
Il raffinato Darkling di Dusan Milič è un potente thriller serbo che dà forma sullo schermo al senso di paura originato dalla percezione di una realtà circostante pericolosa, sentimento molto più diffuso e attuale di quel che si possa immaginare, un’opera che cattura l’attenzione fin dalle prime immagini nella tesissima sequenza d’apertura.
Nell’incipit emerge dall’oscurità il volto della piccola Milica rifugiata sotto il tavolo come le capita ormai tutte le notti, dall’esterno della casa si odono insistenti l’abbaiare del cane e il muggire della mucca nella stalla adiacente, accompagnato dai colpi che sferra l’animale costretto alla catena. Mentre la madre Vukica e il nonno Milutin scostano le coperte che oscurano le finestre, rimuovendo anche i mobili a contrasto della porta d’ingresso, la luce del mattino inizia a farsi strada illuminando l’ambiente, incapace tuttavia di fugare la tensione accumulata nell’oscurità e quel terrore, fortissimo, generato dalla concreta percezione di una presenza là fuori, che incombe nelle vicinanze subito attorno alla casa.
Isolata da ogni villaggio, immersa nelle foreste del Kosovo, quella è l’abitazione del nonno materno dove Milica e i suoi genitori sono stati costretti a trasferirsi loro malgrado, senza le comodità a cui erano abituati. Nonostante la guerra sia finita da quasi cinque anni un brutto giorno il padre della bambina e suo zio non hanno fatto ritorno dal lavoro nei campi, da allora l’intera famiglia vive l’incertezza dell’attesa e l’anziano Milutin insiste a pretendere, dai militari italiani ancora in zona a garantire la pace, di ottenere un’indagine accurata sull’accaduto. La frustrazione per l’inutilità dei rapporti stilati che sembrano non portare a niente, le continue interruzioni della corrente elettrica che soprattutto di notte condannano al buio più profondo, l’incomprensione con i soldati stranieri giunti come ogni mattina a prendere la bambina per accompagnarla a scuola con i pochi compagni ancora rimasti, sono ostacoli che impediscono il dissolversi della tensione.

Estremamente efficace nell’instillare un crescendo d’inquietudine, Darkling alimenta il senso di paura costringendo il punto di vista all’interno di luoghi che dovrebbero paradossalmente garantire sicurezza, come la casa del nonno o il blindato militare che porta i bambini a scuola, ma le cui pareti rappresentano ostacoli che, riducendo la visuale su eventuali minacce, amplificano il terrore per una presenza invisibile, non meno tangibile, che tiene in ostaggio la nostra paura. Soggettive di un ipotetico occhio osservatore fanno il resto.

Con i suoi lenti movimenti di macchina come parte di un raffinato lessico cinematografico il film utilizza tutti i tipici stilemi del genere horror per costruire un racconto teso, ambientato nel 2004 in un Paese segnato dalle cicatrici interiori di un conflitto ancora troppo recente, per dare forma visiva alla paura. Non soltanto quella atavica insita nell’uomo fin dalle origini del tempo, per il buio o per l’ignoto che hanno in fondo la stessa radice, ma anche per il furore incombente di una natura onnipotente e indomabile.

Le inquietudini per le minacce che insidiano il nostro vivere si sono amplificate con la pandemia, non solo per chi oppresso dal terrorismo mediatico ha costruito la percezione di un pericolo forse anche maggiore della realtà effettiva, ma anche per chi ridimensionando tutto secondo un’indole più diffidente verso il quadro ufficialmente rappresentato, ha iniziato a temere il totalitarismo che prendeva forma con i discutibili provvedimenti del governo. In entrambi i casi è la paura il motore manipolatorio delle proprie azioni.

Darkling di Dusan Milič acquista perciò attualissimo valore universale, nel porre davanti all’insicurezza per quello che verrà, condizionata a un nemico invisibile – sanitario o politico – che tiene tutto sotto assedio; il film è adesso nelle sale italiane distribuito da A_Lab in collaborazione con Lo Scrittoio – Cinema d’Autore.