Premiato miglior film nella sezione Orizzonti alla 76ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica La Biennale di Venezia 2019, Atlantis di Valentyn Vasyanovych arriva finalmente nelle sale italiane, dal prossimo 11 aprile distribuito da Wanted Cinema, sulla scia del bombardamento mediatico che ha reso il conflitto in Ucraina argomento egemone nella totalità dell’informazione italiana.
“Ucraina orientale, 2025. Un anno dopo la fine della guerra” recita la didascalia di apertura sullo schermo, che alla luce dei fatti attuali acquista un’amplificata cupa valenza sinistra, ma non è frutto di chiaroveggenza del cineasta ucraino nel prevedere il futuro, quanto una lucida analisi del clima di un conflitto che – al di là di qualsiasi fola sull’invasione improvvisa di un pacifico Stato sovrano – dura già da almeno otto anni, ignorato fino ad oggi dall’Europa intera.
Serhiy è un reduce di guerra traumatizzato dagli orrori a cui ha assistito in prima persona, segnato nel profondo più di quanto riesca ad ammettere anche a sé stesso, impiegato in un’acciaieria insieme al suo miglior amico Ivan, che vorrebbe mandare tutto al diavolo e reinventarsi mercenario in altri conflitti.
Quando improvvisamente viene annunciata la chiusura dello stabilimento, l’uomo si trova da un giorno all’altro a dover ripensare la sua intera quotidianità alla luce di un’acquisita incapacità a vivere in mezzo agli altri, trova così un lavoro di trasporto che lo costringe ad andare in giro vedendo con i suoi occhi la devastazione postbellica, fisica e climatica, che ha reso l’ambiente incompatibile con la vita umana.
Tra squadre di sminatori in azione sul territorio e società umanitarie impegnate a recuperare poveri resti estratti dalle fosse comuni, nel tentativo di restituire identità – ove possibile – e dignità – sempre – con una singola sepoltura, Serhiy farà l’incontro inatteso capace di restituirgli la forza di andare avanti.
Con stile austero e rigoroso, affilato come una lama, privo della benché minima concessione all’empatia del racconto per l’assenza quasi totale di primi piani che avvicinino ai personaggi, Atlantis del cineasta Valentyn Vasyanovych fa un ritratto desolato e dolente della realtà ucraina; un’opera che nonostante la presenza nei titoli di coda delle insegne con svastica del famigerato battaglione Azof, lancia messaggi di pace in sequenze come quella della riesumazione che trova nella stessa fossa comune russi e ucraini.
Il sottotesto è di un’inattaccabile limpidezza. Contrapposti nella vita, tutti risultano inevitabilmente uniti nella morte: nazionalisti ucraini, stranieri russi e partigiani russofoni del Donbass, indipendentemente dalle etichette applicate – liberatori o invasori, oppressori o difensori – che appartengono a questo mondo inquieto. Un messaggio di fratellanza implicito, il ripudio della guerra come strumento di costruzione della pace – lo stesso della nostra Costituzione – che accompagna la visione della rovina.
Atlantis di Valentyn Vasyanovych è una lucida rappresentazione delle devastanti cicatrici interiori che il conflitto ha lasciato nell’animo del protagonista, ferite invisibili che possono impiegare più generazioni per essere completamente rimarginate, che ammette tuttavia nella sua durezza un raggio di speranza.