La nostra danza è tutta una gran festa,
tutta una gioia. Via se ne cancella
ogni dolore e ogni cura molesta.
La nostra danza è tal che di sé prezzo
alcun non ha. Non chiederne compenso
figlio mio, non donarla a poco prezzo!
(da Jalāl ad-Dīn Moḥammad Rūmī: La danza mistica)
Jalāl ad-Dīn Moḥammad Rūmī, semplicemente Rumi – oppure Mevlana (“la nostra guida”) per i Turchi – teologo, mistico e poeta, anzi il massimo poeta mistico della letteratura persiana, visse nel XIII secolo tra l’Asia centrale, dove era nato nel 1207 – e da dove la sua famiglia fu costretta a fuggire per l’invasione dei Mongoli – e l’Asia Minore. Dopo gli studi ad Aleppo e Damasco si stabilì a Konya, in Anatolia, dove concluse la sua esistenza nel 1273. A Konya divenne un maestro Sufi (la corrente mistica dell’Islam) e fondò una confraternita che ebbe ben presto molti discepoli, grazie alla sua profonda conoscenza delle dottrine teologiche e all’eloquenza con cui le illustrava, affascinando coloro che lo ascoltavano.
La confraternita fondata da Rumi prese il nome di Mevlevi (“Dervisci rotanti”), riferito alla cerimonia rituale della “danza dell’estasi”, il Semà, che ne costituisce l’espressione più rappresentativa, nella quale si uniscono musica, canto, poesia, pensiero, movimento, luce e colore: “Altamente emblematica, altamente spirituale, questa danza è l’espressione stessa della realtà divina e della realtà fenomenica, in un mondo in cui tutto, per sussistere, deve ruotare come gli atomi, come i pianeti, come il pensiero. Il Semà simbolizza l’ascesa spirituale – viaggio mistico dall’essere a Dio – in cui l’essere si dissolve ritornando poi sulla terra”. (Da Il Semà dei sufi (dervisci) Mevlevi – Articolo apparso sul n. 2 della rivista Sufismo, trimestrale di cultura e spiritualità, edito dalla Confraternita Sufi Jerrahi Halveti in Italia, 2007)
Della complessa simbologia che caratterizza il Semà fa parte anche l’abbigliamento dei dervisci: il mantello nero, simbolo della materia e dell’ignoranza, viene tolto prima dell’inizio della cerimonia; l’abito, bianco come il sudario, sta a significare la luce e il distacco dall’ego. Nella danza, accompagnata da flauti e tamburi, i dervisci ruotano in senso antiorario, con la mano destra rivolta al cielo, per raccogliere i doni divini, e la sinistra verso terra per distribuire agli altri i doni ricevuti dal cielo. Con il movimento, le vesti bianche si aprono come corolle di fiori, in un armonioso fluttuare ritmato dai tamburi che, insieme alla dolce musica del flauto ney, produce un effetto ipnotico, creando una mistica atmosfera d’intensa concentrazione.
Le confraternite Sufi si diffusero in tutto l’Islam, e numerosi furono i maestri che si distinsero per dottrina ed eloquenza, attirando attorno a sé allievi e devoti. Una declinazione particolare del sufismo si sviluppò in Sudan nel corso dell’Ottocento, quando il capo religioso e politico della confraternita dei dervisci, Muhammad Ahmad bin Abd Allah, autonominatosi Mahdi (“il ben guidato”, una figura dal valore messianico), si pose a capo di una rivolta contro la dominazione anglo-egiziana e riuscì a conquistare Khartoum; il Mahdi rimase al potere per quindici anni prima della definitiva sconfitta da parte degli inglesi nella battaglia di Omdurman (1898). All’epopea di questo straordinario prsonaggio sono stati dedicati romanzi e film, il più celebre dei quali, Khartoum, vedeva nei panni del Mahdi la figura inequivocabilmente british di Laurence Olivier.
Omdurman è oggi la principale città del Sudan, situata di fronte alla capitale Khartoum, dove Nilo Bianco e Nilo Azzurro uniscono le loro acque, mentre le diverse sfumature di colore dei due fiumi restano distinte per un lungo tratto. Qui, oltre al mausoleo del Mahdi – ricostruito dopo che era stato distrutto dagli inglesi – si trova quello di Hamad al Nil, uno dei capi dei dervisci vissuto nel XIX secolo: davanti alla sua sepoltura ogni venerdì pomeriggio, prima della preghiera della sera nella vicina moschea, si celebra la danza rituale dei dervisci locali, in una kermesse popolare dall’intensa partecipazione emotiva, ben diversa dall’atmosfera mistica e raccolta dei semà celebrati in Turchia e Medio Oriente.
Nella polverosa spianata del cimitero di Omdurman, i musicisti prendono posto con i loro strumenti a percussione davanti al mausoleo di Hamad al Nil; gruppi di donne negli abiti variopinti della festa assistono alla cerimonia, mentre i dervisci arrivano in corteo con cembali e bandiere e si dispongono in circolo.
Domina il bianco delle lunghe tuniche caratteristiche dei dervisci, tra le quali spiccano personaggi con abiti rossi e verdi, colori distintivi dei seguaci del Mahdi; non mancano gli sciamani, dal suggestivo abbigliamento con intarsi di pelli di animali, che portano in mano amuleti, bacchette e bastoni, a ricordarci come in Sudan l’Islam si sia sovrapposto alla precedente religione animistica, la cui presenza e influenza restano ancora molto forti.
La cerimonia inizia con il Madeeh, canti di ringraziamento al Profeta Maometto, ai quali partecipano anche gli spettatori. Si tratta di un evento corale che coinvolge tutti, compresi i bambini che circolano liberamente fra i danzatori: mentre le bambine osservano incuriosite, i maschietti cercano di riprodurre i movimenti dei dervisci.
Il volume delle percussioni e del canto, accompagnato dal ritmico battere delle mani di tutti i presenti, continua a salire; alcuni dervisci iniziano a ruotare vorticosamente, spesso su un piede solo, avvicinandosi a uno stato di trance: il ritmo ossessivo dei tamburi e il battito cardiaco si confondono, creando una sensazione di straniamento e allo stesso tempo d’immersione nel flusso di energia che sembra scaturire dal profondo della terra.
Un piccolo braciere passa di mano in mano tra i dervisci: il fumo dell’incenso e delle erbe aromatiche che si spande nell’aria è considerato una benedizione riservata ai fedeli, e contribuisce ad avviare la danza verso il culmine del pathos. Intanto, le ombre si fanno sempre più lunghe mentre il sole declina verso il tramonto; il richiamo alla preghiera che si leva dalla vicina moschea mette improvvisamente a tacere ogni altro suono e segna la fine della cerimonia.
Ci si rende improvvisamente conto che è trascorsa appena un’ora dall’inizio di un evento la cui dimensione esula da ogni misura del tempo e dello spazio concepibile razionalmente, toccando le radici profonde dell’essere che, nonostante tutte le sovrapposizioni, abitano ancora dentro ognuno di noi. Del semà scrisse Rumi nel suo Diwan (Canzoniere): “Chi non conosce la propria essenza, / colui ai cui occhi è nascosta questa bellezza lunare, / che se ne fa della danza e del tamburo?”.
Didascalie immagini
- Dervisci che danzano; dal cosiddetto Album dell’Imperatore (Miniatura persiana del XVI secolo)
(fonte) - Dervisci durante un Semà in onore di Rumi a Konya (Turchia)
(fonte) - La tomba del Mahdi a Omdurman (Sudan) (© Donata Brugioni)
- A Omdurman, il venerdì pomeriggio la folla si raduna sullo spiazzo davanti al mausoleo del saggio Sufi Hamad al Nil, ad attendere i dervisci che arrivano in corteo
(© Donata Brugioni) - Alle spalle dei musicisti, un gruppo di donne con gli abiti della festa assiste alla cerimonia, mentre il gruppo dei danzatori si dispone in cerchio al suono dei cembali
(© Donata Brugioni) - Accanto alle tuniche bianche, caratteristiche dei dervisci, spiccano alcuni danzatori con abiti rossi e verdi
(© Donata Brugioni) - Tra la folla circolano gli sciamani, che partecipano alla cerimonia testimoniando come in Sudan la religione animistica sia ancora diffusa e fortemente sentita
(© Donata Brugioni) - Anche i bambini assistono alla danza dei dervisci
(© Donata Brugioni) - Alcuni tra i dervisci che danzano raggiunge lo stato di trance ruotando vorticosamente senza sosta
(© Donata Brugioni) - Mentre il sole tramonta, il richiamo alla preghiera che si leva dalla vicina moschea segna la fine della cerimonia
(© Donata Brugioni)
in copertina:
Durante la cerimonia della danza dei dervisci, il venerdì pomeriggio a Omdurman (Sudan)
(© Donata Brugioni)
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