Tra i tanti titoli ‘originali’ che intasano l’offerta delle innumerevoli piattaforme, da molto tempo ormai, la caratteristica più diffusa pare esser diventata la mediocrità, anche quando i prodotti non sono sfacciatamente strumenti di propaganda ideologica; ma a volte nell’immensità di questi oceani digitali si nasconde qualche perla. È il caso di Ethos – Bir Baskadir serie Netflix scritta dallo sceneggiatore e produttore turco Berkun Oya, che in questo caso ha anche diretto tutti gli otto episodi della serie; un’opera che, lungi dall’avere taglio o ritmi dell’intrattenimento televisivo, nella forma ha un sapore indiscutibilmente cinematografico, divisa inevitabilmente in otto parti vista la considerevole durata complessiva di sei ore e ventisette minuti.

Istanbul, 2019. La giovane Meryem si è rivolta a un medico, in seguito ad alcuni sporadici episodi di svenimento improvviso, che l’ha indirizzata dalla dottoressa Peri Aksoy, psichiatra, per iniziare una terapia prima di tutto esplorativa e non necessariamente farmacologica.
Le due donne rappresentano mondi diversi che coesistono nel Paese senza troppe occasioni di confronto: la paziente, di estrazione contadina e senza istruzione, indossa il velo a coprire la capigliatura secondo arcaici dettami sociali e religiosi, mentre l’analista ben inserita nella sua modernità, ha frequentato scuole all’estero ampliando i suoi orizzonti, sviluppa vera e propria avversione per quel fazzoletto sulla testa delle donne, vissuto come segno di sottomissione al patriarcato, innescando un conflitto che ostacola la necessità di entrare in contatto con la ragazza.

Inizia così, con il muto stupore di Meryem nello studio della dottoressa, il racconto che poi piano piano si allarga alle figure presenti nella sua vita: il nucleo familiare al villaggio, composto dal fratello Yasin con sua moglie Ruhiye e i loro bambini Esma e Ismail; lo scapolo Sinan per cui lavora, facendo le pulizie nel suo appartamento in città tre volte la settimana; ma anche l’Hodya, una sorta di autorità morale cui la ragazza rende conto delle sue azioni, che si profila subito come elemento di disturbo nella terapia psicologica, vero ostacolo inaccettabile per l’analista.

Si delinea così un ritratto antropologico della Turchia contemporanea, articolato e complesso, che coinvolge anche le persone che interagiscono nella vita privata della dottoressa Peri, come la sua terapeuta Gülbin o l’amica Melisa, protagonista di uno sceneggiato televisivo di successo e quindi nota anche a Meryem. Un affresco sociale sfaccettato con psicologie ben delineate, che lascia alla sensibilità del pubblico la comprensione, ad esempio, dei limiti culturali dell’Hodya.

La bravura degli attori consente di seguire l’intera narrazione credendo alla sua più completa sincerità, la grandezza di tutto il cast sta nell’avere una tale adesione ai personaggi da restituirne la verità; spicca la straordinaria Öykü Karayel impegnata a dare volto all’innocenza e alla vivace scaltrezza di Meryem, ma anche l’interpretazione di Fatih Artman, che assumendo una postura particolare dà al suo Yasin una vena di ottusa incapacità nell’affrontare l’accanirsi degli eventi.

Oltre un’essenzialità che ha il pregio di non spingersi mai a voler dare troppe spiegazioni dando per scontata l’incapacità deduttiva del pubblico, impostazione rara soprattutto nella serialità, Ethos nei ritmi dilatati che la lunga durata consente adotta un raffinato linguaggio filmico, con largo uso di campi lunghi e lentissimi zoom che evocano prototipi cinematografici di alto livello, come ad esempio i capolavori di Andrej Tarkovskij, elevando il valore complessivo della serie.

L’adozione di un formato panoramico dello schermo, la bellezza malinconica della musica originale firmata da Cem Yilmazer e la presenza dei soli titoli di coda – spesso occasione per omaggiare il ‘padre’ della musica leggera turca Ferdi Özbeğen – senza riassunti iniziali degli episodi precedenti, con il solo titolo originale Bir Baskadir a fare capolino in ognuna delle otto parti, contribuiscono a restituire il senso cinematografico di un gran bel film ‘travestito’ da serie tv per esigenze strutturali.

A due anni dall’esordio in piattaforma non si hanno notizie ufficiali su una seconda stagione (conferma del suo essere Cinema?) ma, nonostante numerosi indizi in sospeso aperti a nuovi sviluppi, il racconto al termine delle otto parti risulta comunque perfettamente completo e non necessita di nient’altro in più. Semplicemente meraviglioso.