In posizione elevata, a circa seicento metri di altezza al centro dell’antica regione storico-geografica del Meilogu nella Sardegna nord-occidentale, la cattedrale di San Pietro di Sorres domina da oltre otto secoli il breve altipiano su cui sorge l’abitato di Borutta. A pochi passi dall’edificio religioso, i resti di un nuraghe di epoca preistorica testimoniano come in questo luogo la presenza umana dati da tempo immemorabile, grazie alla posizione dominante che ne faceva un ideale punto di controllo sul territorio circostante: materiali punici, romani e bizantini restano a documentarne l’utilizzo per scopi militari attraverso i secoli, forse una torre di avvistamento presidiata fin dall’epoca nuragica. Ai piedi dell’altura su cui sorge la chiesa, si apre la grotta di Sa Rocca Ulàri, nella quale sono stati trovati segni della presenza umana dal Neolitico fino al Medioevo.

Nelle sue Leggende sarde, Grazia Deledda riporta quanto la tradizione narra a proposito dell’origine della cattedrale di San Pietro di Sorres, il cui disegno sarebbe stato ideato da una misteriosa fanciulla – una delle Janas, creature fatate che popolano l’immaginario collettivo della tradizione sarda. Intorno all’anno Mille, un giovane artista di passaggio si era innamorato di lei sentendola cantare mentre lavorava al telaio, e aveva ricevuto in dono dall’invisibile creatura che non si affacciava mai, ma esponeva soltanto i propri lavori alla finestra, un arazzo. Vi era raffigurata una meravigliosa chiesa, bianca e nera nelle strutture architettoniche e nelle decorazioni. Su questo modello, il giovane artista avrebbe progettato la cattedrale di San Pietro di Sorres: una leggenda nata forse dal desiderio di attribuire l’origine di così perfetta bellezza a un incantesimo frutto di magia, tanto appariva oltre i limiti della creatività umana.

La costruzione della chiesa, sorta probabilmente su un preesistente edificio di culto, iniziò negli anni Settanta del XII secolo e si protrasse fino agli inizi del successivo. San Pietro nasceva come cattedrale di Sorres, all’epoca sede vescovile, un centro abitato che alla fine del Quattrocento fu raso al suolo dagli Aragonesi, che non risparmiarono neppure il grande monastero benedettino di cui San Pietro faceva parte. Sul gradino d’ingresso della cattedrale è incisa la scritta Mariane Maistro, probabilmente il nome del principale artefice della costruzione: l’edificio fu commissionato dal Beato Goffredo da Meleduno, vescovo di Sorres dal 1171 al 1178, che come altri monaci-vescovi, proveniva da Chiaravalle (Clairvaux), il monastero benedettino fondato in Francia da San Bernardo.

A Chiaravalle Goffredo aveva conosciuto Gonario di Torres: erano stati proprio i genitori di quest’ultimo i committenti per la costruzione della basilica della SS. Trinità di Saccargia, non lontana da Sassari, completata intorno al 1120 e affidata ai monaci Camaldolesi, che vi fondarono un monastero. La chiesa rappresenta uno dei più significativi esempi di romanico pisano nel nord della Sardegna. Alla fine del XII secolo l’abside fu affrescata da un ignoto artista, formatosi probabilmente nell’Italia centrale: l’opera è l’unico esempio di pittura murale romanica in Sardegna pervenutaci in ottimo stato di conservazione.

L’arrivo a Sorres del vescovo-abate Goffredo dalla casa madre francese può avere contribuito alla presenza di maestranze d’oltralpe nel cantiere della cattedrale, come suggerisce lo sviluppo in altezza della chiesa: un’analogia con la chiesa abbaziale di Sant’Antimo, in terra di Siena, edificata mezzo secolo prima sul modello francese di Cluny. Alcune caratteristiche della chiesa di Sorres, del resto, la avvicinano a esempi toscani – specie pisani – della stessa epoca: i rombi nella decorazione della facciata e la bicromia che alterna fasce nere di basalto o trachite e di calcare bianco.

Del tutto originale è la bifora che si apre al di sopra del portale d’ingresso: gli archi a ferro di cavallo, tipici dell’architettura moresca, sono iscritti in una lunetta dalla finissima decorazione geometrica, che richiama le tassellature dei mosaici di arte islamica. La presenza di influenze arabo-normanne è una delle caratteristiche distintive del romanico pisano, nato nell’XI secolo in una città che guardava all’intero bacino del Mediterraneo piuttosto che all’entroterra. Il richiamo a edifici di Costantinopoli, del Cairo e dell’Andalusia moresca andava di pari passo con lo sviluppo delle relazioni commerciali e degli scambi culturali che la repubblica pisana intratteneva con quei territori.

Anche il timpano che sovrasta l’abside mostra una raffinata decorazione a fasce, alla quale è sovrapposta un’elegante e slanciata loggetta ad archi ciechi che crea un contrappunto con l’andamento orizzontale impresso dalle fasce stesse. La muratura dei fianchi, liscia e ininterrotta, culmina con una serie di archetti ciechi all’interno dei quali sono racchiuse decorazioni a tarsie che richiamano quelle sulla facciata e i cui significati simbolici restano in gran parte ancora enigmatici.

All’interno, le tre navate sono coperte da volte a crociera (che in genere nelle chiese romaniche venivano utilizzate per le navate laterali, mentre quella centrale aveva una copertura a capanna) in nero basalto, sul quale la malta delle commessure fra le pietre disegna un reticolo bianco. A metà della navata centrale sorge un pulpito scolpito di stile gotico, mentre sulla parete sinistra è stata collocata una Madonna con Bambino in legno dorato del XV secolo. L’insieme, con il perfetto, armonioso equilibrio tra forme e colori colpisce per l’impressione di inattesa, monumentale vastità che suscita, in contrasto con la compattezza serrata della facciata, interrotta da un solo portale d’ingresso.

Il complesso abbaziale, che dopo l’abbandono di secoli era ormai in rovina, è tornato a vivere negli anni Cinquanta del secolo scorso, quando vi si è stabilita una comunità di monaci benedettini provenienti da Parma. Il chiostro e il monastero sono stati ricostruiti in stile neoromanico, creando una struttura per offrire ospitalità a chi desideri condividere la vita monastica; vi si svolgono anche varie attività che comprendono il restauro di libri antichi, corsi di scrittura e miniatura medioevale e corsi di iconografia cristiana.