
Compie trent’anni il capolavoro più raffinato di Zhang Yimou, quel sublime Lanterne rosse che esordì in concorso alla 48ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica La Biennale di Venezia vincendo il Leone d’Argento, consolidando così la fama del cineasta cinese dopo l’Orso d’Oro alla Berlinale 1988 per il film d’esordio Sorgo rosso e il premio Luis Buñuel assegnato a Cannes 1990 all’opera seconda, il bellissimo Ju dou.
Tratto dal romanzo breve Mogli e concubine di Su Tong il film rappresenta un duro atto d’accusa contro il patriarcato tradizionale cinese, un’analisi della condizione femminile nella Cina degli anni ’20 del Novecento ancora d’impronta feudale, realizzato in un momento storico in cui per tradizione in molte regioni del Paese la nascita di “una femmina senza onore” era considerata una disgrazia.
La diciannovenne Songlian, figlia di un commerciante di tè, è costretta dalle difficoltà economiche seguite alla morte del padre ad abbandonare gli studi e, spinta dalle pressioni materne, accetta di diventare la quarta moglie del ricco Chen Zuoqin discendente di un’antica dinastia.
Scandito metaforicamente dal passare delle stagioni dall’estate all’inverno, con l’epilogo nell’estate successiva, il racconto segue il percorso della ‘quarta signora’ che arriva in un mondo di ipocrisie e crudeltà, impreparata ad affrontare intrighi e lotte di potere, in cui tutto si dimostrerà ben diverso da ciò che appare rendendo estremamente difficile capire dove si nasconde la minaccia più insidiosa.
Lanterne rosse si presenta praticamente perfetto nell’elegante essenzialità di ogni elemento fin dalla sequenza iniziale, un primo piano della protagonista a colloquio con la madre – invisibile fuori campo – in cui si determina il suo destino. Al terzo lungometraggio Zhang Yimou dà già prova di una forte maturità espressiva costruendo visiva percezione dei meccanismi sociali, fatti di regole e tradizioni inalterabili, pronti a stritolare la giovane Songlian prigioniera nel palazzo del marito.
L’ambientazione prevalente tra le mura della cittadella, dimora della famiglia Chen, riesce a rendere concreto il senso di soffocamento di una ragazza forse anche troppo consapevole di essere una merce di lusso per i capricci del marito/padrone, un’oggetto, senza possibilità di vedersi riconosciuta dignità personale. Meravigliosa e bellissima Gong Li, nel Cinema di Zhang Yimou fin dall’inizio e all’epoca sua compagna, dà corpo a capricciosa fragilità e avventata ingenuità della quarta signora.
Immaginato dal regista come straordinario elemento visivo, ma anche narrativo nello scandirne il ritmo, il rito delle lanterne fatte spostare dall’intendente Chen Baishun alla casa della moglie con cui il signore sceglie di passare la notte, dando alla relativa signora il comando sulle questioni domestiche del giorno seguente, è determinante metafora del potere, come la luce di un sole che illumina con la propria presenza, dando eloquente forma visiva allo spietato predominio maschile.
Mentre il romanzo originale non aveva incontrato ostacoli alla pubblicazione, la commissione statale per opere letterarie è meno rigida potendo contare su un analfabetismo ancora largamente diffuso, la distribuzione di Lanterne rosse fu proibita dalla censura su tutto il territorio cinese innescando un conflitto che si ripeterà per Vivere! – Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 1994 – presentato all’Occidente in aperto contrasto col volere del governo cinese, e reiterato forse fino ad oggi.
Sì, perché l’ombra di un sospetto censorio si allunga anche sul ritiro da Berlino 2019 del film Yi miao zhong – One second ne è il titolo internazionale – ancora praticamente inedito al di fuori della Cina. Dopo molti titoli di alta qualità formale ma innocui sul piano di una qualsiasi valenza politica, tra arti marziali e buoni sentimenti, Zhang Yimou è tornato alla grande a fare i conti in tono critico con la travagliata storia della Rivoluzione Culturale cinese grazie al vibrante Lettere di uno sconosciuto.
Lanterne rosse fu candidato all’Oscar come miglior film straniero, ma gli fu preferito Mediterraneo forse per motivi politici – erano passati solo due anni dalla tragica repressione in piazza Tienanmen – perché il capolavoro di Zhang Yimou è certo di ben altro spessore rispetto alla commedia bellica di Gabriele Salvatores; un verdetto che grida ancora vendetta!