioriti, grandi vasi di traboccanti di bougainvilles dalle intense sfumature, vasche dove le ninfee sembravano voler richiamare il giardino di Monet – con altre aride e sabbiose, in cui Majorelle riunì una collezione vasta e variegata di cactus con esemplari provenienti da tutto il mondo. Per quasi quaranta anni il giardino continuò ad arricchirsi di piante rare di ogni specie, e come lo stesso Majorelle scrisse: “Il pittore ha la modestia di considerare questo parco di verde e di fiori la sua opera più bella”.

Il colpo di genio, l’elemento innovativo che donò al giardino il suo carattere di unicità, creando un filo conduttore che armonizzava la varietà di stili architettonici e di specie vegetali, fu un colore: Majorelle fece dipingere dapprima le pareti dell’atelier e poi tutti gli edifici e gli elementi in muratura del giardino di un blu profondo, quella particolare tonalità tra il cobalto e l’oltremare che caratterizza alcune fra le opere più celebri di Matisse – come La danse – e che secondo Majorelle “ricorda l’Africa”. Un colore speciale, che da allora è identificato come “blu Majorelle”; nel blu dominante furono inserite “pennellate” di giallo intenso – vasi di ceramica che ospitavano piante fiorite, cornici di finestre – accostando due colori “impossibili” per la tavolozza della natura e in netto contrasto con il verde degli alberi e degli arbusti.

Jacques Majorelle aveva scritto: “Questo giardino è un impegno terribile, al quale mi dedico completamente. Mi prenderà gli ultimi anni di vita, e io cadrò esausto sotto i suoi rami, dopo avergli donato tutto il mio amore”; gli eventi della vita decisero altrimenti: nel 1947 fu costretto ad aprire al pubblico il giardino, nella speranza che il biglietto d’ingresso contribuisse a sostenerne i notevoli costi; in seguito, in difficoltà economiche e con problemi di salute dopo un grave incidente d’auto, dovette vendere una parte del terreno con l’atelier, e infine tutta la proprietà, per rientrare definitivamente in Francia.

Il giardino rimase aperto al pubblico, ma senza le amorevoli cure che Majorelle gli aveva dedicato per tanti anni, perse molto del suo splendore. Yves Saint Laurent, che ne scoprì il fascino magico durante gli anni Sessanta, lo acquistò nel 1980: da allora il giardino ha vissuto un’epoca di rinnovato splendore, e la sua flora si è progressivamente arricchita fino a contare oltre trecento specie. Quello che era stato l’atelier di Majorelle accoglie da qualche anno il Musée Berbère: una collezione di gioielli, tessuti, oggetti d’uso quotidiano e abiti che introducono nel mondo di quel popolo per molti aspetti leggendario e misterioso, che aveva affascinato Majorelle.

Pur occupando oggi uno spazio molto ridotto rispetto alle sue dimensioni originarie, il Jardin Majorelle conserva la magia di un piccolo universo segreto, dove il canto delle numerose specie di uccelli che lo popolano si mescola al mormorio della fontana e allo stormire delle fronde di palme e bambù, in quella che il suo creatore definì “opera d’arte vivente in movimento”.

Dettagli

Didascalie immagini

  1. Jacques Majorelle: Kasbah sull’Atlante
    (fonte)
  2. Un pannello con la mappa del giardino accoglie i visitatori all'ingresso
    (© Donata Brugioni)
  3. Veduta dell’atelier progettato dall’architetto Paul Sinoir (1931)
    (© Donata Brugioni)
  4. La lunga vasca che attraversa tutto il giardino vista dal piccolo padiglione dove Majorelle si ritirava a dipingere
    (© Donata Brugioni)
  5. Le finestre della villa che si affacciano su un piccolo patio sono decorate con elementi d’ispirazione moresca
    (© Donata Brugioni)
  6. Un angolo della vasca delle ninfee
    (© Donata Brugioni)
  7. Una vetrina del Musée Berbère
    (fonte)
     

IN COPERTINA
Per la prima pagina: Veduta della vasca delle ninfee
(© Donata Brugioni)