“Tarsìs commerciava con te, per le tue ricchezze d’ogni specie, scambiando le tue merci con argento, ferro, stagno e piombo.  Anche la Grecia, Tubal e Mesech commerciavano con te e scambiavano le tue merci con schiavi e oggetti di bronzo. Quelli di Togarmà ti fornivano in cambio cavalli da tiro, da corsa e muli. Gli abitanti di Dedan trafficavano con te; il commercio delle molte isole era nelle tue mani: ti davano in pagamento corni d’avorio ed ebano. Aram commerciava con te per la moltitudine dei tuoi prodotti e pagava le tue merci con pietre preziose, porpora, ricami, bisso, coralli e rubini. Con te commerciavano Giuda e il paese d’Israele. Ti davano in cambio grano di Minnìt, profumo, miele, olio e balsamo. Damasco trafficava con te per i tuoi numerosi prodotti, per i tuoi beni di ogni specie scambiando vino di Chelbòn e lana di Zacar. Vedàn e Iavàn da Uzàl ti rifornivano ferro lavorato, cassia e canna aromatica in cambio dei tuoi prodotti. Dedan trafficava con te in coperte di cavalli. L’Arabia e tutti i prìncipi di Kedàr mercanteggiavano con te: trafficavano con te agnelli, montoni e capri. I mercanti di Saba e di Raemà trafficavano con te, scambiando le tue merci con i più squisiti aromi, con ogni sorta di pietre preziose e con oro. Carran, Cannè, Eden, i mercanti di Saba, Assur, Kilmàd commerciavano con te.  Scambiavano con te vesti di lusso, mantelli di porpora e di broccato, tappeti tessuti a vari colori, funi ritorte e robuste, sul tuo mercato. Le navi di Tarsìs viaggiavano, portando le tue mercanzie. Così divenisti ricca e gloriosa in mezzo ai mari.”
(Ezechiele 27, 12-25)

Con queste parole, nella “Lamentazione sopra le Nazioni”, il profeta Ezechiele (VII secolo a. C.) descrive lo splendore di Tiro, città sulla costa orientale del Mediterraneo – all’estremo sud dell’odierno Libano – predicendole sciagure e distruzione totale. L’articolato e dettagliato anatema di Ezechiele, offre un quadro grandioso di quella che fu per millenni una città ricchissima e potente, crocevia di rotte che per terra e per mare vi facevano affluire merci preziose di ogni genere, oggetto di un commercio a largo raggio che coinvolgeva i paesi più lontani.

Sono ancora i testi biblici che narrano come Hiram, sovrano di Tiro, fornisse a Salomone il legno di cedro per la costruzione del Tempio di Gerusalemme, edificato attorno al 1.000 a.C. Nel Primo Libro dei Re si narra infatti che Hiram inviò un messaggio a Salomone: “Io farò tutto ciò che desideri riguardo al legname di cedro e al legname di cipresso. I miei servi li porteranno dal Libano al mare e li farò trasportare per mare su zattere fino al luogo che tu mi indicherai; li farò quindi scaricare là e tu li porterai via”. Delle immense foreste di cedri che coprivano fin da epoche remote i monti del Libano ben poco rimane: per millenni il loro legno pregiato fu utilizzato per realizzare gli alberi delle navi e i soffitti e i pannelli scolpiti destinati a palazzi ed edifici religiosi. Finalmente, nel XIX secolo si comprese l’importanza di questo patrimonio, e la regina Vittoria finanziò la costruzione di un muro di pietra attorno ai cento ettari residui di foresta per proteggerli da animali e uomini.

Oggi, sulle pendici del Monte Makmel, a circa duemila metri di altitudine, la Foresta dei cedri di Dio (Horsh Arz el-Rab) è protetta dell’UNESCO insieme alla vicina Valle di Qadisha, luogo di eremitaggio fin dagli albori del Cristianesimo. La crescita dei cedri del Libano è lentissima, arrivando a produrre esemplari millenari alti fino a quaranta metri, imponenti e maestosi; menzionato oltre settanta volte nella Bibbia, questo albero conserva un valore simbolico fortissimo per la sua terra di origine, dove la Foresta dei cedri di Dio è sopravvissuta a tutte le peripezie di un’area travagliata per secoli da guerre e invasioni; dal 1943, anno della costituzione del Libano come repubblica indipendente, un verde albero di cedro domina al centro della bandiera nazionale.

La nascita di Tiro risale al III millennio a.C., ma il momento di maggior splendore la città-stato fenicia lo visse a partire dal XII secolo a. C., quando iniziò la sua espansione. Con la fondazione di numerose colonie si creò una rete di porti che dalle coste del Mediterraneo orientale si estendeva fino all’Africa, alla penisola iberica e alla Sardegna. Destinata a divenire la più importante colonia di Tiro, Cartagine nacque nel IX secolo a.C.: tra storia e leggenda, la sua fondazione si fa risalire alla regina Didone. In Sardegna furono colonie di Tiro Tharros, Nora e Sulky, oggi Sant’Antioco – che tramanda il nome fenicio in quello della regione di cui fa parte, il Sulcis – e in Sicilia Palermo e Trapani.

A partire dal X secolo a.C. i coloni fenici portarono in tutta l’area mediterranea il primo alfabeto al mondo, nato fra Byblos e Tiro e dal quale derivarono poi l’alfabeto greco e quello latino; un’innovazione di portata immensa nella storia dell’umanità, che fino a quel momento utilizzava disegni e simboli per fissare la memoria di sé e delle proprie gesta. La prima scritta che comprende tutte le lettere dell’alfabeto fenicio si trova scolpita sul sarcofago del re Ahiram (X secolo a.C.), custodito presso il Museo Nazionale di Beirut: si tratta di una maledizione indirizzata ai violatori di tombe.

Lo splendore di Tiro durò a lungo e il sito archeologico che vediamo oggi è la testimonianza di quanto la città fosse ricca e vasta anche in età imperiale romana, fra il I e il III secolo d. C. La monumentale Via colonnata, che iniziava dal porto meridionale, rappresentava la porta d’ingresso al centro urbano, e dava immediatamente l’impressione di una ricchezza smisurata con i suoi undici metri di larghezza, i porticati con le colonne in marmo cipollino e la pavimentazione a mosaico. Il grande complesso delle cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, divenuto insufficiente per le esigenze di una città in espansione, fu integrato nel II secolo d.C. da un acquedotto che alimentava anche le Terme – imponenti per vastità e numero di ambienti – realizzate sui resti dell’antico porto egizio. Alla stessa epoca appartiene il grandioso ippodromo, che poteva contenere fino a cinquantamila spettatori, e che in tutto l’impero era secondo per capienza solo al Circo Massimo.

Non fu solo il legno di cedro dei monti alle sue spalle a fare la fortuna di Tiro, ma anche la produzione della preziosissima porpora, un colorante estratto da molluschi che proliferavano abbondantemente nel Mediterraneo. Intorno alla metà del II millennio a.C., i fenici iniziarono a produrla in seguito a una scoperta che leggende vogliono fortuita: il re di Tiro vide sulla spiaggia il proprio cane che mordeva un mollusco e la sua bocca si tingeva sempre più di viola.

Pur essendosi diffusa la produzione di questo colorante anche in altri centri del Mediterraneo, la porpora di Tiro era considerata la più pregiata in assoluto, anche per la raffinata tecnica di produzione, grazie alla quale si ottenevano varie sfumature di colore mescolando molluschi diversi in percentuali variabili. Per il suo altissimo costo – all’epoca dell’imperatore Diocleziano il valore di un grammo di porpora corrispondeva a quello di tre grammi d’oro – il tessuto tinto con la porpora divenne un simbolo di regalità. Mentre i senatori romani indossavano il laticlavio, una tunica bianca con una larga striscia di porpora, prerogativa dell’imperatore nelle cerimonie più importanti era il mantello realizzato interamente con questo tessuto.

In seguito, alla corte di Bisanzio le vesti di porpora erano riservate esclusivamente alla famiglia imperiale: nei mosaici di San Vitale a Ravenna, solo l’imperatore Giustiniano e la sua sposa indossano mantelli di questo materiale, e ancora nel IX secolo, l’imperatore Carlo Magno fu sepolto nella cattedrale di Aquisgrana avvolto in un sudario di seta tinto con porpora e intessuto con fili dorati. Oggi, questo colore tramanda il proprio valore simbolico nella veste dei cardinali della chiesa cattolica, quelli che si definiscono, appunto, i “porporati”.

Didascalie immagini

  1. Tiro (Libano): La Via colonnata, realizzata dai Romani nel II secolo d.C. costituiva l’ingresso in città per coloro che sbarcavano nel porto di Tiro
    (© Donata Brugioni)
  2. La Foresta dei cedri di Dio alle pendici del monte Makmel
    (© Donata Brugioni)
  3. La bandiera nazionale del Libano: al centro figura un albero di cedro stilizzato
  4. Sarcofago del re Ahiram (X secolo a.C), con la prima iscrizione conosciuta contenente tutti i caratteri dell’alfabeto fenicio; un dettaglio dell’iscrizione – Beirut, Museo Nazionale
    (© Donata Brugioni)
  5. Mappa del sito archeologico di Tiro: a sinistra in basso i resti della città nei pressi dell’antico porto, a destra (in azzurro) il grande ippodromo
    (© Donata Brugioni)
  6. Veduta dell’ippodromo e particolare della tribuna riservata alle autorità e ai cittadini più eminenti
    (© Donata Brugioni)
  7. L’imperatore Giustiniano e la sua corte – Ravenna, Chiesa di San Vitale (VI secolo d.C.)
    (fonte) https://es.wikipedia.org/wiki/Clavi
  8. Particolare dei sudario di Carlo Magno – Parigi, Musée de Cluny (IX secolo d. C.)
    (fonte) https://www.musee-moyenage.fr/collection/oeuvre/tissu-au-quadrige.html

in prima pagina:
Tiro (Libano): Resti della Via colonnata, realizzata dai Romani nel II secolo d.C.
(© Donata Brugioni)