Perché non posso provare vite diverse,
come se fossero vestiti,
per vedere quale mi sta meglio
e mi dona di più
?”

Vite diverse e lontane da provare e cambiare come fossero vestiti. Abiti colorati o stracci da indossare in un giorno di sole o quando fuori piove. Poter decidere come e quando cambiarsi a seconda di quanto dice l’anima appena svegli.
Quello che chiedeva Sylvia Plath non era poi così assurdo. Avrebbe forse scelto un marito diverso o forse no. Avrebbe comprato una casa più grande o avrebbe tagliato di più i suoi capelli, avrebbe forse sorriso di più.
Non avrebbe di certo cambiato la poesia per nessun’altra cosa al mondo.

A raccontare la donna, poetessa e scrittrice, protagonista del suo tempo e anche del nostro, è la mostra “One Life” alla Smithsonian Gallery di Washington. Fino al 20 maggio 2018, per la prima volta Sylvia Plath è protagonista di una esposizione che – all’interno di un museo – racconta la storia e la vita di una delle figure più celebri della letteratura.

Il suo volto – capace anche di sorridere – svelato accanto a quello più cupo che a tutti ha sempre voluto mostrare – nella prima biografia per immagini e oggetti della Plath.
Uno sguardo nella vita personale e nella sua natura dualista (da tutti raccontata, per prima da sé stessa). Attraverso lettere personali, opere d’arte, fotografie di famiglia e oggetti, la mostra racconta l’eterna lotta dell’icona della poesia: alla ricerca costante del proprio sé, di una serenità mai trovata, combattuta tra pressioni sociali e lotte silenziose, vittima (forse) del tempo in cui divenne donna e poetessa, corpo che non è riuscito a rialzarsi schiacciato dalla montagna di nobile sensibilità che portava sulle sue spalle.

Dorothy Moss, curatrice della mostra, affiancata dal co-curatore Karen Kukil, dice: “Le immagini e l’immaginazione sono aspetti molto forti della personalità di Plath e in questa mostra prende corpo il suo immaginario“.
Il suo mondo – ricostruito grazie ai contributi della Mortimer Rare Book, dello Smith College e dell’Università di Indiana, oltre a quelli dei collezionisti privati – fatto di oggetti semplici che sempre l’hanno circondata: la macchina da scrivere, il banco di legno che era la sua scrivania, una ciocca di capelli legata da un nastro azzurro che la mamma volle salvare quando le tagliò i capelli per la prima volta, l’uniforme da scout.
Attraverso gli oggetti quotidiani e gli scatti di famiglia – come quelli assieme al fratello Warren su una barca in Massachussets o mentre gioca con una bambola – viene fuori l’immagine di una bimba solare, da sempre brillante negli studi, pignola e attenta, elegante nella sua durezza.
Il buio e la luce, la gioia e la disperazione, il gelo e il calore dell’alba delle quattro di ogni mattina, hanno sempre vissuto nella stessa donna, forse confondendola e a volte rincuorandola, in quell’equilibrio sottile di chi vive sul filo rosso che separa la normalità dell’anormalità.

In One Life, tra autoritratti e pensieri, lettere e fotografie, a parlare è anche il volto luminoso di Sylvia Plath.

Una donna bionda in spiaggia che sorride, che fa pensare a Marilyn in bikini bianco, posa per un fidanzato, lontana da quel ritratto composto di capelli bruni e aria seria. Il lato lucente forse di Lady Lazarus.
Il suo sogno forse è sempre stato lo stesso: “mandare via la donna” per lasciare “viva la poetessa” in modo che la poesia non venga contaminata dalla degenerazione del reale.
Una mostra ci parla di Sylvia, di una così atomica personalità, della donna che scriveva ogni giorno, che giocò con la sua vita diverse volte, che perse quel gioco una mattina qualunque.

Tra i vari documenti anche la tesi di laurea “Lo specchio magico: uno studio sul doppio in due dei romanzi di Dostoevskij”: quel dualismo, che sarebbe tornato sempre a rimbalzare nella sua testa, nelle sue scritture e nei suoi gesti. Quell’unicità mai raggiunta e mai cercata.

L’anima tragica di una donna giovane e la sua idea di scrittura. La morte che giunge troppo presto.
Restano i diari, i romanzi e i versi concreti e straordinari.
La parola scritta – come la Plath ci insegna – è la vera forma di sopravvivenza, in ogni caso.
Silvya Plath non era una sola. Era tante donne fatte della più cruda poesia.

“Un nuovo modo di essere felice
Mi accorgevo di avere la pelle d’oca
Senza una ragione,
dato che non avevo freddo.
Era forse passato un fantasma su di noi?
No, era stata la poesia.
Una scintilla si era staccata dal poeta
e mi aveva dato una scossa gelida.
Mi sentivo molto strana.
Avevo scoperto un nuovo modo
di essere felice
.”

Sylvia Plath

Dettagli

Didascalie immagini

  1. Courtesy The Lilly Library, Indiana University, Bloomington, Indiana, © Estate of Sylvia Plath
  2. Courtesy Mortimer Rare Book Collection, Smith College, Northampton, Massachusetts
  3. Sylvia Plath come Marilyn Monroe, giugno 1954., foto Gordon Ames Lameyer, Courtesy The Lilly Library Indiana University, Bloomington, Indiana
  4. Sylvia Plath, portrait

IN COPERTINA:
Sylvia Plath come Marilyn Monroe, giugno 1954., foto Gordon Ames Lameyer, Courtesy The Lilly Library Indiana University, Bloomington, Indiana
[particolare]

Dove e quando

Evento: One Life: Sylvia Plath

Indirizzo:
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Fino al: 20180520