Per oltre mille anni, tra il VI secolo d.C e gli inizi del XVI, sull’altopiano andino nel cuore dell’odierno Ecuador, il popolo indigeno dei Cañari sviluppò una civiltà incentrata sul culto lunare e che faceva risalire l’origine della propria stirpe a una catastrofe climatica analoga al Diluvio universale. La storia dei Cañari incrociò quella degli Incas agli inizi del Cinquecento – circa mezzo secolo prima dell’arrivo degli spagnoli – quando gli Incas dal Perù si spinsero a nord, scatenando una guerra con alterne vicende, nella quale battaglie e stragi si susseguirono da entrambe le parti; ai massacri subentrò infine una politica di convivenza più o meno pacifica, favorita dal matrimonio dell’imperatore inca Túpac Yupanqui con una principessa di Quito.
Una testimonianza di questa intricata storia la offre il sito archeologico di Ingapirca (“il muro degli Inca”, in lingua quechua), il più importante dell’Ecuador, che sorge a tremiladuecento metri di altezza, circa ottanta chilometri a sud di Cuenca. Il sito ha origini Cañar: la pianta della città disegna la figura di un puma pronto al balzo e il tracciato sinuoso delle fondamenta di edifici e vie – a cui sono in gran parte ridotti i resti attuali – richiama allo stesso tempo la forma della falce lunare.
A Ingapirca sorgeva un tempio a pianta circolare dedicato alla Luna, la divinità più importante per i Cañari. Nei pressi si trova la tomba di una donna di alto rango, forse una sacerdotessa, affiancata da una sepoltura comune che accoglieva i resti di dieci fra uomini e donne, probabilmente sacrificati al momento della cerimonia funebre. Sulla tomba della sacerdotessa è innalzata una stele di pietra in forma di puma stilizzato.
Nell’area del tempio della Luna, in un grande masso di forma irregolare sono state scavate 28 coppette, apparentemente distribuite in modo casuale. Si tratta in realtà di un calendario lunare: l’acqua piovana che riempiva le piccole cavità rifletteva la luna nel suo moto attraverso il cielo, segnando la data e indicando i tempi per le attività agricole, dalla semina al raccolto, che i sacerdoti comunicavano alla popolazione in occasione delle festività stagionali.
Sul sito domina la mole di un’alta costruzione di forma ellittica, dall’aspetto di possente fortezza, che gli Inca sovrapposero alla struttura realizzata in precedenza dai Cañari attorno a una roccia sacra. Al culmine, la cella del Tempio del Sole – massima divinità incaica – veniva a occupare anche fisicamente il luogo destinato al culto lunare dai Cañari. Sulle pareti della cella alcune nicchie contenevano i sacri oggetti rituali, ed erano collocate in posizione tale da ricevere i raggi solari nel periodo della festa più importante, l’Inti Raymi (“resurrezione del sole” in lingua quechua), che si celebrava attorno al 21 giugno (nell’emisfero australe, il solstizio d’inverno).
L’architettura Inca, grandi blocchi di pietra verde sovrapposti e incastrati a secco con precisione millimetrica, si distingue nettamente dalle preesistenti strutture realizzate dai Cañari utilizzando pietre di un caldo colore dorato, fissate tra loro con l’uso di malta.
Ma la vera e profonda differenza tra le due culture è una visione dell’universo e dell’uomo praticamente opposta: presso i Cañari la struttura sociale era di tipo matriarcale e matrilineare, egualitaria e collettivista; le terre erano proprietà dell’intera comunità, che formava una sorta di clan; l’impero degli Inca, patriarcale e patrilineare, era caratterizzato invece da un potere fortemente centralizzato. Il dominio degli Inca sull’Ecuador che si protrasse solo per alcuni decenni, non sufficienti a mutare il carattere di una cultura radicata da secoli, lasciò un segno nell’uso diffuso della loro lingua, il quechua, che costituì un importante elemento di coesione tra comunità contigue ma fino a quel momento isolate dal punto di vista linguistico. In Ecuador il quechua è oggi lingua ufficialmente riconosciuta accanto allo spagnolo.
Al culto della luna, tramontato con l’arrivo degli inca, era connesso quello primigenio della Pachamama, la Madre Terra, oggetto di venerazione ancora oggi da parte di tutte le popolazioni andine. Nelle chiese sfolgoranti di ori, costruite dagli Spagnoli in epoca coloniale, spesso sul luogo degli antichi templi, gli indigeni pregano prostrati sul pavimento; ignorando la gloria degli altari sovrastati da Madonne in abiti sontuosi e lunghe chiome di capelli umani, o da Cristi laceri e sanguinanti, rivolgono al suolo le loro preghiere, mormorando a lungo in tono discorsivo e familiare all’indirizzo della Madre Terra.
Terra madre e matrigna, in un paese come l’Ecuador, che annovera sul proprio territorio decine di vulcani tra cui il Cotopaxi (“collo della luna” in lingua quechua), che con i suoi quasi seimila metri è il più alto vulcano attivo al mondo; così importante la Pachamama, da figurare nella nuova costituzione dell’Ecuador (2008) come un soggetto i cui diritti sono espressamente riconosciuti: “La natura, o Pachamama, dove la vita si riproduce e ha luogo, ha il diritto di essere integralmente rispettata per la propria esistenza e per il mantenimento e la rigenerazione dei suoi cicli vitali, della sua struttura, funzioni e processi evolutivi.”
Didascalie immagini
- Veduta del sito preincaico di Ingapirca (Ecuador)
(© Donata Brugioni) - Mappa del sito di Ingapirca
(© Donata Brugioni) - Resti del tempio lunare con la stele in forma di puma
(© Donata Brugioni) - Calendario lunare: l’acqua piovana che riempiva le piccole cavità rifletteva la luna nel suo moto attraverso il cielo, indicando la data e segnando i tempi per le attività agricole, dalla semina al raccolto
(© Donata Brugioni) - Il Tempio del Sole, costruito dagli Inca in pietra verde sopra un precedente luogo di culto lunare Cañar, e la cella con le nicchie per gli oggetti di culto
(© Donata Brugioni) - Le pietre della costruzione incaica sono tagliate e sovrapposte con precisione millimetrica
(© Donata Brugioni) - Oreficeria di epoca preincaica, al centro raffigurazione di divinità lunare. Quito, Museo Nacional del Ecuador
(© Donata Brugioni) - Il cono del vulcano Cotopaxi (in lingua quechua “collo della luna”), che con la sua altezza di quasi seimila metri è il più alto vulcano attivo al mondo. L’ultima imponente eruzione si è verificata nel 2015
(© Donata Brugioni)
in prima pagina:
Oreficeria di epoca preincaica, al centro raffigurazione di divinità lunare. Quito, Museo Nacional del Ecuador
(© Donata Brugioni)