Il mito colloca la fondazione di Roma nel 753 avanti Cristo e vuole la nascita dell’impero, più esteso e longevo di tutti i tempi, scaturito dal sangue di un fratricidio; ma come i Vangeli nella storia della cristianità, anche i testi più antichi sul sorgere dell’Urbe sono di molto posteriori nel tempo agli eventi narrati, quindi frutto di una deliberata costruzione mitica volta a dare spessore a idee e valori.
Perciò nell’assenza di notizie accertate e non avendo comunque fin dall’inizio velleità d’inseguire un rigore storico, Matteo Rovere con Il primo re ha diretto la creazione di un mondo fantastico, primordiale e selvaggio; per raccontare la storia di Romolo e Remo ha lasciato da parte la nascita che li vuole figli del Dio Marte e allattati dalla lupa, mostrandoli già adulti l’uno per l’altro – soli e solidali – esposti ai pericoli di un universo ostile e brutale.
Un racconto potente di forte impatto visivo, con le forze della Natura che incombono incontrastate sull’uomo dominato dalla paura, tra devozione al volere di Dio – espresso nel valore incontestabile del vaticinio scaturito da viscere animali – e l’aspirazione a rendersene indipendenti. E proprio questo è il conflitto incarnato dai due fratelli in quel regno tribale preesistente a qualsiasi struttura sociale: lo scontro ideologico tra la sottomissione al destino deciso dagli Dei e la rivendicazione di un libero arbitrio, in un’era in cui la violenza era l’unico mezzo accreditato per stabilire il dominio.

Dopo il precedente Veloce come il vento – sedici candidature e sei statuette ai David di Donatello 2016, distribuito il più di quaranta Paesi nel mondo – il regista, sceneggiatore e produttore Matteo Rovere con Il primo re continua a perseguire un’idea di Cinema dal respiro internazionale, capace di coniugare alta qualità tecnica e arte; equamente distante da opere troppo ‘autoriali’ per parlare al pubblico e commedie, sempre più spesso inutili rifacimenti di successi stranieri, che sottraggono risorse alla già fragile industria del cinema italiano.

Con capitali raccolti anche all’estero in una coproduzione italo belga, Il primo re è un progetto che ha coinvolto in tutti i reparti tecnici il meglio delle maestranze italiane: trucco e costumi, armi e coreografie, effetti sonori e (limitatamente) digitali, tutto orchestrato per portare sullo schermo un habitat quasi preistorico capace di apparire verosimile. La creazione della fotografia affidata a un artista come Daniele Ciprì si nutre solo di luce naturale, con largo impiego di fiaccole notturne a dare forma all’atmosfera perduta di pianeta incontaminato e lontanissimo.

Fin dalla sequenza di apertura con l’esondazione del Tevere, in cui la macchina da presa si muove nei gorghi della corrente, con una qualità tecnica e una perizia degli effetti speciali che non hanno niente da invidiare a Revenant di Alejandro González Iñárritu, la visione esalta la sapiente regia di Matteo Rovere; sul piano tecnico con scene di lotta equiparabili alla battaglia iniziale ne Il gladiatore di Ridley Scott, ma anche su quello estetico con un’opera che emana uno spirito di sacralità, nei frammenti bellissimi di contemplazione della Natura, degno del miglior Terrence Malick.

Girato interamente in Lazio tra paludi, boschi e montagne, Il primo re si è avvalso della consulenza di alcuni archeologi per dare coerenza storica a capanne, armi e costumi, ma anche alla rappresentazione di riti religiosi pagani. Fondamentale per entrare in quell’era primordiale la scelta di adottare come lingua del film un pròto-latino ricostruito da un gruppo di semiologi dell’Università La Sapienza di Roma, che partendo da epigrafi e scritte tombali giunte fino a noi hanno innestato filamenti di indoeuropeo ove necessario in una ricerca appassionante e capillare, fonema per fonema.

Oltre le difficoltà della lingua gli attori si sono trovati a girare in condizioni estreme, per settimane tra settembre e dicembre 2017, coperti di fango e praticamente nudi esposti a ogni tipo di agente atmosferico; un’altra prova intensa sul piano fisico per Alessandro Borghi che ha incarnato Remo subito prima di perdere peso per essere Stefano Cucchi in Sulla mia pelle di Alessio Cremonini. Bravissima Tania Garribba a infondere mistico mistero alla figura della sacerdotessa Satnei e Alessio Lapice nel ruolo di Romolo a rappresentare l’altro polo di una tragedia classica dal respiro epico.

Nella lotta fratricida che Il primo re mette in scena c’è il ritratto delle radici che nei secoli – da i Guelfi e i Ghibellini fino all’epoca moderna – ha rappresentato il conflitto mai sanato nella società italiana, ma il film che mostra come l’inclusione di diverse tribù abbia alimentato la prosperità che ha dato origine a Roma, è completamente estraneo a ogni retorica nazionalista e imperialista. Un’avventura emozionante che potrebbe dare origine a un nuovo genere nel cinema italiano.

Didascalie immagini

  1. Locandina italiana
  2. Villaggi di capanne / Lo scontro violento / L’esposizione agli agenti atmosferici
  3. Matteo Rovere al lavoro / I due mitici fratelli Romolo e Remo
  4. La bellezza della natura e l’atmosfera primordiale nella fotografia di Daniele Ciprì
  5. Alessandro Borghi è Remo
  6. Maschere, riti delle vestali a custodia del fuoco e armi riprodotte secondo reperti storici
  7. Alessio Lapice è Romolo / Tania Garribba la sacerdotessa Satnei

© 2019 Groenlandia Srl / Gapbusters / Roman Citizen

IN COPERTINA
Alessandro Borghi è Remo nell’oscurità di un mondo primordiale
© 2019 Groenlandi Srl / Gapbusters / Roman Citizen

SCHEDA FILM

  • Titolo originale: Il primo re
  • Regia: Matteo Rovere
  • Con: Alessandro Borghi, Alessio Lapice, Fabrizio Rongione, Massimiliano Rossi, Tania Garribba, Michael Schermi, Max Malatesta, Vincenzo Pirrotta, Vincenzo Crea, Lorenzo Gleijeses, Gabriel Montesi, Antonio Orlando, Florenzo Mattu, Martinus Tocchi, Ludovico Succio, Loris Curci, Emilio De Marchi, Luca Elmi, Nina Fotaras, Valerio La Sala
  • Soggetto e Sceneggiatura: Filippo Gravino, Francesca Manieri, Matteo Rovere
  • Fotografia: Daniele Ciprì
  • Musica: Andrea Farri
  • Montaggio: Gianni Vezzosi
  • Scenografia: Tonino Zera
  • Costumi: Valentina Taviani
  • Produzione: Andrea Paris e Matteo Rovere con Joseph Rouschop e Jan-Yves Roubin in associazione con Luca Elmi per Groenlandia Srl con Rai Cinema in coproduzione con Gapbusters e in associazione con Roman Citizen
  • Genere: Epico
  • Origine: Italia / Belgio, 2019
  • Durata: 127′ minuti