Davide disse a Saul: «Nessuno si perda d’animo a causa di costui. Il tuo servo andrà a combattere con questo Filisteo». Saul rispose a Davide: «Tu non puoi andare contro questo Filisteo a batterti con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d’armi fin dalla sua giovinezza».
La Sacra Bibbia, 1 Samuele, 17, 32-33
L’immagine del personaggio biblico di David, fusa nel bronzo da Donatello e Verrocchio nella Firenze quattrocentesca, e scolpita nel marmo da Michelangelo nei primi anni del Cinquecento, fu assunta come simbolo dalla Repubblica fiorentina nel tempo in cui cercava di difendere la propria libertà e autonomia dai nemici interni ed esterni. Il piccolo pastore armato solo di una fionda, che ha l’ardire e l’incoscienza di affrontare un nemico possente ed equipaggiato di tutto punto, è la personificazione di come coraggio, intelligenza e amore per la propria terra riescano ad avere ragione di forze all’apparenza imbattibili.
Remota nel tempo e nello spazio, questa presenza ideale affiora alla mente quando in Vietnam si visitano i tunnel di Ben Duoc, nell’area di Cu Chi, una trentina di chilometri a nord di quella che fu Saigon e che è oggi Ho Chi Min City. Già al tempo delle colonie francesi d’Indocina, i vietnamiti iniziarono a scavare una serie di tunnel in diverse zone del paese per nascondere armi e uomini impegnati in azioni di guerriglia contro gli occupanti; la massima estensione questo mondo sotterraneo la raggiunse nel corso della guerra contro il regime filo-americano che governava il Vietnam del Sud e contro gli Stati Uniti che lo appoggiavano, durante quella che i vietnamiti chiamano ancora oggi “la guerra americana“.
Alla fine del conflitto i tunnel si estendevano complessivamente per duecentocinquanta chilometri, dalla periferia di Saigon al confine cambogiano, concentrati in punti strategici del Sud Vietnam. Oggi ne sono stati recuperati e aperti ai visitatori due tratti, a testimonianza della lotta per l’indipendenza che dal sottosuolo, con enorme spirito di sacrificio e coraggio, il popolo vietnamita condusse contro gli occupanti. Dal complesso di Cu Chi – che si trovava nelle immediate vicinanze di un’importante base americana – partirono nel corso degli anni Sessanta numerose azioni di guerriglia da parte dei Viet Cong (il Fronte di liberazione nazionale del Vietnam del Sud).
I Viet Cong ebbero un ruolo determinante anche nell’offensiva del Tet – condotta dall’esercito nord vietnamita in occasione del Capodanno lunare del 1968 – che segnò un momento decisivo nel conflitto con gli Stati Uniti. In seguito, la serie di bombardamenti “a tappeto”, che l’aviazione americana continuò a effettuare fino al definitivo ritiro dall’area di Cu Chi nel 1972, provocò gravi danni alla rete dei tunnel rendendoli in parte impraticabili.
Nei tunnel c’era tutto quanto serviva a una complessa organizzazione, dagli spazi per le riunioni strategiche ai dormitori, dalle cucine all’infermeria, fino ai depositi di armi e munizioni. Nell’intrico di cunicoli, larghi meno di un metro e alti poco di più, immersi in un buio appena rischiarato da qualche fioco lume, l’aria stagnante e la compagnia di una folta popolazione d’insetti, rettili velenosi e roditori contribuivano a rendere terribili le condizioni per chi vi soggiornava.
All’esterno, le prese d’aria erano mimetizzate nelle basi di formicai fatti crescere opportunamente, e gli ingressi ai tunnel erano piccole botole – nascoste dal tappeto di foglie che copre il suolo – nelle quali solo i vietnamiti, piccoli e magri, potevano entrare; impossibile penetrarvi per i soldati americani, di mole assai maggiore. Il territorio era disseminato di trappole, rudimentali ma ingegnose e micidiali, realizzate con le tecniche usate dai contadini per catturare e uccidere gli animali selvatici. Durante la visita, è possibile scendere nei cunicoli: il tratto percorribile è lungo poco più di cento metri, intervallati da uscite per chi non riesce (e sono i più) a tollerare la sensazione claustrofobica e arrivare fino in fondo. Una prova che meglio di qualsiasi descrizione fornisce una vaga idea di quale potesse essere la vita sotterranea, con l’unico obiettivo di “sopravvivere per combattere un altro giorno”.
Uomini e donne trascorrevano spesso più giorni di seguito dentro i tunnel, in attesa di uscire di notte per compiere azioni di combattimento e sabotaggio o per rifornirsi di acqua e dello scarso cibo che potevano procurarsi grazie all’appoggio dei contadini dei villaggi nei dintorni. Fondamentale in questo fu il ruolo delle donne, che combattevano a fianco dei loro compagni e che si autonominarono “l’esercito dai capelli lunghi”, impegnate sul campo e nelle attività di supporto che si svolgevano nei tunnel, dalla cura dei feriti alla cucina (in condizioni inimmaginabili, perché il fumo non poteva levarsi all’esterno in una colonna visibile dagli elicotteri in costante perlustrazione e veniva filtrato attraverso strati di foglie), fino alla preparazione delle munizioni e alla realizzazione delle divise per i combattenti.
Nei tunnel si viveva, si moriva (la seconda causa di morte dopo le ferite in combattimento era la malaria), ma anche si nasceva: in uno stretto cubicolo adibito a “sala parto” nascevano bambini per i quali l’espressione “venire alla luce” appare un’amara ironia della sorte; qui, durante il conflitto, nacquero oltre quaranta bambini. Nel mondo “di sopra”, le donne dei villaggi fornivano i mezzi di sostentamento alla comunità sotterranea dei Viet Cong, rischiando la vita per dare al nemico, vicino e sempre presente, l’impressione di una quotidiana normalità.
Nel Centro Visitatori, che introduce al percorso attraverso le varie postazioni nella giungla, viene proiettato un filmato realizzato con spezzoni d’epoca che alternano scene di combattimenti e di vita contadina: immagini sfocate, evanescenti, girate con mezzi di fortuna, ma che forse proprio per questo riescono a colpire lo spettatore e a rendere tangibile quanto avvenuto in questi luoghi. Un grande pannello luminoso che riproduce una sezione dei tunnel e della loro articolazione su più livelli (fino a una profondità di dieci metri) facilita la comprensione della complessità di un’opera gigantesca.
Intanto, la fanteria americana si muoveva attraverso la giungla alla ricerca di un nemico sfuggente e invisibile, in un ambiente sconosciuto e ostile; soldati di leva, poco più che ragazzi, per i quali le sole alternative erano il carcere come obiettori di coscienza o – per chi ne aveva i mezzi – l’espatrio in Canada in attesa che la guerra finisse. Anche per loro appaiono appropriati i versi dedicati dal poeta ottocentesco Giuseppe Giusti agli uomini che l’impero austroungarico spediva dalle più remote province dei propri domini a contrastare i moti irredentisti nel Lombardo-Veneto “strumenti ciechi d’occhiuta rapina / che lor non tocca, e che forse non sanno”.
Forte fu l’opposizione dei giovani in patria a una guerra impopolare, che in una continua escalation portò a impiegare in Vietnam fino a mezzo milione di uomini contemporaneamente. Il movimento pacifista, iniziato in California nel 1965 con una marcia di diecimila studenti universitari, fu il punto di partenza di un’inarrestabile fiumana destinata a dilagare in tutto l’Occidente, un fenomeno sociale e culturale che avrebbe caratterizzato un decennio, coinvolgendo ogni aspetto dell’espressione artistica, dalla letteratura alla musica, alle arti figurative. E fu il Sessantotto. Gli Stati Uniti stavano bruciando un’intera generazione nelle giungle d’Indocina, e certamente gli esiti infausti dell’impiego di giovani mandati allo sbaraglio contro un nemico invisibile quanto determinato, giocarono un ruolo chiave nella decisione di abolire il servizio militare obbligatorio, che coincise con il progressivo ritiro delle truppe dal Vietnam.
Quando nel 1973 gli Stati Uniti lasciarono definitivamente il Vietnam, avevano sganciato su un paese poco più grande dell’Italia un totale di quattordici milioni di tonnellate di bombe, tre volte quelle impiegate in tutta la seconda guerra mondiale. Nel Museo dei Resti della Guerra (Nha Trung Bay Toi Ac Chien Tranh) a Ho Chi Min City, situato all’interno dell’edificio in cui aveva sede il quartier generale della United States Information Agency, il percorso espositivo si apre con una bacheca nella quale sono esposte le decorazioni ricevute dal Sergente William Brown per le sue azioni durante la guerra. Il militare americano ha voluto donarle al Museo, con la dedica: “Al popolo del Vietnam Unito. Avevo torto. Mi dispiace”.
A quaranta anni dalla fine della guerra e dalla riunificazione del Vietnam, nel novembre 2015 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in visita di Stato in Vietnam, deponeva una corona al Monumento degli Eroi Nazionali e dei Martiri (Bac Son, Hoang Dieu) di Hanoi, dedicato anche alla memoria dei seimila uomini e donne che caddero combattendo nei tunnel di Cu Chi. Scarsamente equipaggiati e con il solo supporto dei villaggi circostanti – che pagarono alla guerra il pesante tributo di decine di migliaia di vite – tennero testa a un nemico dotato di tutte le tecnologie più avanzate: elicotteri, artiglieria, bombardieri e armi chimiche, i cui effetti non sono ancora del tutto cessati.
Didascalie immagini
- Donatello: David (part.), Firenze, Museo del Bargello
(fonte) - Mappa del sito di Ben Duoc nel distretto di Cu Chi, in un parco di trecento ettari lungo il fiume Mekong
(foto © Donata Brugioni) - Nel Centro Visitatori di Ben Duoc un pannello luminoso riproduce una sezione dei tunnel e della loro articolazione su più livelli
(foto © Donata Brugioni) - Le botole di accesso ai tunnel, appena sufficienti per il passaggio di persone dalla corporatura minuta, sono facilmente mimetizzabili
(foto © Donata Brugioni) - Una delle scale di accesso vista dall’interno di un tunnel
(foto © Donata Brugioni) - I formicai venivano fatti crescere sulle prese d’aria, poste a circa venti metri l’una dall’altra, per mimetizzarle
(foto © Donata Brugioni) - Una serie di manichini con indosso le divise dei Viet Cong illustra le varie attività, fra cui la preparazione di munizioni realizzate utilizzando il metallo di proiettili nemici
(foto © Donata Brugioni) - Uno spazio destinato al riposo e alla sorveglianza di uno degli accessi ai piani inferiori dei tunnel
(foto © Donata Brugioni) - Una giovanissima combattente in un fotogramma del documentario realizzato con filmati d’epoca, proiettato nel Centro Visite di Ben Duoc a Cu Chi
(foto © Donata Brugioni) - Proteste davanti al Pentagono durante la guerra del Vietnam
(fonte) - Nel Museo dei Resti della Guerra di Ho Chi Minh City sono esposte le decorazioni che il Sergente William Brown, 173a Brigata Aviotrasportata, 503mo Fanteria, ha voluto donare al Museo con la dedica: “Al popolo del Vietnam Unito. Avevo torto. Mi dispiace”
(fonte) - Nel novembre 2015, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella depone una corona al Monumento degli Eroi Nazionali e dei Martiri (Bac Son, Hoang Dieu) ad Hanoi.
(fonte)
in prima pagina:
Una giovanissima combattente in un fotogramma del documentario realizzato con filmati d’epoca, proiettato nel Centro Visite di Ben Duoc a Cu Chi
(foto © Donata Brugioni)
[particolare]