Peter Brook, decano dei registi britannici, affermava pochi giorni fa in un’intervista che “C’è solo uno scopo quando si agisce in quel campo misterioso che chiamano teatro, ed è arrivare a toccare le persone. Lo scopo è raggiunto quando qualcuno è toccato”. Se questo è davvero lo scopo, Die Passagierin passa l’esame a pieni voti. Si è davvero toccati, come di rado avviene nel teatro musicale, ci si commuove e ci si interroga. Un’opera unica nel suo genere, che ritorna a Francoforte dopo il suo debutto nel 2015.
Siamo nel 1960. Un transatlantico solca l’oceano. Lisa è in viaggio assieme al marito Walter, un diplomatico tedesco all’apice della carriera che va a prendere servizio in Brasile. Un coppia apparentemente felice. Walter non sa niente del passato tenebroso della moglie, ma all’improvviso Lisa crede di riconoscere in una passeggera della nave (“Die Passagierin”) una persona che credeva morta da tempo. Una prigioniera polacca di Auschwitz, dove Lisa è stata una sorvegliante. Il passato esplode nella mente di Lisa. Il palco del teatro gira su se stesso e si spalanca l’abisso. Il ventre della nave nasconde il cortile delle adunate di Auschwitz. Una voce metallica irradiata dagli altoparlanti chiama i prigionieri, numero dopo numero.
Non hanno più nome. Il processo di decostruzione dell’essere umano è già in atto. La disumanizzazione è accentuata dagli accenti scabri ed essenziali della musica di Weinberg che sottolineano questo passaggio. Il suono metallico della celesta aggiunge tensione, assieme all’uso aggressivo delle percussioni.
Molto efficaci le scene preparate da Katja Haß. Non è facile trasformare l’ambiente fatato di una nave da crociera nella fabbrica della morte, ma basta una rotazione del palcoscenico e il mondo cambia. Benvenuti all’inferno. Marta trascorre i suoi giorni, e le sue notti, nel blocco femminile del campo di concentramento, assieme alle compagne di sventura di altri paesi. Si canta e ci si duole in lingue diverse. Voci da girone dantesco. Il tedesco si intreccia con il polacco. Si odono inserti di russo e di francese. Donne senza capelli. Vestite di stracci a righe. Ad Auschwitz c’è anche il violinista Tadeusz, fidanzato di Marta, e Lisa intreccia con i due ragazzi polacchi una storia di manipolazione, benevolenza e gelosia. Sembra prendere Marta sotto la sua protezione. Cerca di creare occasioni perché i due si incontrino. Si scava nelle relazioni di dominio fra vittime e carnefici. Ma i due riescono a mantenere la dignità dei loro sentimenti senza concedere nulla al compromesso. Intanto la vita scorre nell’inferno di Auschwitz, tra degradazione e perdita di ogni speranza.
L’azione scenica si alterna fra la tolda e i saloni del piroscafo e il campo di concentramento. In uno dei passaggi più toccanti dello spettacolo il comandante del campo ordina a Tadeusz di suonare il suo valzer preferito. Il giovane imbraccia il violino e suona la Ciaccona della seconda Partita per violino di Bach, rispondendo alla barbarie nazista con la citazione di uno dei monumenti della cultura tedesca. Tadeusz, che si congeda dalla vita con un atto di grande umanità, viene ovviamente ucciso. L’ultimo quadro dell’opera vede Marta sola in scena che ricorda Tadeusz e le sue compagne di sventura e invita a mantenere la memoria di quello che è stato, attraverso le generazioni a venire.
Anselm Weber è riuscito a creare uno spettacolo forte e coinvolgente senza però cadere nel pedagogico o nel didascalico. Non c’è bisogno di aggiungere messaggi a quello che passa in scena. Lo spettacolo rimanda alla perfezione la psicologia delle due protagoniste e, più in generale, i rapporti che si instaurano in situazioni estreme come Auschwitz. Le scene, i costumi e le scritte trasmesse dai video sulle superfici del teatro aggiungono pathos e significato alla pièce.
Ci sono voluti quarant’anni prima che l’opera di Weinberg potesse essere eseguita. L’opera è basata sul breve romanzo autobiografico “Pasażerka z kabiny 45” (“La passeggera della cabina 45”, ancora non tradotto in italiano) della scrittrice polacca Zofia Posmysz, inizialmente concepito come opera radiofonica e poi uscito nel 1962. Attiva nella resistenza polacca, la giovane cattolica fu arrestata dalla Gestapo nel 1942 e spedita a lavorare in uno dei campi che formavano la galassia concentrazionaria di Auschwitz. È la Marta di Die Passagierin. Weinberg, un ebreo polacco scampato al nazismo rifugiandosi in Unione Sovietica (dove fu arrestato nel 1953 durante le purghe antisemite e di fatto salvato dalla morte di Stalin), completò l’opera nel 1968. Si deve però attendere il 2006 per la prima esecuzione in forma di concerto, avvenuta a Mosca. La prima versione scenica vide la luce al festival di Bregenz nel 2010. Negli ultimi anni Die Passagierin si è gradualmente fatta strada nel panorama internazionale, con rappresentazioni in diversi teatri. Un tributo tardivo a Weinberg e un baluardo a difesa della memoria. Sarebbe auspicabile che l’opera di Weinberg approdasse anche in Italia, soprattutto in un momento in cui si ricomincia a parlare di “razza” a cuor leggero.
Di rilievo il cast messo in campo dall’Opera di Francoforte, non solo per le voci, ma anche per un attento lavoro di recitazione che rimanda con precisione l’orrore dell’universo concentrazionario.
Katharina Magiera restituisce gli accenti dilaniati di Lisa. In fondo tutta l’opera si svolge nella sua testa, una volta che l’apparizione della passeggera ha scatenato gli incubi del passato. I momenti di angoscia si alternano a momenti in cui cerca una via di uscita morale “Sì, io ero ad Auschwitz, ma per questo non sono una criminale. Ho fatto il mio dovere“. Interpretazione forte di un personaggio straziato. Jessica Strong presta voce e gesto a Marta, una giovane donna di ricca di energia interiore che spesso si comporta addirittura come una madre con le altre prigioniere. Splendida la sua canzone sulla morte in polacco nella scena sesta, in occasione del ventesimo compleanno. Peter Marsh veste con convinzione i panni di Walter, interessato soprattutto a salvare la carriera di ambasciatore da un possibile scandalo. Bene anche il Tadeusz di Iain MacNeil e tutti gli altri numerosi protagonisti della serata.
Eccellente la Frankfurter Opern und Museumsorchester nel navigare attraverso l’emozionante partitura di Weinberg, che alterna gli accenti disumani di Auschwitz a innesti di jazz e di valzer da sala da ballo. Bene il coro, molto toccante il finale dei deportati.
Alla fine, quando cala il sipario, si avverte in platea un attimo di sospensione, gli applausi non partono immediati, poi decollano piano piano e crescono col passare degli attimi. Segno che lo spettacolo ha davvero colpito nel segno. La tensione si scioglie e quando i protagonisti tornano sul palcoscenico sono festeggiati a lungo dal pubblico.
Dettagli
Didascalie immagini
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Katharina Magiera (Lisa), Dietrich Volle (Primo soldato SS), Jessica Strong (Marta) e Cecelia Hall (Vlasta)
Foto © Barbara Aumüller -
Jessica Strong (Marta)
Foto © Barbara Aumüller -
Katharina Magiera (Lisa) e Iain MacNeil (Tadeusz)
Foto © Barbara Aumüller -
da sinistra a destra Magnús Baldvinsson (Secondo soldato SS), Iain MacNeil (Tadeusz) e Michael McCown (Comandante)
Foto © Barbara Aumüller
In copertina
Da sinistra a destra Jessica Strong (Marta) e Angela Vallone (Yvette)
Foto © Barbara Aumüller
SCHEDA
Direttore: Leo Hussain
Regia: Anselm Weber
Coreografia e direzione scenica della ripresa: Alan Barnes
Scene: Katja Haß
Costumi: Bettina Walter
Luci: Olaf Winter
Video: Bibi Abel
Direttore del coro: Tilman Michael
Cast
Lisa: Katharina Magiera
Walter: Peter Marsh
Marta: Jessica Strong
Tadeusz: Iain MacNeil
Katja: Elizabeth Reiter
Krystina: Maria Pantiukhova
Vlasta: Cecelia Hall
Hannah: Judita Nagyová
Yvette: Angela Vallone
Bronka: Joanna Krasuska-Motulewicz
Anziana: Barbara Zechmeister
Primo soldato SS: Dietrich Volle
Secondo soldato SS: Magnús Baldvinsson
Terzo soldato SS: Hans-Jürgen Lazar
Steward: Michael McCown
Passeggero: Thomas Faulkner
Oberaufseherin: Margit Neubauer
Kapo: Friederike Schreiber
Coro della Oper Frankfurt
Frankfurter Opern- und Museumsorchester