Un delicato inno ai rapporti interpersonali come essenza più preziosa della vita e in particolare alle relazioni che si instaurano tra adulti e bambini, questo il sentimento profondo di un film personalissimo, perciò forse anche più universale, come C’mon c’mon di Mike Mills.
Johnny è un giornalista radiofonico di mezza età impegnato a girare gli Stati Uniti, prevalentemente nei contesti urbani più complicati, a intervistare bambini e ragazzi sulla loro idea di futuro: che prospettive riescono a immaginare per se stessi sul piano personale e per la società, in questo mondo minato da problemi ambientali e afflitto dalle conseguenze di una globalizzazione selvaggia?
Un’attività molto impegnativa che lascia poco spazio a qualsiasi altra cosa nella vita di Johnny, che del resto non ha una famiglia propria e vive da tempo isolato, da quando ha allentato i contatti con la sorella Viv in seguito alla morte della madre, complice la distanza tra lui che risiede a New York e lei che vive a Los Angeles.
Finché una volta a tarda sera, forse per quel sentimento di nostalgica malinconia che coglie molto più facilmente al calar delle ombre, Johnny telefona a Viv dopo un anno di silenzio per scoprirla in forte difficoltà; suo marito Paul si è trasferito a San Francisco per motivi professionali e lei è rimasta da sola con il figlio Jesse di nove anni a cui badare. La solidarietà che naturalmente dovrebbe esistere sempre tra fratello e sorella, al di là di ogni divergenza, spingono il giornalista a partire per raggiungere Viv e accettare di stare insieme al nipote anche in assenza della mamma, indotta a raggiungere il marito lontano per tutta una serie di complicazioni.
Quella che doveva essere una situazione temporanea di pochi giorni si protrae per settimane, creando difficoltà che Johnny non aveva mai affrontato prima, la sfida di costruire un rapporto con il piccolo Jesse che è in fondo per lui poco più di uno sconosciuto, il trovarsi investito di un ruolo a metà strada tra amicizia e paternità è destinato a cambiarlo, ma a cambiare anche il bambino.
L’impronta autobiografica del Cinema di Mike Mills, che ha realizzato Beginners ispirato alla figura del padre – Oscar a Christopher Plummer – e Le donne della mia vita come omaggio alla madre, emerge in C’mon c’mon non solo perché il racconto nasce dall’esperienza privata dell’autore – il senso di smarrimento alla nascita di un figlio e la paura di inadeguatezza quanto mai naturale, eppure inconfessabile – ma anche professionale, per aver svolto in passato un lavoro di interviste analogo a quello di Johnny.
L’incontro, a volte la collisione, tra universo privato dei sentimenti e rapporto col mondo esterno in cui ci relazioniamo con gli altri, sono i due poli di un racconto che sfrutta solo in apparenza i canoni del road movie, perché il vero viaggio è quello intimo nella complicità che si forma tra uomo e bambino, con un Joaquin Phoenix appesantito per il ruolo di Johnny in perfetta sintonia con Woody Norman, attore inglese già attivo sul piccolo schermo per la BBC, straordinari nel loro interagire sincero e reale.
Gaby Hoffmann nei panni di Viv incarna una maternità complessa e contraddittoria, consapevole di non dover immolare ogni aspetto della sua vita al ruolo di madre, troppo spesso appesantito da salvifiche aspettative irrealizzabili ben sottolineate da uno dei frammenti letterari presenti come sottotesto nel film. Jacqueline Rose: “Le madri sono il capro espiatorio dei nostri fallimenti personali e pubblici, di tutto ciò che è sbagliato nel mondo, che diventa il loro compito, ovviamente irrealizzabile, di riparare.”
Con un occhio a titoli come Paper moon di Peter Bogdanovich, esemplari nel rappresentare l’infanzia in modo più vero con i bambini che sono già portatori della complessa identità dell’adulto che sarà, C’mon c’mon sfoggia un bianco e nero capace di creare un punto d’incontro tra realismo e mito. La scelta delle città in cui si muove la storia poi non è casuale, da Detroit, futuro industriale del sogno americano, a New Orleans, che convive con la consapevolezza che alcuni quartieri saranno sommersi dalle maree.
Le interviste reali incastonate in C’mon c’mon sono schegge sorprendenti di realtà, con un loro solido spessore nient’affatto subordinate alla vicenda centrale di Johnny e Jesse. Spesso i ragazzi intervistati stavano vivendo situazioni difficili al momento delle riprese e si sono aperti alla macchina da presa in modo sorprendente; tra loro anche il piccolo Devante Bryant di New Orleans, nove anni, ucciso da un proiettile vagante mentre era seduto a un angolo di strada nell’estate 2020, a cui il film è dedicato.
Dopo l’anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma lo scorso ottobre, finalmente C’mon c’mon di Mike Mills sarà nelle sale italiane dal prossimo 7 aprile distribuito da Notorius Pictures con Medusa Film.