Tratto liberamente dal romanzo Il seminatore dello scrittore cuneese Mario Cavatore, Lubo di Giorgio Diritti è il ritratto di un uomo ferito in lotta col mondo per ottenere giustizia, l’affresco di un momento storico complesso funestato dal conflitto mondiale che ha insanguinato l’Europa, ma anche e soprattutto la denuncia di un orrore di Stato ancora poco noto che nel cinema era stato affrontato prima soltanto da Dove cadono le ombre di Valentina Pedicini.
Svizzera, Cantone Grigioni, 1939. Lubo Moses è un artista di strada che con la sua famiglia vive una vita itinerante, girando di città in città sul carro che è anche la loro casa. I venti di guerra iniziano a soffiare e l’arroganza nazista fa temere un’invasione della Svizzera, dopo l’annessione dell’Austria – Anschluss – alla Germania del Terzo Reich, perciò anche al teatrante girovago è imposto l’arruolamento forzato nell’esercito elvetico, per pattugliare e difendere i confini della Confederazione, lasciando la moglie e i loro tre figli.
Le stesse istituzioni che hanno preteso un tale sacrificio personale da un uomo libero come Lubo, appartenente all’etnia Jenisch – una popolazione nomade, terza per dimensioni in Europa dopo Rom e Sinti – hanno strappato i suoi bambini alla madre, che è morta accidentalmente nel tentativo d’impedire la separazione, ordinata nell’ambito del programma nazionale – Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse – orientato alla rieducazione dei bambini di strada, in un più ampio progetto statale di estinzione di ogni zingaro sul territorio svizzero. Raggiunto dalla notizia dell’accaduto, l’uomo diserta togliendosi la divisa di dosso, riuscirà a farsi credere morto e a mettere in atto ogni possibile azione, perfino illegale e violenta, per avere giustizia e soprattutto ritrovare i suoi bambini.
Coprendo un arco narrativo di vent’anni il nuovo film di Giorgio Diritti denuncia un’operazione di pulizia etnica – portata avanti dalle autorità svizzere dal 1926 al 1973 – con l’intento dichiarato di dare visibilità all’orrore, nella speranza che non si ripeta mai più; ma oggi i massacri a Gaza, innescati da azioni di una frangia di Ḥamās legata al Mossad, palesano l’incapacità di chi controlla la società umana a perseguire davvero la pace per tutti, senza reiterare genocidi.
Lubo rappresenta una riflessione quanto mai attuale sulla violenza delle istituzioni, gli ultimi tre anni ce ne hanno date di prove tangibili, che nel perseguire moventi ideologici schiaccia il singolo in nome di un imprecisato bene collettivo. L’intensa prova attoriale di Franz Rogowski, complessa perché ha richiesto recitazione in tre lingue diverse, è asse portante di un’opera che rispetto al romanzo ha scelto di stare più addosso al protagonista per tutta l’estesa totalità del racconto.
Girato in molti luoghi diversi tra Italia e Svizzera all’inseguimento della neve, spesso necessaria alla narrazione, la lavorazione del film ha visto anche la troupe bloccata in alta montagna, ma alla fine il risultato è un buon film con un’ottima ricostruzione del contesto storico. Accanto al protagonista Valentina Bellé è Margherita, una figura che rappresenta la speranza di una serenità finalmente riconquistata e la forza femminile, palese anche nel destino dei tre bambini sottratti di Lubo.
Dopo aver esordito in concorso all’80ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica La Biennale di Venezia, Lubo di Giorgio Diritti sarà nelle sale italiane dal prossimo 9 novembre con 01 Distribuzione.