“E sapiate che questa è la migliore isola è la magiore di tutto il mondo, ché si dice ch’ella gira 4.000 miglia. E vivono di mercatantia e d’arti”. (Marco Polo, Il Milione)

La Route Nationale 7, che collega con un percorso di quasi mille chilometri la capitale del Madagascar, Antananarivo (Tana’ per i suoi abitanti) – nel cuore degli altipiani centrali – con il porto di Toliara, sul canale del Mozambico, è la spina dorsale dell’isola, l’asse portante lungo il quale si svolge la vita dei territori attraversati. Un’isola che è un continente, non solo per le sue dimensioni – ha una superficie che è tre volte quella dell’Italia – ma per la varietà e le diverse origini delle numerose etnie che la abitano: basta percorrere un centinaio di chilometri e cambiano non solo i paesaggi, il modo di abitare e perfino il clima, ma anche i volti della gente, che tradiscono origini a volte lontanissime.
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I primi ad arrivare approdarono alle coste orientali del Madagascar intorno al V secolo d.C., partiti dai lontani lidi dell’Indonesia e della Malesia attraversando l’Oceano Indiano su fragili legni. Si inoltrarono nel territorio montuoso dell’isola stabilendosi sugli altipiani, dove ancora oggi le etnie dei Merina e dei Betsileo, conservano i tratti somatici del lontano oriente. I Merina stabilirono ad Antananarivo la loro capitale agli inizi del XVII secolo, costruendo il palazzo reale in posizione dominante su una delle dodici colline che circondano una vasta pianura.
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Si trattava di un edificio strutturato secondo una complessa simbologia e interamente realizzato in legno, poiché secondo le credenze dei Merina alla dimora dei viventi doveva essere destinato un materiale vivo, mentre la pietra – in quanto materia inanimata – era riservata esclusivamente ai monumenti funebri. La struttura lignea del palazzo, costruito agli inizi dell’Ottocento per una delle regine Merina, fu poi racchiusa alcuni decenni dopo – per opera di un architetto scozzese – da una specie di “guscio” aperto verso l’esterno, un monumentale edificio di pietra che domina dall’alto tutta la città, divenuta oggi una metropoli di oltre due milioni di abitanti.
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Stanno scomparendo per lasciare posto ai nuovi quartieri della capitale le risaie che si distendevano ai piedi delle colline, e che sono una presenza costante nell’isola, dovunque fiumi e torrenti forniscano il necessario apporto di acqua. Come già al tempo di Marco Polo, i commerci (in gran parte prodotti agricoli) e le produzioni di un artigianato di qualità costituiscono il cuore della vita economica e sociale del Madagascar: quando, terminata la stagione delle piogge, si dà inizio al raccolto del riso, un movimento incessante di persone si snoda lungo la Route Nationale 7.
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Partono nel cuore della notte, camminano per chilometri verso il mercato più vicino, spingendo le mandrie di zebù e i carretti carichi dei prodotti della terra, le donne con grandi recipienti sulla testa, pieni delle verdure e della frutta di stagione, che disporranno con cura e una grazia innata su banchi improvvisati ai bordi della strada; stendono il riso appena raccolto ad asciugare su grandi teli negli spiazzi ai lati della carreggiata, e a volte sulla carreggiata stessa, lasciando appena lo spazio per transitare; le donne scendono ai corsi d’acqua e ai fiumi con pesanti carichi di panni da lavare, che dopo il bucato verranno distesi ad asciugare lungo le rive o appesi agli alberi in una sinfonia di colori vivaci che conferisce un’aria di festa anche ai capi più modesti e consunti.
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La Route 7 tocca alcuni fra i centri più popolosi dell’isola, ciascuno con proprie caratteristiche. Ecco Antsirabe, la città termale di epoca coloniale, che con i suoi 1.500 metri di altitudine offriva ai funzionari francesi e alle loro famiglie un’oasi di refrigerio; del suo passato di luogo elegante – fu detta “la Vichy del Madagascar” – restano le tracce della mondanità di un tempo, come l’Hotel des Thermes, dove soggiornarono ospiti illustri. Nel miscuglio di stili che caratterizza il centro della città, spiccano alcuni edifici di aspetto “nordico”, realizzati in uno Jugendstil del tutto inaspettato a queste latitudini: i primi europei a stabilirsi qui nel corso del XIX secolo furono i missionari protestanti norvegesi, che vi trasferirono le architetture della lontana patria.
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Cuore dell’antica sapienza nella lavorazione di legni pregiati, Ambositra ospita numerosi laboratori che tramandano disegni e tecniche immutate da generazioni, e i cui maestri assoluti sono gli Zafimaniry, una tribù che vive in villaggi isolati, nascosti nelle foreste a est della città; le loro abitazioni sono costituite da pannelli di legno finemente scolpiti, assemblati con straordinaria precisione senza l’uso di chiodi, utilizzando esclusivamente una raffinata tecnica di incastri.
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Fianarantsoa, circa 500 chilometri a sud di Antananarivo, fu fondata nel 1830 dalla regina Ravanalona come seconda capitale e conserva il suo nucleo originario nella Haute Ville, la “città alta”, costituita dalle caratteristiche case a due piani in mattoni rossi o argilla – con un portico dai massicci pilastri e balconate in legno scolpito – proprie dei Betsileo, l’etnia che abita la parte meridionale degli altipiani; una tipologia abitativa nata in seguito all’arrivo degli europei, che introdussero in Madagascar la fabbricazione dei mattoni, favorita dall’abbondanza di argilla rossa in tutta l’isola.
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Suggestivi i villaggi dei Betsileo (il cui nome significa “gli invincibili”) che costellano gli altipiani, circondati dalle risaie distese nel fondovalle e disposte a terrazze lungo i pendii, donando al paesaggio un aspetto che ricorda l’estremo Oriente; delle remote origini i Betsileo conservano anche la lingua, che appartiene al ceppo indonesiano-malese, e il culto degli antenati, che vengono onorati con cerimonie analoghe a quelle praticate ancora oggi in Indonesia, come la “famadihana” (riesumazione). Custodi di una sapienza antica, riescono – unici in tutta l’isola – a ottenere tre raccolti di riso all’anno, anziché due.
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Più a sud, la riserva naturale di Anja, gestita dalla comunità locale, ospita una numerosa colonia di lemuri Catta, dalla lunga coda ad anelli bianchi e neri, quelli che per l’immaginario collettivo rappresentano IL lemure (complice il film d’animazione Madagascar, che ebbe tanto successo anni fa), quando in realtà ad oggi sono stati classificati oltre cento tipi di lemuri, molto diversi tra loro per aspetto, dimensioni e abitudini (quasi la metà sono animali notturni).
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La manutenzione del parco è affidata a una cooperativa di donne: si avviano al lavoro con gli attrezzi in spalla, per lo più a piedi nudi ma indossando vezzosi cappelli di rafia colorata, ornati da fiocchi e fiori dello stesso materiale, realizzati secondo modelli che appaiono come un’estrosa rivisitazione della moda anni Trenta; copiati forse da quelli esibiti nei giorni di festa dalle mogli dei funzionari francesi in epoca coloniale, vengono indossati con disinvoltura per ripararsi dal sole cocente nelle fatiche del vivere quotidiano.
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Procedendo verso la costa, la Route 7 attraversa l’arido massiccio dell’Isalo, con le sue pareti di roccia modellata dal vento e dalle acque in fantastiche forme e profondi canyon. In quest’area disabitata e inospitale, la scoperta di una miniera di zaffiri alla fine degli anni Novanta ha fatto nascere dal nulla lungo la strada il nucleo di Ilakaka, oggi una città di sessantamila abitanti, violenta e senza legge, versione attuale di uno di quei villaggi che nacquero in America ai tempi della corsa all’oro: capanne raffazzonate con materiali provvisori, tirate su alla meglio da migliaia di disperati di ogni provenienza che scavano a mano la terra rossa, decisi a restare qui solo il tempo necessario per fare il “colpo grosso”. La stessa febbre più a nord, nella zona di Miandrivazo, anima le centinaia di persone che lungo i fiumi sbriciolano la terra compatta, pestandola con lunghi pali di legno e poi passandola al setaccio in acqua per estrarne qualche pagliuzza d’oro, in una fatica corale, che coinvolge tutta la comunità.
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A Toliara (Tuléar) la Route 7 termina sulle rive del canale di Mozambico, protette dalla Grande Barriera Corallina che si estende per quasi 500 km lungo la costa sud occidentale dell’isola, di fronte alla costa africana: dalla terra madre il Madagascar si è distaccato oltre 130 milioni di anni fa, portando con sé uno straordinario patrimonio di flora e di fauna che si è evoluto in maniera del tutto autonoma rispetto al continente: così, come i lemuri ne sono il simbolo animale, i baobab, presenti sull’isola con sei specie endemiche sulle otto esistenti al mondo, sono il simbolo arboreo del Madagascar, con la loro imponente altezza e con una longevità che non di rado dona loro oltre un millennio di vita.
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La Allée des baobabs (viale dei baobab) di Morondava, sulla costa a nord di Toliara, è divenuta la prima area protetta “monumento naturale” del Madagascar; i grandi alberi, maestosi nelle loro inconfondibili sagome, testimoni della vita quotidiana che scorre ai loro piedi lungo la strada di rossa terra battuta, sembrano animarsi nel cielo del tramonto, al momento del ritorno dai campi.

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