Selezionato in concorso al Festival di Cannes 2020, che a causa delle condizioni ‘ambientali’ di allora non ebbe sfortunatamente luogo a procedere, neutralizzando l’occasione di visibilità che avrebbe potuto dare impulso alla diffusione del film, finalmente adesso Last words di Jonathan Nossiter arriva sugli schermi italiani distribuito dalla Cineteca di Bologna.
20 giugno 2086, il giovane Kal è forse l’ultimo uomo vivente rimasto sulla Terra, un’imprecisata catastrofe ambientale ha distrutto il pianeta, epidemie e cataclismi hanno decimato ogni specie animale incluso il genere umano, l’assenza di elettricità ha cancellato in un attimo la società e tutto il suo progresso tecnologico.
Come nell’estremo tentativo di perpetuare l’esistenza umana attraverso la memoria il ragazzo, esponente di una generazione senza genitori né istruzione alcuna, inizia a raccontare gli eventi vissuti degli ultimi due anni, da quando con la sorella ha lasciato Parigi nell’aprile 2084. L’incontro con un vecchio ultracentenario e la scoperta della pellicola – metri e metri di celluloide, testimonianza collettiva di un mondo scomparso pronto a tornare a vivere sullo schermo con l’energia prodotta dalla forza muscolare – le voci di una ‘chiamata’ che invita a mettersi in viaggio verso Atene dove pare sopravviva l’ultima comunità, la sfida alla costruzione di una macchina da presa rudimentale assemblando vecchi pezzi a disposizione, sono tutti incentivi a non arrendersi alla fine dell’intera umanità.
Riaccendere le emozioni – “viviamo e moriamo attraverso le storie che ci raccontiamo” – come mezzo per rimettere in moto la coltivazione delle relazioni umane, inaridite da anni di terribili conflitti, per alimentare di nuovo i sentimenti più alti dell’animo umano, quelli capaci nonostante tutto di continuare a produrre bellezza.
Jonathan Nossiter si definisce cineasta pentito, ha lasciato il cinema per una fattoria sul lago di Bolsena – orgogliosamente rivendicata del tutto autosufficiente – dove coltiva e preserva semi antichi in via di estinzione, e Last words sarà il suo ultimo film assumendo valore testamentario, che sembra risuonare anche nel titolo ‘ultime parole’, casualmente però, perché traduce solo il nome del racconto Mes derniers mots di Santiago Amigorena a cui il film è ispirato liberamente.
L’elenco degli interpreti annovera presenze prestigiose: sempre carismatica, Charlotte Rampling nel ruolo di Batlk torna a lavorare per la seconda volta con Jonathan Nossiter, lo svedese Stellan Skarsgård è il dottor Zyberski e un coraggioso Nick Nolte – ha occasione di mostrare anche i proverbiali attributi – si mette letteralmente in gioco nei panni dell’anziano custode di pellicole; insieme a loro la nostra Alba Rohrwacher è Dima, caparbia ultima coltivatrice di frutti della terra.
L’esordiente Kalipha Touray, giovane rifugiato del Gambia giunto in Italia affrontando l’arduo percorso che mette a rischio la vita stessa dei migranti attraverso il Mediterraneo, senza essere mai stato davanti alla macchina da presa si è trovato a dover incarnare il protagonista Kal, dando al personaggio la sincerità e la profondità della sua essenza, non solo segnata dalle esperienze vissute, ma anche immune alla soggezione che la grandezza degli altri attori poteva suscitare.
Omaggio al Cinema del passato e inno alla tenerezza, Last words di Jonathan Nossiter è un film che vive di suggestioni spesso slegate tra loro più che di un percorso narrativo ben strutturato, ma è frutto sincero di una pressante necessità espressiva, esempio di un cinema indipendente completamente fuori dagli schemi produttivi contemporanei.