
Una dichiarazione d’amore al Cinema e alla magia scaturita dall’alternarsi di luci e ombre che ne è elemento costitutivo, l’indiano Last Film Show di Pan Nalin fin dalla prima didascalia sui titoli di testa apre il racconto ringraziando i fratelli Lumière e il pioniere Eadweard Muybridge, insieme a Maestri della settima arte come David Lean, Stanley Kubrick e Andrei Tarkovsky, per aver illuminato il cammino.
Chalala, stato del Gujarat, India, 2010. Il piccolo Samay è un bambino libero e intraprendente, lo vediamo mentre dispone dei chiodi sui binari in modo che il passaggio del treno li appiattisca, creando punte di freccia per il suo arco. Un giorno suo padre Bapuji, piuttosto religioso, lo porta al cinema Galaxy nella vicina città, insieme a sua madre Ba e alla sorellina minore, a vedere un film d’ispirazione indù avvertendolo, data la natura corruttiva di altre visioni, che quello sarà per lui il primo e l’ultimo spettacolo cinematografico della sua vita.
Una vera e propria folgorazione per Samay, innamorato delle avventure in movimento sul grande schermo, che inizia a fuggire da scuola mettendo in atto ogni espediente per conquistare nuove visioni; sottrae soldi alla cassetta degli incassi del padre, venditore ambulante di tè alla stazione ferroviaria del villaggio dove a volte anche lui lavora, riesce a intrufolarsi abusivamente in sala senza pagare il biglietto, finché scoperto e cacciato fuori, triste e senza appetito, regala il pranzo a uno sconosciuto davanti al cinema.
L’uomo che apprezza particolarmente la bontà di quel cibo è Fazal, il proiezionista del Galaxy che da quel momento stringe un patto con Samay, il bambino avrà accesso a ogni visione dalla cabina di proiezione in cambio del fagottino alimentare che la mamma gli prepara ogni giorno. È il baratto di un bisogno primario con un altro: il cibo, nutrimento per il corpo, in cambio della scintillante magia sullo schermo, indispensabile per certi spiriti inclini a coltivare bellezza e fantasia.

Il regista Pan Nalin, autore della sceneggiatura, non a caso ambienta la storia all’inizio degli anni Dieci del XXI secolo, cioè in quel momento di transizione tecnologica che ha fatto scomparire la pellicola dalle proiezioni, sostituita dai moderni file di oggi. Il film diventa così un tributo anche alla materia fisica di cui erano fatti i sogni, dall’origine fino all’avvento del digitale, tra taglierine e giunture fatte a mano col nastro adesivo su pellicola di celluloide, in un mondo che non c’è più.

Con le dovute differenze, correlate forse a sensibilità culturali diverse – il rapporto tra Samay e Fazal a noi occidentali può apparire ‘inquinato’ dalla contropartita – Last Film Show evoca Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, ma anche Il lamento sul sentiero di Satyajit Ray sul piccolo Apu, pur senza pari drammaticità, citando 2001 Odissea nello spazio di Kubrick nel momento in cui accomuna lo stupore del bimbo davanti allo schermo al cosmonauta di fronte all’universo.

Dopo l’esordio al Tribeca Film Festival creato da Robert De Niro a New York e l’anteprima italiana nel programma del 52° Giffoni Film Festival, la manifestazione campana dedicata ai film per ragazzi, Last Film Show di Pan Nalin avrebbe dovuto essere nelle sale italiane a fine novembre scorso, distribuito da Medusa, ma è slittato al prossimo anno ancora senza una data precisa.