Il giovane cineasta romano Andrea Baroni, educazione religiosa e studi in Chirurgia a cui poi ha preferito la Settima Arte, con Amen realizza un’opera molto personale, in qualche modo legata alla sua formazione per l’analisi di certo fervore integralista, che segna anche il debutto nel lungometraggio.
In una campagna come sospesa nel tempo, in un casolare isolato, Armando vive con le tre figlie Sara, Ester e Miriam, insieme a sua madre Paolina, che impone all’intera famiglia un regime esistenziale di osservanza estrema alle Sacre Scritture, così stretto da rasentare il fanatismo. Le tre giovani, la più grande si affaccia appena all’adolescenza mentre la più piccola è una bambina ancora ben radicata nell’infanzia, non si sono mai allontanate dalla cascina dove abitano e dove coltivano l’orto da cui ricavano la maggior parte dei viveri necessari al loro stile di vita frugale; soltanto il padre ogni tanto può andare oltre la vallata per recarsi al mercato, oppure nei boschi circostanti dà la caccia ai lupi, simbolo di tutte le minacce che incombono là fuori per cui intima in modo ossessivo alle figlie di non allontanarsi.
Le attività quotidiane sono scandite dalla confessione dei propri peccati, a turno ognuno deve rivelare davanti agli altri tentazioni e debolezze due volte al giorno, al risveglio e come ultima cosa prima del riposo notturno. Un rito vissuto con un insofferenza dalle due sorelle maggiori, ma soprattutto dalla secondogenita Ester, i cui capelli rossi sembrano il segno esteriore della sua crescente voglia di ribellione. Elemento di destabilizzazione in più, di questo piccolo mondo chiuso su sé stesso, l’arrivo imminente di Primo, nipote di nonna Paolina e cugino delle ragazze.

Realizzato velocemente in appena tre mesi complessivi tra scrittura e riprese – l’autore ha detto che la sceneggiatura è sgorgata subito fluida, senza bisogno di abbozzare prima un soggetto – Amen sembra evocare situazioni viste anche altrove – The village di M. Night Shyamalan e Kynodontas di Yorgos Lanthimos, i primi titoli a cui mi ha fatto pensare – ma la qualità squisitamente cinematografica del linguaggio, inquadrature e montaggio, ne elevano molto il livello e ancor di più sapendola un’opera prima.

Fin dalla sequenza d’apertura con un cameo di Silvia D’Amico nel ruolo della madre delle ragazze, che grazie alla sua struttura filmica alimenta il mistero sulla sua figura e su ciò che le accade, Amen fa un uso massiccio di primissimi piani – sui volti, sulle mani, ma anche sugli oggetti – consolidando un forte senso di claustrofobia, perfetto nel dare forma visiva alla prigione ideologica in cui vivono i personaggi. Un’atmosfera repressiva, alla cui percezione contribuisce in modo determinante la splendida prova di tutti gli attori.

Metaforico, legato ai ricordi d’infanzia dell’autore che passava l’estate nel casolare dei nonni simile a quello del film, ma soprattutto esplorazione personale del concetto di ‘limite’ e del desiderio di oltrepassarlo andando oltre, dopo la presentazione al 41° Torino Film Festival dello scorso novembre, adesso Amen di Andrea Baroni è nelle sale italiane a cura di Fandango Distribuzione.

Dettagli

Didascalie immagini

  1. Locandina italiana
  2. Il piccolo mondo familiare minacciato dall’arrivo di Primo
  3. Il fervore estremo che induce alla repressione
  4. La madre Silvia nella sequenza d’apertura, il padre Armando e la severa nonna
    © 2023 TNM Produzioni Srl / Fandango Distribuzione

IN COPERTINA

Grace Ambrose è la figlia maggiore Sara
© 2023 TNM Produzioni Srl / Fandango Distribuzione

SCHEDA FILM

  • Titolo originale: Amen
  • Regia: Andrea Baroni
  • Con: Grace Ambrose, Francesca Carrain, Luigi Di Fiore, Paola Sambo, Valentina Filippeschi, Simone Guarany, Silvia D’Amico
  • Sceneggiatura: Andrea Baroni
  • Fotografia: Niccolò Palomba
  • Musica: Diego Buongiorno
  • Montaggio: Federico Palmerini, Giuliana Sarli
  • Scenografia: Roberta Montemale
  • Costumi: Marija Tosic
  • Produzione: TNM Produzioni
  • Genere: Drammatico
  • Origine: Italia, 2023
  • Durata: 89′ minuti