
Sesto lungometraggio del cineasta rumeno Cristian Mungiu, Animali selvatici è un’indagine antropologica ambientata in un remoto villaggio della Transilvania, ai confini dell’Unione Europea, nei giorni intorno al Natale 2019 e all’inizio dell’anno seguente, poco prima che certi nuovi piani di ingegneria sociale sconvolgessero il mondo.
Storicamente la regione della Romania nota per il mito di Dracula è stata a lungo terra contesa da più stati, perciò oggi vi convivono genti di lingua e religione diversa, residuali dei vari passaggi. A lungo da quelle parti si è guardato con sospetto ogni straniero comparso all’orizzonte e, nonostante tutta la retorica della propaganda europea sulla fratellanza tra i popoli, una certa diffidenza atavica non è mai stata neutralizzata.
Matthias emigrato per lavoro in Germania torna nel luogo natale dalla moglie Ana e dal figlio di otto anni Rudi. Il matrimonio è in crisi da tempo e il mutismo del bambino, traumatizzato da qualcosa di terribile che ha visto nel bosco, può solo inasprire la situazione, esacerbata dalla comprensione materna letta dal marito come un’inammissibile debolezza, pericolosa per la mascolinità del bambino. Il ritorno dall’estero porta l’uomo a riallacciare anche la relazione extraconiugale con Csilla, direttrice del panificio locale in cui, dopo annunci di ricerca personale andati inevasi, sono stati assunti tre lavoratori dello Sri Lanka. Nonostante una diffusa necessità di lavoro – la maggior parte degli uomini del villaggio sono andati lontano per trovare occupazione – le condizioni contrattuali proposte dall’azienda di panificazione sono troppo sfavorevoli per essere accettate dai lavoratori del luogo, ma non per questo la presenza degli asiatici potrà essere tollerata dalla collettività, scatenando ciò che è sempre rimasto latente e inespresso a causa di un certo senso del ‘politicamente corretto’.

La domanda di accesso a finanziamenti europei inseguita dalla direzione del panificio è emblema di un sistema che pretende di imporre regole senza valutare il tessuto sociale, il titolo italiano del film è più palese di quello originale R.M.N. [risonanza magnetica nucleare] che alludeva all’esame medico con cui si va a indagare nel profondo, oltre la superficie del corpo e – metaforicamente – delle cose, per rivendicare l’indomita indole selvaggia che neanche la globalizzazione può sradicare.

Punto centrale dell’intero racconto la lunga sequenza in cui la popolazione del villaggio si trova riunita nel palazzo comunale; piano sequenza continuo con macchina da presa fissa, per cui lo stile di Cristian Mungiu ha sempre nutrito predilezione, eloquente nel rivelare e sollevare tante questioni sommerse, come le incongruenze dei regolamenti europei imposti dal vertice che nell’istituire parchi naturali – la Romania ha più lupi e orsi d’Europa – trascura esigenze vitali.

Interpretato da attori professionisti per i personaggi principali, con Marin Grigore nel ruolo del protagonista Matthias e Judith State in quello di Csilla, per tutti gli altri in secondo piano Mungiu ha coinvolto non professionisti scritturati per l’occasione. A sottolineare la realtà multietnica del luogo in cui la vicenda è ambientata e, forse, per rivendicare anche una diversità che i protocolli dell’Unione sembrano voler cancellare, i titoli di coda sono in doppia lingua: rumeno e ungherese.

Dopo l’esordio in concorso al 75° Festival di Cannes, adesso Animali selvatici di Cristian Mungiu è in arrivo nelle sale italiane dal prossimo 6 luglio, grazie a Bim Distribuzione, tra i titoli compresi nella promozione Cinema Revolution 2023.