L’opera è un mare magnum, un oceano profondo da cui ogni tanto riaffiora qualche relitto o qualche tesoro rimasto sommerso per secoli. Sotto la superficie di Gilde, Norme e Konstanze si cela un universo di opere scomparse e mai più rappresentate. Spesso per ottime ragioni. L’oblio è stato anche il destino della Francesca da Rimini di Saverio Mercadante, sparita per quasi due secoli dai palcoscenici. Il libretto di Felice Romani, tratto dal celebre episodio del Canto V dell’Inferno e pensato in origine per Giacomo Meyerbeer, fu musicato almeno una dozzina di volte fra il 1823 e il 1857. La materia turbo-passionale della vicenda ben si addiceva infatti al gusto romantico ottocentesco. Tutte partiture inabissate e mai riemerse.

Mercadante compose la sua Francesca da Rimini fra il 1830 e il 1831 a Madrid, dove non andò in scena per circostanze sfortunate e rivalità tra primedonne. Stessa sorte ebbe l’opera l’anno successivo alla Scala. La Francesca di Mercadante finì in qualche dimenticatoio finché non fece finalmente il suo debutto al Festival della Valle d’Itria… nel 2016! Ben migliore sorte ha avuto la novecentesca Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai (tratta dalla tragedia di Gabriele D’Annuzio), che continua ad apparire con una certa frequenza nei cartelloni lirici; si è parlato in queste colonne dell’edizione 2021 della Deutsche Oper di Berlino, con l’eccellente Sara Jakubiak nei panni della disgraziata protagonista (Francesca da Rimini Deutsche Oper).
L’opera di Francoforte presenta la Francesca di Mercadante per la prima volta in Germania, in cooperazione con il Festival di Erl (Tiroler Festspiele) dove è stata rappresentata il dicembre scorso.
La regia lineare e un po’ onirica di Hans Walter Richter lascia spazio alla musica e alle voci. Il palcoscenico costruito da Johannes Leiacker è un gran contenitore nero e bianco, con al centro il letto di Francesca, dove la sventurata legge, piange e si dispera. Le stanno accanto il detestato marito Lanciotto e l’amato cognato Paolo. Tre tragedie personali. Raramente si sono viste in scena tre persone più infelici. La recitazione molto curata rimanda con efficacia tutte le passioni che ribollono nel libretto di Romani. Mentre l’azione scorre tre ballerini (Annalisa Piccolo, Bernardo Ribeiro e Gabriel Wanka) doppiano i protagonisti e ne rivelano i sogni, e gli incubi, più reconditi. Il palcoscenico è costantemente cosparso di gigli bianchi: simbolo di una purezza di affetti che viene sacrificata alla ragione di Stato e si trasforma in tragedia?

La Frankfurter Opern-und Museumsorchester, condotta dal direttore spagnolo Ramón Tebar, restituisce lo spartito brillante e opulento di Mercadante, un crocevia fra il Belcanto e Verdi. Echi rossiniani, come la cavatina di Paolo e il finale del primo atto. Cori guerreschi che ricordano Verdi. Melodie “lunghe lunghe” come Bellini (ma con un po’ di grazia in meno).
Il soprano australiano Jessica Pratt, una specialista del Belcanto, debutta a Francoforte. Voce voluminosa e agile, naviga con sicurezza la parte lunga e aspra, solida negli acuti e luminosa nelle colorature. La sua prima aria fa venire in mente la scena di follia di Lucia di Lammermoor.
Molto elegante per voce e gesto il Paolo en travesti del mezzosoprano Kelsey Lauritano. Ci si emoziona quando le due cantanti intrecciano le loro voci, accompagnate dall’arpa, per restituire i sospiri degli amanti nel passo del Libro Galeotto (in seguito dato alle fiamme da Lanciotto nell’ennesimo attacco di ira). Theo Lebow è il terzo lato di questo triangolo di angoscia e dipinge con voce raffinata un Lanciotto divorato dalla gelosia e dalla disperazione, che si tramutano in rabbia violenta e incontrollabile. Il tenore deve far ricorso a tutta la resistenza e l’agilità della sua voce per domare una parte davvero ardua. Il baritono Erik van Heyningen rimanda con efficacia gli accenti premurosi di Guido, il padre di Francesca. Bene anche Karolina Bengtsson nei panni di Isaura e Jonathan Abernethy che canta il perfido Guelfo. Eccellente, al solito, il coro guidato da Tilman Michael.

Una felice riscoperta questa Francesca da Rimini, che fa ben sopportare le tre ore di recita, e alla fine applausi molto meritati per tutti i protagonisti della serata. C’è da augurarsi che riesca a rimanere nei repertori e non affondi di nuovo sul fondo di qualche oceano del teatro musicale.