Presentato in concorso alla 76ª edizione del Festival di Cannes, dove non ha ricevuto il riscontro che meritava, è nelle sale italiane Rapito di Marco Bellocchio; il film racconta eventi storici reali accaduti al tramonto dello Stato Pontificio, riportati alla memoria moderna da vari volumi, tra cui Il caso Mortara di Daniele Scalise a cui la sceneggiatura – firmata dallo stesso Bellocchio con Susanna Nicchiarelli e la collaborazione di Edoardo Albinati e Daniela Ceselli, con la consulenza storica di Pina Totaro – è liberamente ispirata.
La città di Bologna nel giugno 1858 era ancora sotto l’autorità del Papa Re come parte integrante dello Stato Pontificio, su mandato diretto del temuto inquisitore locale monsignor Pier Gaetano Feletti, una notte l’esercito pontificio sottrae il piccolo Edgardo Mortara di appena sei anni – sesto di nove figli – ai genitori Salomone (Momolo) Mortara e Marianna Padovani, perché di religione ebraica. Secondo la testimonianza, probabilmente indotta dietro compenso, della donna di fede cattolica che era a servizio dei Mortara quando Edgardo aveva solo sei mesi, il bambino fu battezzato segretamente da lei stessa, che credendolo in pericolo di vita voleva salvare la sua anima dal Limbo, destinazione delle anime sprovviste del sacramento secondo la teologia del tempo. Agli occhi della Chiesa di Roma tanto bastava per fare di Edgardo un cattolico per tutta la vita; perciò dopo averlo portato via con la forza alla famiglia, il piccolo fu trasferito a Roma sotto il diretto controllo del pontefice Pio IX che lo adottò, facendolo crescere in Santa Romana Chiesa.
All’epoca quello di Edgardo Mortara non fu un caso isolato – il Domus Catecumenorum dove fu portato a Roma era l’istituto apposito, creato per la conversione da altre religioni – ma l’eco mediatico che i genitori seppero creare sulla battaglia intrapresa, con disappunto della comunità ebraica capitolina, portò la notizia del rapimento in tutto il mondo, fino ai territori delle lontane Americhe.
A questa storia si era interessato anche Spielberg, ma per fortuna abbandonò il progetto per la difficoltà di trovare il bambino giusto per il ruolo protagonista; impresa portata a termine felicemente da Marco Bellocchio, con il bravissimo Enea Sala chiamato a incarnare Edgardo per la maggior parte del tempo, che solo ben oltre la metà del film cede il personaggio a Leonardo Maltese, splendida conferma dopo l’esordio ne Il signore delle formiche di Gianni Amelio.
“È un film, non è né un libro di storia o di filosofia, né una tesi ideologica” ha affermato il regista piacentino e, indiscutibilmente, Rapito mostra situazioni e successione degli eventi senza il benché minimo pregiudizio, cercando di dare forma allo spirito del tempo, lasciando che sia lo spettatore in autonomia a fare le sue riflessioni sulla natura del potere, sulle manipolazioni che sa mettere in atto, sulla violenza del fanatismo che pretende di essere portatore di Verità assoluta.
Di straordinaria intensità anche le prove degli altri attori: Fausto Russo Alesi, già in Esterno notte di Bellocchio nel ruolo di Cossiga, e Barbara Ronchi, fresca vincitrice di un David di Donatello, sono i genitori di Edgardo; Paolo Pierobon incarna l’arbitrarietà del monarca nei panni di Pio IX, Filippo Timi è il suo vice, cardinale Antonelli, a cui è riservata una battuta sui Rothschild creditori del papato, Fabrizio Gifuni dà forma alla gelida ostentata sicurezza dell’inquisitore Pier Gaetano Feletti.
Con il contrappunto di momenti onirici rivelatori – del conflitto interiore di Edgardo, di grottesche paure per Pio IX – Rapito di Marco Bellocchio è anche riflessione sull’obbedienza, mai come in questi ultimi tempi diventata difetto pericoloso, ma anche sul mistero che ha segnato l’identità di Edgardo per tutta la sua vita. Un’ottima ricostruzione d’epoca regala sequenze di forte atmosfera, per un film da vedere assolutamente, preferibilmente su grande schermo.