Parigi, inverno 1938, di prima mattina in una camera dell’Hotel Palais d’Orsay, l’italiano Marcello Clerici aspetta una telefonata, seduto sul letto vestito e con le scarpe indosso. Finalmente squilla l’apparecchio sul comodino, dall’altro capo arriva il segnale che è giunta l’ora di mettersi in strada e, lasciata la moglie nel letto, l’uomo esce dall’albergo e sale in auto con un agente dell’Ovra – Opera Volontaria di Repressione Fascista – per dirigersi in montagna, verso una località dell’Alta Savoia.
Durante il viaggio si riaffacciano alla memoria di Marcello gli eventi degli ultimi mesi a Roma, varie scelte che lo hanno portato lì, cominciando dalla sua decisione di sposare Giulia, ragazza frivola piccolo borghese, fino al suo coinvolgimento col regime fascista.
Inizia così Il conformista di Bernardo Bertolucci, che esordì sugli schermi cinquant’anni fa in concorso al Festival di Berlino 1970, con le prime sequenze in cui, complice la nebbia del mattino, sembrano fondersi fin dall’incipit piani di realtà e onirici per introdurci nella mente del protagonista; una forte connotazione psicoanalitica inedita e inconsueta nel cinema di allora.
Un film che nelle parole del suo autore è nato praticamente per caso, quando il giovane Bernardo Bertolucci contattato dalla Mars Film Produzione – estensione italiana della Paramount Pictures – che gli chiedeva il soggetto per un nuovo lungometraggio, si mise a raccontare il romanzo omonimo di Alberto Moravia senza averlo ancora neppure letto, ma riferendo con dovizia di particolari il racconto che la sua compagna dell’epoca entusiasta della lettura gli aveva fatto.
È il primo film del cineasta che introduce a quella dimensione della sessualità, con una certa dose di mistero perché nascosta e rimossa che, da Ultimo tango a Parigi a La luna e fino a Il tè nel deserto, sarà segno distintivo del suo Cinema. Il conformista è il ritratto di un personaggio contraddittorio che si esplica definitivamente solo nel finale, del tutto diverso da quello forse anche un po’ moralista del libro, per dare senso alla sua ricerca ossessiva della normalità, indefinibile e perciò inesistente.
La necessità di conformarsi nell’Italia di Mussolini esige di abbracciare la fede fascista e nel dover rappresentare visivamente il regime, Bertolucci e lo scenografo Ferdinando Scarfiotti troppo giovani per aver vissuto il Ventennio, si sono ispirati ai film soprattutto americani e francesi di quegli anni. Ne è risultata un’immagine astratta e stilizzata, con i vasti spazi di marmo bianco dell’Eur, che diventerà paradigma del totalitarismo nell’immaginario, ripreso da film come Brazil di Terry Gilliam.
Un’ambientazione storica che se da un lato ha avuto il plauso dello stesso Moravia, dall’altro ha dovuto incassare le critiche di Calvino che reputava falsa questa estetica dell’epoca fascista. Citando il mito della caverna di Platone il film rende omaggio all’essenza stessa del cinema, che vive di proiezioni riflesse dalla realtà, resa tangibile dall’autore della fotografia Vittorio Storaro che proprio grazie a questo lavoro ha iniziato una carriera americana con Apocalypse now, primo dei suoi tre Oscar.
Nel contrasto tra privato e politico narrato dal film si riverbera la fase psicanalitica di Bertolucci che nel 1969 viveva in pieno un doppio complesso di Edipo, quell’anno realizzando anche Strategia del ragno oltre a Il conformista, uccideva metaforicamente il padre biologico – il poeta Attilio – nel primo per occuparsi di quello cinematografico Jean-Luc Godard nel secondo, attribuendo alla vittima del delitto il reale indirizzo parigino dove abitava all’epoca il cineasta francese della Nouvelle Vague.
L’amore per il cinema francese del regista premio Oscar per L’ultimo imperatore è palesato dalla scelta di professionalità come quelle di Gitt Magrini ai costumi e Georges Delerue per la musica originale, autore di molte colonne sonore nei film di Francois Truffaut, mentre l’attrice Yvonne Sanson protagonista di tanti drammi popolari di Raffaello Matarazzo, perciò emblema vivente del cinema dei ‘Telefoni Bianchi’ nell’Italia fascista, interpreta il ruolo della madre di Giulia.
Franco ‘Kim’ Arcalli al montaggio ha suggerito la frattura nella linearità temporale del racconto, che contraddistingue tutta la prima metà del film, che ebbe molto successo anche grazie a un gruppo di attori di tutto rispetto. Jean-Louis Trintignant gioca in sottrazione incarnando la battaglia interiore di Marcello, Stefania Sandrelli dà corpo alla mediocrità di Giulia, Dominique Sanda che tornerà a farsi dirigere da Bertolucci in Novecento è Anna, Gastone Moschin dà meschina rudezza al poliziotto fascista.
Molti cineasti tra cui lo stesso Bernardo Bertolucci hanno detto che i film possono arricchirsi con gli imprevisti che possono accadere lungo il percorso, se si lascia aperta la possibilità di sorprendersi, Il conformista è una di quelle opere che forse passata indenne attraverso il tempo anche per questo. Capolavoro.
DettagliDidascalie immagini
- Locandina italiana
- L’incipit sospeso tra sogno e realtà
- L’inutile inseguimento di una normalità inesistente si esplica solo nel finale
- Le ambientazioni tra i marmi romani diventate poi emblema di totalitarismo
- Bernardo Bertolucci e Vittorio Storaro che scrive con la luce e omaggiano il Cinema citando Platone
- Stefania Sandrelli è Giulia, Jean-Louis Trintignant Marcello
- Yvonne Sanson è la madre di Giulia / Dominique Sanda è Anna / L’insicurezza dà squilibrio a Marcello
- La sequenza del tango di Dominique Sanda e Stefania Sandrelli diventata iconica / Gastone Moschin incarna la volgarità del regime
- Vittorio Storaro e Bernardo Bertolucci sul set de Il conformista
© 1970 Mars Film Produzione SpA, Roma
IN COPERTINA
Marcello Clerici ai Parioli teme il pedinamento in un’epoca di delazione istituzionalizzata
© 1970 Mars Film Produzione Spa, Roma
SCHEDA FILM
- Titolo originale: Il conformista
- Regia: Bernardo Bertolucci
- Con: Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda, Gastone Moschin, Enzo Tarascio, Fosco Giachetti, José Quaglio, Yvonne Sanson, Milly, Antonio Maestri, Alessandro Haber, Luciano Rossi, Massimo Sarchielli, Pierangelo Civera, Giuseppe Addobbati, Cristian Alegny, Carlo Gaddi, Umberto Silvestri, Furio Pellerani, Luigi Antonio Guerra, Orso Maria Guerrini, Pasquale Fortunato, Pierre Clementi
- Soggetto: Alberto Moravia dal suo romanzo omonimo
- Sceneggiatura: Bernardo Bertolucci
- Fotografia: Vittorio Storaro
- Musica: Georges Delerue
- Montaggio: Franco Arcalli
- Scenografia: Ferdinando Scarfiotti
- Costumi: Gitt Magrini
- Produzione: Maurizio Lodi-Fè per Mars Film Produzione SpA, Roma con Marianne Productions, Paris e Maran Film Gmbh, München
- Genere: Drammatico
- Origine: Italia / Francia / Germania, 1970
- Durata: 112′ minuti