
Compie venticinque anni The Truman Show di Peter Weir, oggetto epocale, profetico oltre ogni previsione e per questo attualissimo oggi più di allora, che fece il suo esordio fuori concorso alla 55ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica La Biennale di Venezia nel settembre 1998, un’opera iconica diventata ormai vero e proprio oggetto di culto; come ha dimostrato anche il manifesto ufficiale del 75° Festival di Cannes che l’anno scorso utilizzava un fotogramma del film.
Sceneggiatura originale del neozelandese Andrew Niccol, che aveva esordito alla regia soltanto l’anno prima con il suo meraviglioso Gattaca – la porta dell’universo, The Truman Show presenta una visione cinica della società attraverso la metafora di un colossale reality show, in diretta mondiale ventiquattr’ore su ventiquattro, costruito intorno al suo inconsapevole protagonista Truman Burbank, l’unico a non sapere di vivere in un mondo fittizio realizzato a suo uso e consumo dal creatore televisivo Christof.
Alla possente forza premonitrice del film non va solo riconosciuto il valore antropologico di aver previsto l’avvento degli innumerevoli programmi tv che millantano una riproduzione della realtà, rinchiudendo un gruppo eterogeneo di persone ed esponendolo allo sguardo del pubblico, ma anche e soprattutto l’intuizione di smascherare la condizione esistenziale dell’uomo occidentale contemporaneo. Negli impegni finanziari che la moglie di Truman elenca per sedare la sua voglia di andarsene via, riverberano tutte le catene sociali che la società dei consumi crea per legare a sé gli individui, usandoli per il proprio profitto con la creazione di effimere esigenze presentate come imprescindibili; una manipolazione della realtà con fini diversi dal benessere dichiarato, che negli ultimi tre anni ha avuto un’accelerazione, evidenziando la presenza di una regia globale ai più sconosciuta e insospettata.

Un’intuizione di Peter Weir ha spostato l’ambientazione dalla New York del testo originale a una città ideale – individuata a Seaside in Florida – che, nonostante sia un posto reale abitato davvero, appare del tutto fittizio; l’autore Andrew Niccol e il cineasta australiano sono arrivati a sedici stesure della sceneggiatura, per essere certi che ogni dettaglio della storia risultasse plausibile, mentre aspettavano che Jim Carrey fosse libero da precedenti impegni per interpretare Truman.

La scelta dell’attore canadese come protagonista fu un azzardo perché nessuno gli aveva ancora chiesto sfumature più complesse, dopo tanta gavetta era diventato famoso con film comico-demenziali come Ace Ventura e The Mask, iniziando proprio con The Truman Show una nuova fase della carriera. Straordinari anche Laura Linney, divertente e inquietante nei panni di Meryl, moglie di Truman, e Ed Harris che per il suo Christof ebbe solo tre giorni di preparazione al ruolo.

L’attore del New Jersey diede vita all’interpretazione contraddittoria di questo ‘creatore’ che ama e strumentalizza allo stesso tempo la sua creatura, vincendo il Golden Globe e ottenendo una delle tre candidature all’Oscar del film; le altre andarono a regia e sceneggiatura originale. Tutti i personaggi costretti a vivere la finzione del Truman Show sono problematici, consapevoli di dover tradire i sentimenti per Truman, come l’amico Marlon interpretato da Noah Emmerich.

Oggi il film di Peter Weir può essere letto anche come metafora dell’ossessione contemporanea per i social network, strumenti utili a chiunque aspiri a visibilità – protagonista del suo mondo – anche se Truman non sa di vivere sotto gli occhi del mondo intero; una considerazione tangibile nella regia con punti di vista accidentali, utili a suggerire la sorveglianza nascosta cui è sottoposto il protagonista dello spettacolo o l’imprevedibile casualità di punti di vista poco ortodossi.

Tra le trovate di Jim Carrey, come i disegni col sapone sullo specchio del bagno, e la profondità etica delle riflessioni che The Truman Show è in grado di sollevare ancora oggi, il film è ormai parte per sempre del patrimonio collettivo comune, tanto da aver generato anche un modo di dire quando il titolo è citato come sinonimo di falso teatrino senza consistenza. Immortale.