Presentato nella sezione Orizzonti alla 73ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016, Riparare i viventi s’interroga su questioni universali di natura scientifica e filosofica: che cos’è la morte, dove finisce la vita e qual è il confine etico oltre il quale la scienza rischia di ledere la sacralità del corpo?
L’omonimo romanzo di Maylis de Kerangal dato l’enorme successo in Francia aveva molti pretendenti che volevano trasporlo in immagini, ma l’autrice ha concesso i diritti dopo molto tempo alla giovane cineasta Katell Quillévéré, scegliendo la sensibilità di un altro sguardo femminile per raccontare con linguaggio diverso una storia corale in cui il cuore è il vero protagonista assoluto.
Il cuore come oggetto tangibile, organo pulsante simbolo della vita che scandisce al suo battito, ma anche il sentimento di umana bontà che associamo a quest’organo fondamentale del nostro meccanismo interno.
Entrando nelle diverse esistenze dei personaggi che costituiscono gli anelli di una complessa catena di solidarietà, Riparare i viventi mostra l’iter del trapianto d’organi scegliendo un complicato equilibrio tra sacralità dello spirito e trivialità della materia.
Lunghe ore negli ospedali a contatto con personale medico e pazienti con i loro familiari, assistendo in prima persona a situazioni analoghe a quelle raccontate nel film, sono state di supporto a regista e attori per mostrare una dinamica degli avvenimenti quanto più vicina alla realtà in casi di morte cerebrale; quando cioè sono le macchine a perpetuare le funzioni vitali senza alcuna possibilità di recupero.
La difficoltà di proporre con tatto l’ipotesi della donazione a chi è sopraffatto da un dolore devastante, costretto ad accettare una perdita irreparabile, chiamato a infrangere il tabù della violazione del corpo per donare vita ad altri.
Proprio per una forma di rispetto verso situazioni estremamente delicate Katell Quillévéré ha scelto di procedere con cautela, chiedendosi ad ogni passo cosa era lecito mostrare e cosa no, ma portando lo sguardo in sala operatoria per chiedere ai nostri occhi di accettare la visione di ciò che accade quando il pulsare della vita passa da un corpo all’altro.
Alla meccanica dei movimenti fa da contraltare il lirismo di momenti in cui la macchina da presa sembra filmare l’astrazione dello spirito, frammenti onirici eppure molto reali, come la straordinaria ipnotica scena dell’incidente introdotta dalle magnifiche sequenze iniziali tra le onde dell’oceano.
Rispetto al romanzo originale il film sceglie di dare maggior spessore alla figura della recettrice Claire e ai rapporti di forza nelle sue relazioni affettive, costruendo un personaggio bellissimo affidato ad Anne Dorval, l’attrice canadese nota per i suoi ruoli indimenticabili nel Cinema di Xavier Dolan.
Nel resto del cast nomi di primo piano come Tahar Rahim – Thomas, addetto alle donazioni nell’ospedale, empatico e sensibile – o Emmanuelle Seigner, straordinaria nel dare corpo al dolore di Marianne. Riparare i viventi offre anche un efficace ritratto dell’adolescenza, con la tenerezza di un unico episodio nel passato del giovane Simon, interpretato dall’esordiente Gabin Verdet.
Con la complicità di una partitura originale firmata da Alexandre Desplat, mai invadente o inopportuna, la regista Katell Quillévéré confeziona un’opera potente, ma discreta nell’accompagnare le emozioni dello spettatore senza inseguire la pornografia di una commozione indotta a tutti i costi.
Con delicata raffinatezza Riparare i viventi sembra esprimere anche visivamente l’idea che siamo tutti, già qui e adesso, gocce di uno stesso mare interiore; l’immagine della folla fuori fuoco nella sequenza che introduce il personaggio di Steve appare davvero come il liquido ondeggiare di uno sconfinato oceano umano.
Un film importante che può contribuire allo sviluppo di una consapevolezza che sappia abbattere il tabù, ostacolo principale a gesti di solidarietà d’importanza vitale. Un’intensa Emozione Visiva.