La comparsa improvvisa di un Salvator Mundi sulla scena mondiale salutato come l’ultimo capolavoro a lungo perduto di Leonardo da Vinci, è stata la vicenda più controversa degli ultimi anni nel mondo dell’arte. Oggi, con un evento di soli tre giorni dal 21 al 23 marzo, arriva nelle sale italiane il documentario Leonardo. Il capolavoro perduto del danese Andreas Koefoed, che non è soltanto un’accurata critica ricostruzione del caso, ma anche un ritratto emblematico del mondo in cui viviamo.

Dal ritrovamento a New Orleans da parte del cacciatore di dormienti – opere all’asta potenzialmente sottovalutate – Alexander Parish alla vendita per il prezzo record di quattrocentocinquanta milioni di dollari da Christie’s a New York, il film ricostruisce in modo dettagliato con contributi diretti delle persone coinvolte, quella che risulta a tutti gli effetti la costruzione vera e propria di un’icona moderna, una storia fatta di intrecci tra politica, potere e affari che molto poco ha a che fare con arte e cultura.

Nelle parole del critico d’arte Jerry Saltz l’epitaffio più sincero sulla società contemporanea occidentale e sui suoi costumi, che pur ammettendo la buona fede dei singoli fautori dell’operazione, dichiara: “…è la morale del nostro tempo. Non smaschero la bugia, non dico niente perché non voglio che mi sbattano fuori dall’isola dell’amore, di potere, di soldi e influenza. […] tutti sono stati complici nel creare questo sogno bellissimo del Leonardo da Vinci perduto.”

Un caso scaturito da iniziative di enti senza legittimità per fugare i dubbi sull’attribuzione, istituzioni come National Gallery e Louvre – quest’ultimo con un’anomala pubblicazione, fantasma quanto il mitico Belfagor – che hanno ceduto a personali entusiasmi o pressioni politiche del tutto estranee a valutazioni di merito degli specialisti di Leonardo, in un modus operandi analogo a quello che ha autorizzato l’uso di farmaci genici sperimentali, propagandati miracolosi, senza evidenze scientifiche a supporto.

Una storia appassionante come un intrigo, paradigmatica della manipolazione mediatica a cui ahimè è sottoposta tutta l’informazione, riflessa nell’efficacia eccezionale del primo spot realizzato da Christie’s per creare attesa verso il Salvator Mundi, fatta di reazioni emozionali alla visione del quadro che non appare però mai sullo schermo, con Leonardo Di Caprio in mezzo ad altri sconosciuti ad apportare il suo contributo a un’operazione, legittima qui in ambito commerciale, inaccettabile nella cronaca quotidiana.

Leonardo. Il capolavoro perduto ci conduce in luoghi inaccessibili alla gente comune come i cosiddetti porto franco, zone blindate dislocate negli aeroporti internazionali equiparabili ai paradisi fiscali, spazi in cui oggetti preziosi sono custoditi nell’anonimato e al sicuro anche da pretese tributarie perché sulla carta risultano in transito. Luoghi oscuri agli antipodi del concetto di museo, in cui l’arte muore ridotta a squallido investimento finanziario, dove si trova oggi nascosto con ogni probabilità il Salvator Mundi.

Dopo cinque anni di lavoro la restauratrice Dianne Modestini è stata esposta a forti critiche, accusata di essere artefice di una mistificazione, e mentre nell’ambiente degli specialisti la pretesa opera di Leonardo viene definita con una battuta ‘arte contemporanea al novanta per cento’ il film svela interessi e pressioni che niente hanno a che fare con la ricerca della verità; l’attribuzione non avrà mai probabilmente verdetto certo, ma la vera sconfitta evidenziata nel documentario è il suo essere del tutto insignificante.

In sintesi Leonardo. Il capolavoro perduto di Andreas Koefoed è la genesi di un’icona, pretesa e costruita a tavolino, nata per creare interesse mediatico su un oggetto usato come mero strumento, nell’intento di dare un alone di legittimità alla barbarie. Il film è distribuito da Nexo Digital con Piece of Magic Entertainment.