Sono trascorsi quasi trent’anni da quando il grande Bob Fosse ha abbandonato questa vita sulla panchina di un parco a Washington, il 23 settembre 1987; ballerino, coreografo e regista dal talento geniale e incontestabile, con il suo stile originale ha influenzato il lavoro coreografico di intere generazioni a venire e a soli sessant’anni se n’è andato con la consapevolezza di aver comunque vissuto senza compromessi, secondo lo stile, discutibile, incline all’eccesso che aveva scelto per sé.
Alla settima arte il poliedrico artista ha regalato appena cinque titoli, ma di quelli che hanno lasciato un segno; in ordine cronologico sono Sweet Charity – Una ragazza che voleva essere amata, Cabaret, Lenny, All that jazz e Star 80.
Qui vogliamo rendergli omaggio con quello che è senza dubbio il suo capolavoro, il film che più gli assomiglia, con uno straordinario Roy Scheider nel ruolo migliore di un’intera carriera a fare da alter ego al regista stesso: All that jazz – lo spettacolo continua.
Presentato in concorso al Festival di Cannes 1980 il film vinse la Palma d’Oro – ex aequo con Kagemusha, l’ombra del guerriero di Akira Kurosawa – assegnata da una giuria presieduta da Kirk Douglas, ebbe nove candidature agli Oscar e si portò a casa quattro statuette per la miglior scenografia, i migliori costumi, il miglior montaggio e la miglior colonna sonora.
Joe Gideon, coreografo e regista di successo, porta avanti in teatro audizioni per un nuovo grande spettacolo di Broadway scritto appositamente per l’ex moglie Audrey Paris, ballerina e madre di sua figlia Michelle, mentre in sala di montaggio combatte per ridurre i tempi fluviali di un film dilatato dai caustici monologhi di un attore (ogni analogia con il Dustin Hoffman di Lenny è voluta e nient’affatto casuale). Mentre sembra corteggiare l’enigmatica dama bianca cui rivolge intime confessioni, Joe consuma la sua vita tra fumo, alcol e sesso compulsivo con donne sempre diverse; l’abuso di stimolanti necessari per rimetterlo in piedi ogni mattina contribuisce a ulteriori complicazioni.
Prendendo il titolo da una canzone di Chicago, il musical scritto da Bob Fosse con Fred Ebb di cui il regista firmò nel 1975 il primo allestimento teatrale, All that jazz è la rappresentazione impietosa e crudele di un mondo artistico e professionale, ma soprattutto un ritratto disarmante per la sua sincerità, senza reticenze o ipocrisie, di un uomo voltato all’autodistruzione, non privo di pungente autoironia persino sull’ultima ‘impronunciabile’ battuta. Rendendo esplicito omaggio al Federico Fellini di 8 ½ il film riunisce insieme in un unico spazio metafisico figure e ricordi della vita di Joe Gideon/Bob Fosse, come la madre tra le pentole fumanti o la prima imbarazzante esibizione da ragazzo come ballerino di tip tap.
Metaforico e sfavillante di luci ed energia, All that jazz rappresenta il palcoscenico della vita di Joe come un grande spettacolo, dal risveglio mattutino sotto la doccia con la musica di Vivaldi alla dedizione totale di un negriero esigente con la propria creatività, estremo perfezionista e mai soddisfatto di se stesso.
Meravigliosi numeri musicali punteggiano lo scorrere di un film immune alle ingiurie del tempo, mai scalfito nella sua immutabile bellezza; dalla sublime foresta di braccia verso l’alto durante i provini iniziali sulle note di On Broadway all’erotismo della coreografia di Air-otica che manda in crisi i produttori, fino al crescendo emotivo dell’indimenticabile numero conclusivo.
Illuminato dalla fotografia del nostro Giuseppe Rotunno, con i costumi da Oscar di Albert Wolsky a evocare la circolazione venosa e arteriosa, in uno studio televisivo che raccoglie in modo felliniano tutti i personaggi di una vita intera, Roy Scheider e Ben Vereen intonano la bellissima Bye Bye Love mettendo in scena una visione ideale della fine, con l’esaltante commozione di saluti, baci, abbracci e perdono che nella vita reale non sono mai concessi.
Jessica Lange, al secondo film dopo il debutto dovuto a Dino De Laurentis nel King Kong diretto da John Guillermin, offre al bianco angelo della morte Angelique tutta la bellezza della sua gioventù.
Al suo arrivo sugli schermi USA nel dicembre 1979 il film fu maltrattato da una buona parte della critica che rimproverava all’autore un’eccessiva dose di egocentrismo, ma oggi che il tempo ha dissolto ogni invidia o antipatia personale il valore artistico, supremo nella forma come nei contenuti, è sotto gli occhi di tutti e All that jazz è diventato un vero e proprio oggetto di culto, per chi calca le tavole dei palcoscenici di Broadway e non solo. Immortale!