Già fine indagatore delle psicologie umane – con titoli come Weekend e 45 anni – il cineasta britannico Andrew Haigh con Estranei adatta molto liberamente l’omonimo romanzo dello scrittore giapponese Taichi Yamada avvicinandolo alle sue esperienze esistenziali, creando però paradossalmente un’opera tutt’altro che autoreferenziale, perché universali sono i sentimenti che racconta, come il dolore della perdita e il desiderio d’incontrare l’Amore.
Periferia di Londra, 1987. Adam è un quarantenne solitario, il suo lavoro è scrivere sceneggiature per serie televisive, attività che svolge prevalentemente da casa. Il suo appartamento è uno dei due soli già occupati in un alto palazzo di recente costruzione completamente deserto, dove manca ancora anche una qualsiasi figura di portiere addetto all’ingresso. Con il panorama della metropoli in lontananza, momenti di noia o distrazione propedeutici a sciogliere il blocco nel fluire della scrittura, l’isolamento di Adam è praticamente totale, privo di legami affettivi e di una pur minima vita sociale.
Una sera l’unico altro inquilino dell’intero palazzo si presenta al giovane scrittore. Harry, questo è il suo nome, citando l’inizio della canzone The power of love dei Frankie goes to Hollywood – “ci sono i vampiri alla mia porta” – sembra esporre apertamente la propria fragilità, la stessa che Adam tiene accuratamente nascosta. È palpabile nell’aria l’attrazione tra i due e, dopo una diffidenza iniziale, sembrano nascere i presupposti per un coinvolgimento affettivo; tanto che sorge spontaneo per Adam il desiderio di condividere l’importanza di quell’incontro con i suoi genitori. Genitori che sono il prodotto sociale dell’epoca in cui vivono e, come tutti, non sono sempre stati partecipi della vita del figlio, che ancora, nonostante tutto, ostinatamente è molto legato a loro.
Ambientare temporalmente il racconto negli anni ’80, con l’insorgere dell’Aids che legava ancora di più – nella percezione collettiva – l’idea di omosessualità con la malattia, non è affatto casuale, perché offre al film la possibilità di esplorare il senso di appartenenza al proprio mondo, quel necessario farsi conoscere e riconoscere nella propria essenza più vera dagli affetti più cari, un sentimento naturale universale e indipendente dal proprio orientamento sessuale.
Estranei è un film sull’amore, ma anche un’analisi del lutto come ostacolo al fluire naturale del vivere, quando non è metabolizzato; necessita di un apporto emotivo molto forte da parte degli interpreti e decisiva per il risultato è l’intensità che Andrew Scott fornisce al personaggio di Adam, percepibile nei suoi occhi lucidi mentre tenta di rassicurare la madre, ma anche la dolcezza che l’irlandese Paul Mescal sa infondere alla sua interpretazione nel ruolo di Harry.
I britannici Jamie Bell – famoso per aver esordito sugli schermi come Billy Elliott – e Claire Foy sono straordinari nell’alimentare quell’alone di mistero che rende anomali i genitori di Adam, in un’opera che vive di suggestioni oniriche, in cui i confini tra illusione e realtà si sovrappongono fino a dissolversi senza la minima importanza. Il film scava l’anatomia del dolore emotivo, quello inflitto dai grandi lutti che prima o poi arriva a tutti, con il quale si deve convivere, perché non se ne andrà più.
Estranei di Andrew Haigh è un film intimo e delicato, che rivela pienamente tutta la sua vera dolorosa essenza soltanto sul sorprendente finale; adesso, dopo essere stato candidato a sei Bafta – il premio cinematografico più importante del Regno Unito – sarà nelle sale italiane il prossimo 29 febbraio, distribuito da The Walt Disney Company.