
Per la prima volta nella sua lunga carriera Steven Spielberg realizza un’opera dichiaratamente autobiografica e con The Fabelmans porta sullo schermo la storia della sua famiglia partendo dalle origini della sua passione per la Settima Arte.
Il padre di E.T. l’extra-terrestre ha sempre ammesso la presenza, inevitabile a suo dire, di tracce personali nelle storie portate sullo schermo, derivate dal vissuto – “La maggior parte dei miei film sono una riflessione su cosa mi è accaduto in vita. Anche quando a scrivere la sceneggiatura è qualcun altro, c’è sempre qualcosa di me che deborda nei film, che mi piaccia o no.” – la vera novità è che questa volta si tratta di vera e propria narrazione, costruita sul ricordo di un periodo cruciale nella formazione, umana prima che professionale, dai sette ai diciotto anni, del grande cineasta che ha reinventato il cinema di Hollywood con i suoi blockbusters.
Il film si apre col racconto della prima esperienza in una sala cinematografica del piccolo Sammy Fabelmans, alter ego del regista, che il 10 gennaio 1952 con i genitori assiste alla premiere del primo film per adulti della sua vita: Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille. Prima di entrare il bimbo esprime il suo timore di dover stare in un luogo buio, ma riceve conforto da parte del padre Burt che gli spiega la tecnica dietro l’illusione del movimento, mentre la mamma Mitzi richiama la sua attenzione sul fascino di sognare a occhi aperti davanti allo schermo.
È la folgorazione, il germoglio di una vocazione ancora viva che continua a regalare al pubblico opere imprescindibili, destinate a entrare di diritto nella Storia del cinema.

The Fabelmans è un film stratificato e complesso con molteplici piani di lettura, senza alcuna traccia di autoreferenzialità che in qualche modo ripercorre gli oltre cinquant’anni di carriera dell’autore; numerose situazioni si richiamano al suo Cinema, dai primi acerbi filmini amatoriali di ambientazione bellica che rimandano al potente incipit di Salvate il soldato Ryan alla festa da ballo di fine anno che ricorda Ritorno al futuro, diretto da Zemeckis, ma prodotto da Spielberg.

Una storia di famiglia personale, racconto del trauma che ha segnato la vita del giovane Steven e diario formale del suo modo di concepire il cinema come spettacolo d’intrattenimento e come forma d’arte, ma anche aperta riflessione sulla potenza del mezzo cinematografico; i postumi emotivi della proiezione del film sulla festa in spiaggia della classe 1964 esalta le capacità manipolatorie del montaggio, capace di amplificare la realtà trasfigurandola nel mito.

Un doloroso atto d’amore verso i genitori Leah e Arnold, a cui il film è dedicato, ma anche verso il cinema come rivelazione ed elaborazione. Il racconto della scoperta che Spielberg fece davvero montando filmini familiari, rivelatori di qualcosa sempre stato sotto i suoi occhi, ma messo in luce soltanto dalla visione postuma, è uno dei primi aneddoti raccontati all’amico Tony Kushner già sul set di Munich nel 2004, che poi ha raccolto appunti e scritto la sceneggiatura insieme a lui.

The Fabelmans deve molto anche ai ricordi delle sorelle di Steven e alle ottime interpretazioni di Michelle Williams, vera protagonista femminile nel ruolo della madre, Paul Dano che dà volto al padre ingegnere informatico, Seth Rogen che è l’amico di famiglia Bennie, ma anche soprattutto alla prova dello sconosciuto Gabriel LaBelle scritturato per incarnare il giovane Spielberg e di Mateo Zoryon Francis-DeFord, straordinario nel restituire lo stupore del regista bambino.

Premiato dal pubblico al Toronto International Film Festival, con l’ironico movimento di macchina finale ‘dedicato’ a John Ford, il bellissimo The Fabelmans di Steven Spielberg sarà nelle sale italiane dal 22 dicembre e, forte delle cinque candidature ai Golden Globe, si avvia a essere tra i protagonisti della prossima corsa all’Oscar.