Dopo l’esordio in concorso alla 73ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e il passaggio al France Odeon, è arrivato finalmente sugli schermi Una vita, une vie che Stéphane Brizé ha liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Guy de Maupassant.
Normandia, 1819. La giovane Jeanne, figlia unica del barone Le Perthuis des Vauds, è tornata a casa non ancora ventenne dal convento di clausura dove è stata educata nell’innocenza, con intatti tutti i miti dell’infanzia sulle questioni della vita e pronta a immolarsi alla devozione di un amore romantico.
“Ella usciva intanto dal chiuso, raggiante, piena di vivacità e di desiderio, pronta a tutte le gioie, a tutti i casi piacevoli che il suo spirito aveva già percorso nell’ozio dei giorni, nella lunghezza delle notti, nella solitudine delle speranze.“
In un arco temporale di ventisette anni il racconto segue lo scorrere della vita di Jeanne, dal matrimonio con il visconte Julien de Lamare alla perdita di tutte le sue illusioni, l’impatto con la realtà imperfetta degli esseri umani e la scoperta del dolore come inevitabile parte costitutiva dell’esistenza. La gioia sì, ma anche la rovina.
Il regista Stéphane Brizé ha cullato per vent’anni questo progetto, insieme all’attrice Florence Vignon che firma con lui la sceneggiatura, e adotta un linguaggio filmico semplice e rigoroso, efficacemente costruito sui contrasti. Lasciando ogni comunicazione alle immagini il film pone continuamente a confronto momenti cupi con ricordi di una serenità perduta, la dissonanza tra ciò che le parole rivelano e quello che l’apparenza lasciava credere; ecco allora irrompere improvvise sullo schermo scene luminose e idilliache, spesso mute come vecchi filmini familiari in Super 8, a squarciare il buio della disperazione e a darci visione di un dolce passato che rende ancora più crudele l’accettazione del presente.
Trasportando sullo schermo solo sezioni essenziali dell’opera di Maupassant utili a restituirne intatto lo spirito, il film esordisce improvviso senza preamboli, introducendo bruscamente al mondo della giovane Jeanne che la sequenza iniziale coglie col padre alla cura dell’orto, proseguendo poi per omissioni di tutto ciò che non è necessario; come il matrimonio che non è mostrato, ma acquisito automaticamente come dato di fatto in un semplice passaggio da una scena all’altra. Nello stesso modo vediamo la giovane alla finestra mentre ascoltiamo le trattative per concludere le nozze, col risultato di una visione scarna che va dritta all’essenza del personaggio.
In un formato quasi quadrato di 1:33 anche lo schermo è antitesi alla spettacolarità da kolossal storico, il nervosismo della macchina da presa a spalla costantemente incollata addosso alla protagonista, interpretata da Judith Chemla, conferisce un senso di realtà contemporanea; l’assenza quasi totale di campi lunghi rende tangibile l’ignoranza della giovane per le cose del mondo. La predominanza di primi piani e mezzibusti, anche nelle conversazioni che lasciano fuori campo gli interlocutori, avvicina alla visione interiore della protagonista e sancisce in modo concreto anche per noi la sua incapacità ad avere una visione complessiva della realtà circostante.
Perciò il campo lungo improvviso s’impone potente a incarnare lo shock di Jeanne, inseguita nel buio dal marito infedele, in cui il bianco delle loro camicie da notte si staglia nell’oscurità trasformandoli in fantasmi, inquieti per la ferocia delle emozioni nella scoperta del tradimento. Sublime anche la sequenza del corteo funebre, accompagnata dalla lettura di un carteggio segreto che getta nuova luce sulla condotta in vita della persona defunta, a ribadire come ogni umana passione sia invariabilmente destinata alla polvere.
La musica è usata con intelligente parsimonia, due brani di Jacques Duphly (1715 – 1789) eseguiti al piano da Olivier Baumont che ne ha composto un terzo originale, sono tutta la colonna sonora del film.
Fedele a una concezione che utilizza solo luce naturale – imprescindibile la lezione del Barry Lyndon di Stanley Kubrick per chiunque voglia realizzare film in costume di stampo realistico – Una vita, une vie è un’opera d’Arte cinematografica di pregio e raffinatezza che sfiora il capolavoro.
Semplicemente sublime.