Sono passati ottant’anni da quell’estate del ’37 in cui nei californiani Walt Disney Studios fervevano le attività per consegnare al mondo un’opera innovativa e originale, il primo lungometraggio animato della storia del cinema, un’impresa che la gente di Hollywood reputava destinata al fallimento e i giornali avevano da tempo battezzato ‘la follia di Disney’.
Biancaneve e i sette nani vide la luce, o meglio il buio della sala, nella storica prima al Carthay Circle Theatre di Los Angeles il 21 dicembre 1937 diventando subito un successo, la dedizione totale al limite dell’ossessione che Walt Disney aveva dedicato alla genesi del progetto dava finalmente i suoi frutti.
Opera praticamente perfetta sul piano del ritmo narrativo, fu definita da Charlie Chaplin e Sergej Michajlovič Ėjzenštejn uno dei migliori film mai realizzati, fu capostipite di un genere allora inedito e ancora oggi tra i più floridi e remunerativi dell’industria cinematografica mondiale. Ma al di là di ogni considerazione economica che dette alla Disney la possibilità di crescere e produrre una lunga serie di capolavori animati, è il valore artistico del film – quello curato da Walt mentre suo fratello Roy si occupava di ogni questione finanziaria – a farne una pietra miliare del Cinema di tutti i tempi e a regalargli l’immortalità; tangibile nelle nove edizioni cinematografiche successive, accolte sempre con grande favore e successo di pubblico, che il film ebbe fino all’avvento delle visioni domestiche.
Negli anni ’30 i cartoni animati erano solo piccole comiche non superiori ai dieci minuti, proiettati nei cinema tra uno spettacolo e l’altro insieme ai cinegiornali; dopo la nascita di Topolino le produzioni Disney iniziarono a emergere anche con la serie delle Silly Simphonies, presto imitate dalle Merry Melodies della Warner Bros, che furono terreno di sperimentazione per effetti speciali poi messi a punto in Biancaneve e i sette nani. Già nel 1934 Walt coltivava l’idea del lungometraggio animato e quando l’anno successivo fece un viaggio in Europa ebbe conferma che l’idea poteva funzionare, a Parigi i suoi cortometraggi venivano programmati anche in gruppi di sei tutti insieme consecutivamente.
L’approccio narrativo però andava completamente rivoluzionato rispetto ai corti in cui la storia era un pretesto per trovate divertenti, il lungometraggio richiedeva la creazione di un’empatia con il pubblico, la capacità di coinvolgere con sentimenti reali attribuiti a figure disegnate, una bella scommessa. Noi oggi facciamo fatica a immaginare tale preoccupazione, centinaia di film a cartoni animati hanno dimostrato che sul piano emotivo non c’è molta differenza con azioni viventi interpretate da attori, ma Biancaneve e i sette nani fu a tutti gli effetti un prototipo – anche un’unità di misura con cui le opere successive dovettero confrontarsi – e le circa mille persone che parteciparono alla realizzazione furono dei pionieri, che nei tre anni della lavorazione si avventurarono in territori sconosciuti inventando cose che non erano mai state fatte prima.
Walt Disney non seppe mai dire perché la scelta della prima storia da raccontare in modo esteso fosse caduta sulla fiaba dei fratelli Grimm, ma possiamo supporre una valenza affettiva perché Biancaneve e i sette nani, nell’edizione muta del 1916 diretta da J. Searle Dawley, fu il primo film che vide ancora bambino in un cinema a Chicago.
La perfezione del lungometraggio animato sta tutta in un’apparente contraddizione, nella semplicità lineare del racconto unita a una sovrabbondanza di particolari e piccoli gesti che rendono la visione indimenticabile; fin dalla prima con le più importanti stelle del cinema presenti in sala, il pubblico pianse sulla scena creata da Frank Thomas con i nanetti inquadrati di schiena, che si tolgono i cappelli e rimuovono il vetro per deporre fiori sul corpo senza vita di Biancaneve.
Per la fanciulla protagonista, la regina, il principe e il guardiacaccia fu scelto un registro di rappresentazione realistico che incredibilmente non stride con quello caricaturale dei nani e degli animaletti del bosco; una scelta che creò difficoltà operative e portò a limitare talmente la presenza del principe da renderlo – unico personaggio nell’intero film – senza spessore o personalità, un difetto che si ripeterà purtroppo vent’anni dopo in un altro capolavoro Disney, con il principe Filippo de La bella addormentata nel bosco.
Nella cura di ogni dettaglio Walt non ebbe mai esitazioni a sacrificare intere scene già realizzate, o a farne rifare altre da capo quando si presentò la possibilità tecnica di migliorarle; come avvenne con la creazione della macchina da presa ‘multipiano’ capace di dare profondità agli ambienti.
Frank Churchill e Larry Morey scrissero venticinque canzoni originali di cui solo otto sono presenti nel film, da Some day my prince will come in poi furono tutte integrate nel tessuto narrativo con stile innovativo, passando dal dialogo al canto in modo del tutto naturale, e creando il modello che spinse la MGM a realizzare Il mago di Oz con Judy Garland che rivoluzionò il genere dei film musicali.
Anche la musica scritta da Paul Smith e Leigh Harline fu utilizzata come parte integrante dell’animazione, con trovate comiche e movimenti sincronizzati alla partitura, amplificando la simpatia dei sette nani che con un’intuizione geniale furono dotati di nomi e caratteri definiti, rendendoli riconoscibili e ancor oggi amati dal pubblico di tutte le età.
Biancaneve e i sette nani ha importanza capitale nella storia dell’animazione perché dalla sua lavorazione è nata la procedura strutturata in uso ancora adesso per realizzare qualsiasi cartone animato; furono istituiti corsi specifici per gestire il movimento e mantenere coerenza plastica e di proporzioni nei personaggi, ma il film introdusse anche all’adozione dello storyboard largamente utilizzato anche nelle produzioni ad azione vivente contemporanee.
Riconoscendo il valore innovativo del suo lavoro, a Walt Disney fu assegnato un Oscar speciale per la realizzazione di Biancaneve e i sette nani composto da una consueta statuetta e sette di dimensioni ridotte, consegnate dalla piccola Shirley Temple durante l’edizione 1939 degli Academy Awards.
Ancora oggi la raffinata bellezza dei fondali – unici ad acquarello tra i classici Disney fino a Lilo & Stitch (2002) – le oscure atmosfere ispirate agli horror di James Whale padre del Frankenstein interpretato da Boris Karloff e le trovate divertenti coi nanetti protagonisti, fanno di Biancaneve e i sette nani un esempio ineguagliato di arte cinematografica.