“Leone d’Oro di San Marco a La battaglia di Algeri, di Gillo Pontecorvo, Italia/Algeria, per il coraggio con cui ha affrontato un tema storico-politico di così ardua e scottante attualità, e per il vigore con cui ha saputo dominare una simile materia.”
La Giuria della 27ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – 10 settembre 1966
Questa la motivazione che a sorpresa, visti i pronostici che davano Au hasard Balthazar di Robert Bresson vincente, assegnava il massimo riconoscimento della manifestazione veneziana al controverso film di Gillo Pontecorvo. Un’opera studiata ancora oggi – nel 2003 al Pentagono era adottato come ‘testo’ sul terrorismo – che in campo cinematografico resta riferimento fondamentale per i cineasti di tutto il mondo; l’evacuazione del ghetto di Varsavia nella straordinaria sequenza di Schindler’s list diretta da Steven Spielberg, ad esempio, non avrebbe mai potuto avere impatto così incisivo senza La battaglia di Algeri.
Adesso, dopo il restauro in 4K curato dalla Cineteca di Bologna per il cinquantesimo anniversario, il film è di nuovo disponibile in un’edizione da collezione appena pubblicata da CGHV, arricchita da contenuti extra completamente nuovi e da un pregevole libretto interno.
La battaglia di Algeri è il titolo più famoso di un cineasta poco prolifico che nell’arco di un’intera carriera ha realizzato – esclusi i documentari – soltanto cinque titoli e mezzo, tutti accomunati da una sensibilità dello sguardo che nell’attenzione all’essere umano oppresso dalle difficoltà trova la sua ragion d’essere.
Concentrando il racconto attorno allo sciopero di otto giorni con cui la popolazione di Algeri, nel 1957 su invito del FNL, intese dimostrare all’ONU – che aveva messo all’ordine del giorno la questione algerina – la sua coesione nel chiedere libertà dalla dominazione francese, la sceneggiatura di Franco Solinas porta sullo schermo, con precisione storica e perfetto equilibrio tra le parti, il conflitto per l’indipendenza e gli episodi cruenti che insanguinarono la città alla fine degli anni ’50.
La scelta intelligente di non fare nette distinzioni tra buoni e cattivi ha permesso al film di superare indenne la prova del tempo, dimostrando ancora oggi una potenza unica per un film che tutto sommato contrappone entità collettive, senza dare rilievo a singoli personaggi per assecondare identificazioni emotive. Restano comunque nella memoria le figure di Ali La Pointe, rivoluzionario algerino interpretato dal giovane Brahim Hadjadjun – senza esperienze di recitazione, ma capace di racchiudere in uno sguardo l’oppressione di un popolo intero – e il colonnello Philippe Mathieu, interpretato da Jean Martin unico attore professionista del cast, personaggio di fantasia che sintetizza in sé quattro diversi comandanti dei parà francesi chiamati a sopprimere ogni velleità indipendentista.
Fondamentale anche qui, come in tutto il Cinema di Gillo Pontecorvo, l’inserimento della musica nel tessuto narrativo; il rimpianto più grande del regista era quello di non aver potuto diventare compositore e quando aveva intuizioni musicali per una scena le fischiettava a Ennio Morricone che le trasferiva sul pentagramma. Il brano sublime, pervaso da un profondo senso religioso ispirato alle composizioni di Bach che accompagna le scene in cui vittime di attentati di entrambe le parti sono estratte e deposte, più efficace di mille parole richiama alla sacralità della vita umana, messa sullo stesso piano senza distinzioni tra identità nazionali diverse; ma anche la musica solenne sulle immagini di tortura rende inevitabile il parallelo tra quei poveri corpi al martirio e quello sommo del Cristo, accentuato dalla presenza di uno sguardo di Madre.
Con l’intento di riprodurre immagini ruvide come quelle dei cinegiornali, restituendo il senso di una realtà che accade in diretta, ma senza inserire un solo fotogramma d’epoca, La battaglia di Algeri sfoggia la fotografia in bianco e nero dai forti contrasti di Marcello Gatti unita a un montaggio per l’epoca innovativo.
Mario Serandrei, già autore dell’edizione finale di capolavori come Il gattopardo di Luchino Visconti o Salvatore Giuliano di Francesco Rosi, venne a mancare a metà lavorazione – da ciò il subentro alla moviola di Mario Morra – ma nella sequenza che precede l’attentato, interamente costruita su una serie di primi piani ignari del destino che incombe, la tensione crescente porta anche la sua firma.
Riversando nelle scene del film esperienze giovanili della lotta partigiana cui prese parte attivamente, Gillo Pontecorvo porta avanti quella poetica che un documentario della BBC inglese in epoca successiva definì ‘dittatura della realtà’ e con focali a lunga distanza riprende da lontano scene di massa conferendo loro una verità ancora oggi insuperabile. L’indipendenza dell’Algeria fu sancita il 2 Luglio 1962 e quando quattro anni dopo il film esordì a Venezia il tema era ancora di bruciante attualità, inevitabile perciò lo scatenarsi di polemiche; la sua proiezione fu proibita per mesi in Francia con decreto del governo e, quando venne meno il divieto, minacce di attentati alle sale fecero desistere gli esercenti dalla programmazione, solo tre anni dopo un intervento di Louis Malle sbloccò la situazione.
Rivedere oggi La battaglia di Algeri stupisce per la forza espressiva ancora inalterata, ma anche per la sua spiazzante attualità, così vicina ai conflitti che insanguinano la nostra contemporaneità.
Capolavoro assoluto.