‘Sto pensando di finirla qui!‘. Detta così, senza soggetto, questa dichiarazione inevitabilmente assume il valore più assoluto – la vita – e le riflessioni che aprono il film su come un pensiero invadente, una volta formulato tuo malgrado, ti si possa attaccare addosso restando in agguato nell’ombra senza andarsene più, inducono a dare credito a questa interpretazione.
‘Non si può fingere un pensiero. Un pensiero può essere più reale, più vero, di un’azione‘ riflette la ragazza in attesa sul marciapiede del fidanzato Jake; non stanno insieme da molto e questo è il loro primo viaggio insieme fuori città, in auto sotto la neve di gennaio, per andare in campagna a trovare i genitori di lui impazienti di conoscerla.
Il flusso di pensieri della nostra protagonista ci sommerge, informandoci dell’intesa profonda nata in questa giovane coppia, nonostante ancora non si conoscano a fondo; eppure non c’è entusiasmo né felicità per questa prima trasferta insieme, anzi si riaffaccia quel tarlo – ‘Sto pensando di finirla qui‘ – e allora è questa relazione sentimentale, ancora verde, a diventare soggetto di un proposito così definitivo.
L’auto sfreccia veloce e nel paesaggio s’inseguono fienili con fattorie tutte uguali, lo sguardo di lei è catturato dalla monotonia di questa visione mentre lui sembra quasi percepire i suoi pensieri, così presente e pieno di premure… ma una nota stonata nell’aria dà forza all’idea che qualcosa di strano e inspiegabile debba accadere. Inspiegabile e insensato, come l’altalena nuova fiammante installata accanto al rudere di una casa cadente, a pezzi, visibilmente abbandonata ormai da lunghi anni.
Inizia così Sto pensando di finirla qui di Charlie Kaufman, tratto dall’omonimo romanzo d’esordio del canadese Iain Reid, che pure è così affine a tutta l’opera dell’autore di Essere John Malkovich da sembrare suo materiale originale; il nuovo lungometraggio diretto da Kaufman a cinque anni dal cartone animato Anomalisa, è l’ennesimo sprofondare in un mondo complesso con il coraggio del cineasta di attingere anche da impopolari stati depressivi, come fonte di perplessità esistenziali.
Ironico il fare nomi e cognomi del film, senza problemi, col cartello ‘Diretto da Robert Zemeckis‘ che fa irruzione come emblema di certo cinema commerciale hollywoodiano, stucchevole e improntato a un bieco buonismo, concepito per un conforto senza riflessione che induca al consumo – perciò dannoso alla salute come zuccheri industriali – o l’adozione di Oklahoma! come prototipo del musical portatore di trite banalità, innescate per distrarre l’attenzione del pubblico dalla propria mediocrità.
Sto pensando di finirla qui affronta il tema del maschilismo strutturale della società – con la donna che ammette ‘Non ti insegnano a dire No!‘ – e riflette sull’identità individuale, quando si chiede come si possa riconoscere un’idea che ci appartiene davvero, senza essere somma prodotta di tutto ciò che abbiamo visto; ma affronta anche il tema della violenza, in modo discreto però, disseminando piccoli indizi qua e là – come l’accenno alla mania del controllo – e soprattutto senza mostrarla mai.
L’accettazione come unica soluzione allo scorrere esistenziale, della gioia come del dolore, con la sana consapevolezza di quello che attende – la vecchiaia, grande rimosso della memoria collettiva – e la scoperta di ciò che conta davvero a cui ognuno deve pervenire da sé. Sto pensando di finirla qui è espressione visiva di un flusso di pensiero, percorso della mente con infinite possibilità parallele, ed è forse questa libertà espressiva a generare una certa instabilità, senza codici consueti e catalogabili.
Jesse Plemons nel ruolo del fidanzato evoca deliberatamente il compianto Philip Seymour Hoffman, non a caso ne interpretava il figlio in The master di Paul Thomas Anderson, già protagonista dell’esordio alla regia di Kaufman: Synedoche, New York. L’inglese David Thewlis e l’australiana Toni Collette sono eccezionali, comici e inquieti, nei panni dei genitori di Jake, mentre l’irlandese Jessie Buckley è la protagonista, chiamata con nomi diversi in un’emblematica assenza di identità.
Sto pensando di finirla qui di Charlie Kaufman è un’opera interessante, oggetto a tratti respingente, ma prezioso in un’epoca dove la smania del politicamente corretto rischia di neutralizzare il pensiero critico. È disponibile in esclusiva nel catalogo Netflix.
Didascalie immagini
- Locandina italiana
- Il primo viaggio della giovane coppia
- Il regista Charlie Kaufman al lavoro sul set
- Zuccherosi buoni sentimenti come esca per indurre al consumo
- La sosta al Tulsey Town
- Jesse Plemons e Jessie Buckley sono Jake e la sua ragazza
- Toni Collette e David Thewlis sono i genitori di Jake
© 2020 Netflix USA, LLC
IN COPERTINA
La fidanzata di Jake a tavola con lui e i suoi genitori
© 2020 Netflix USA, LLC
SCHEDA FILM
- Titolo originale: I’m thinking of ending things
- Regia: Charlie Kaufman
- Con: Jesse Plemons, Jessie Buckley, Toni Collette, David Thewlis, Guy Boyd, Hadley Robinson, Gus Birney, Abby Quinn, Colby Minifie, Anthony Grasso, Teddy Coluca, Jason Ralph, Oliver Platt, Frederick E. Wodin, Ryan Steele, Unity Phelan
- Soggetto: Iain Reid dal suo libro omonimo
- Sceneggiatura: Charlie Kaufman
- Fotografia: Łukasz Żal
- Musica: Jay Wadley
- Montaggio: Robert Frazen
- Scenografia: Molly Hughes
- Costumi: Melissa Toth
- Produzione: Anthony Bregman, Charlie Kaufman, Robert Salerno e Stefanie Azpiazu in coproduzione con Iain Reid per Likely Story e Projective Testing Service
- Genere: Kaufman
- Origine: USA, 2020
- Durata: 134′ minuti