“Uno spettro si aggira per l’Europa” è la celebre frase con cui si apre il Manifesto del Partito Comunista tedesco del 1848, ma lo stesso si potrebbe dire del film documentario Ithaka – a father. a family. a fight for justice. per lo più invisibile fuori dai circuiti dei festival e del suo protagonista John Shipton, in viaggio per scuotere la coscienza collettiva e richiamare attenzione e presa di responsabilità per la situazione di Julian Assange, suo figlio, che nel silenzio di troppi è schiacciato da un potere vendicativo che non allenta la presa.
Dopo aver passato sette anni barricato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, con telecamere e microfoni della Cia che spiavano ogni suo respiro, Assange è stato arrestato l’11 aprile 2019 e rinchiuso nel carcere londinese di massima sicurezza di Belmarsh; le immagini che documentano l’arresto aprono Ithaka di Ben Lawrence, per raccontare la lotta impari di una famiglia per la liberazione del loro congiunto, detenuto in regime di isolamento da più di quattro anni. Ma chi è Julian Assange e quale crimine gli ha fatto meritare un castigo tanto duro? Il film dà per scontato necessariamente che la sua storia e la sua colpa siano note, ma è giusto fare un breve riassunto per chi non sa niente del caso, per il colpevole disinteresse dei media occidentali più diffusi. Attivista australiano, caporedattore e co-fondatore di WikiLeaks – piattaforma che diffonde gratuitamente documenti e informazioni di pubblico interesse, classificate segrete da governi e corporation, garantendo anonimato alle fonti – Assange ha avuto suo malgrado notorietà planetaria quando nel 2010 ha reso pubblico il video denominato “collateral murder” – omicidi collaterali – rivelando al mondo i crimini di guerra perpetrati impunemente dagli Stati Uniti contro la popolazione civile di Baghdad.
Smascherando l’ipocrisia della superpotenza che ama presentarsi al mondo paladina di giustizia e libertà, il giornalista si è attirato l’ira del potere a stelle e strisce che ha cercato pretesti per farlo arrestare; prima con false accuse di stupro che hanno avuto vita breve, poi con la riesumazione di una legge statunitense del 1917 denominata Espionage act in base alla quale è stato accusato di tradimento – da una patria non sua – e ne è stata richiesta l’estradizione negli Stati Uniti.
Il documentario segue il padre di Assange che ha messo da parte la sua riservatezza naturale per esporsi ai riflettori, ma anche la moglie del giornalista Stella Moris, con i figli Gabriel e Max avuti negli anni dell’ambasciata ecuadoregna; li vediamo vivere con trepidazione le udienze che devono decidere l’estradizione, ma la posta in gioco non è solo la vita di un uomo che si è speso perché fossero rivelate verità inconfessabili, quanto la stessa libertà di informazione mondiale.
Il film si apre sulle parole di Nils Melzer, dal 2016 relatore speciale alle Nazioni Unite su tortura e trattamenti crudeli, disumani o degradanti: “La tortura è uno strumento utilizzato per inviare un avvertimento ad altri. È più efficace quando viene inflitta pubblicamente.” Questa è senza ombra di dubbio la giusta prospettiva in cui può essere inquadrato l’accanimento contro Julian Assange, al momento in condizioni di salute sempre più precarie che il film, girato nel 2021, non può mostrare.
“Colpirne uno per educarne cento” diceva il despota cinese Mao Zedong, motto fatto proprio dal terrorismo negli Anni di Piombo e adottato oggi nei fatti dalle istituzioni, dal momento che il trattamento inflitto a Assange è usato per intimidire i giornalisti di tutto il mondo. Perciò, in un momento in cui si pretende di plasmare le coscienze già attraverso i libri di scuola, tacciando ogni difformità come falsità, è doveroso pretendere che l’innocente Julian Assange torni in libertà.
La situazione è ancora più critica oggi: il Regno Unito prendendo per buone le rassicurazioni degli Stati Uniti sul rispetto della salute di Assange ne ha autorizzato l’estradizione, i legali hanno fatto opposizione e l’udienza può essere fissata in ogni momento con scarso preavviso. L’evento denominato Day X – perché in data ignota – è lo strumento con cui è possibile partecipare alla mobilitazione mondiale in difesa dell’uomo, ma anche a salvaguardia di verità e libertà per tutti noi.
È necessario aumentare la pressione sulle istituzioni, perché si giunga a una soluzione politica che restituisca Julian alla sua vita e ponga fine a questa ingiusta detenzione. Organizzare nuove proiezioni di Ithaka al fine di tenere desta l’attenzione su questa enorme ingiustizia, può essere fatto contattando l’associazione Free Assange Italia.