Dopo aver esordito al 38° Torino Film Festival e aver raccolto elogi e riscontri positivi anche in altre manifestazioni internazionali, il primo lungometraggio diretto da Beniamino Catena – Vera de verdad – è arrivato finalmente sugli schermi italiani distribuito da No.Mad Entertainment con il titolo Io sono Vera.
Un’opera fuori dagli schemi a cui è necessario avvicinarsi senza alcuna prevenzione, pronti a lasciarsi sorprendere da un racconto che, pur viaggiando sempre sul piano del reale, ha l’ardire di fondere il dramma col fantastico, il tangibile con l’immateriale dando vita a un oggetto singolare che sfugge ogni tentativo di classificazione.
Vera Melis è una bambina di undici anni appassionata di astronomia, un giorno si reca con Claudio, suo professore a scuola e amico di famiglia, a fare un’escursione nel bosco fino a raggiungere il bellissimo promontorio di Punta Crena, sulla riviera ligure di Ponente.
Raggiunto il bordo della roccia a picco sul mare, assecondando lo scopo che l’ha portata fino a lì, la bambina inizia a disperdere nel vento le ceneri dell’amata cagnetta Bruna e mentre l’insegnante al suo fianco filma il rito, rivolto al bellissimo panorama che si staglia all’orizzonte, l’impianto audio della fotocamera registra un sussurro di Vera – ‘dov’è il fuoco!’ – un attimo prima che la ragazzina scompaia inspiegabilmente nel nulla senza lasciare traccia.
Negli stessi momenti dall’altra parte del globo, un uomo di nome Elias sta controllando gli impianti di osservazione del cosmo nel deserto cileno di Atacama – al sito scientifico collocato a un’altitudine dove non ci sono interferenze da inquinamento luminoso, chiamato perciò ‘La porta del Cielo’ – quando ha improvvisamente un infarto e, nonostante i tentativi di rianimazione a bordo dell’ambulanza, viene dichiarato clinicamente morto. Un’improvvisa interferenza cosmica crea un contatto tra queste due esistenze, dando inizio a qualcosa di inspiegabile, capace di rendere manifesta tutta l’ignoranza umana sullo sconfinato mistero profondo dell’universo.
La sceneggiatura scritta a quattro mani da Paola Mammini e Nicoletta Polledro, su soggetto originale dello stesso Beniamino Catena e di Graziano Misuraca, si addentra con coraggio in territori inediti e poco battuti dal cinema italiano, riuscendo a non cadere mai nel ridicolo; rischio che in certi casi è sempre dietro l’angolo. Un effetto reso grazie al rigore di un racconto che lascia sempre frustrato il nostro desiderio di dialoghi esplicativi tra i personaggi, consentendo all’indicibile di rimanere tale.
Riflettendo sull’essenza dell’identità, che difficilmente ognuno di noi può scindere dalla materialità del proprio corpo fisico, Io sono Vera introduce temi come la trasmigrazione, concetti come la nostra appartenenza a una Coscienza cosmica che ci rende già qui e ora parti inconsapevoli di un Tutto, ma lo fa intelligentemente alimentandosi di suggestioni e domande inespresse, senza la presunzione di dare risposte a questioni inesauribili e antichissime, che trovano origine nella notte dei tempi.
Vere protagoniste del film sono emozioni come paura, dolore, assenza e amore; entità astratte, ma talmente concrete da essere sempre movente invisibile alle nostre azioni, che producono risultati più che tangibili in un universo in cui tutto è inspiegabilmente connesso. Fondamentale l’apporto di un cast di attori di consolidato talento, come Anita Caprioli e Paolo Pierobon nei panni dei genitori di Vera o il cileno Marcelo Alonso, straordinario nel ruolo breve ma determinante di Elias.
L’esordiente Caterina Bussa è la piccola Vera destinata a dissolversi nell’universo, divide il ruolo della protagonista insieme a Marta Gastini, piemontese di Alessandria con già una carriera internazionale avviata, che l’ha portata a dividere lo schermo anche con un nome di primo piano come quello di Anthony Hopkins. Il genovese Davide Iacopini è Claudio, perfettamente credibile nel dramma di un uomo distrutto, esposto al sospetto di una sparizione che non può essere spiegata.
Io sono Vera di Beniamino Catena vive di suggestioni che s’interrogano sul metafisico, riflessioni sul confine della conoscenza e sulla possibilità della scienza di sondare l’invisibile, uno degli esordi più interessanti degli ultimi anni nel cinema italiano.