Il problema principale nella risposta al cambiamento climatico è la causa stessa che ci ha portato sull’orlo del baratro: la falsa e deleteria convinzione che le risorse della Terra siano infinite. Il secolo del progresso tecnico e scientifico non ha fatto altro che spingere verso un modo di vivere basato sulla crescita continua, resa (apparentemente) possibile dalla scoperta delle fonti di energia fossili che hanno permesso all’essere umano di trasformare radicalmente il mondo. Un potere incredibile ma insostenibile ed autodistruttivo.
L’unica soluzione è la sobrietà energetica, una discesa (o caduta, dipenderà da noi quale delle due) accompagnata da fonti energetiche a bassa emissione di carbonio, e ci resta poco tempo per attuarla.
Questa è la tesi di fondo di Jean-Marc Jancovici (ingegnere, divulgatore e tra i maggiori esperti sul cambiamento climatico) e Christophe Blain (tra i migliori fumettisti francesi contemporanei) in Il mondo senza fine, graphic novel uscito a Marzo 2023 per Oblomov Edizioni. Con il suo tratto caratteristico, Blain accompagna il lettore rappresentando graficamente il dialogo tra i due autori, esplicando concetti, numeri e fenomeni complessi alla base delle idee di Jancovici, riuscendone a limare asprezze e perentorietà (tipiche della retorica di Jancovici) senza diminuirne urgenza e serietà. Nonostante alcuni punti controversi (per esempio la questione energia nucleare), il libro trasmette concetti solidi e chiari per capire come siamo arrivati in prossimità del punto di non ritorno. Tutto parte dall’energia.
L’energia è il flusso che governa il nostro mondo e dal quale dipendiamo.
Per la maggior parte di noi esseri umani l’energia è un’entità astratta, a cui non sappiamo dare una definizione chiara, che diamo per scontata. Dobbiamo invece aver ben presente che l’energia è un flusso fisico: è la misura dei cambiamenti di un sistema. Contare l’energia vuol dire misurare la trasformazione del mondo che ci circonda.
L’energia non si crea né si distrugge, ma passa da una forma all’altra.
Questa legge di finitezza cozza fondamentalmente con la nostra ossessione sociale di crescita infinita. Se noi vogliamo più energia di quella fornita dal nostro corpo, dobbiamo per forza estrarla dall’esterno.
L’energia estratta deve passare da un convertitore per essere utilizzata. Questi convertitori sono ciò che noi definiamo macchine. Ogni volta che utilizziamo una macchina consumiamo dell’energia, a sua volta estratta dal mondo esterno.
Costi bassi, vantaggio enorme.
Spesso consideriamo l’energia solo come un costo, lamentandocene, senza sapere quanto essa realmente valga. La forza muscolare massima di un essere umano può essere quantifica tra i dieci e i cento kHw all’anno.
Allo stesso tempo un litro di benzina genera un’energia termica di dieci kWh. In altre parole, un litro di benzina equivale a dieci-cento giorni di lavoro umano. A che costo? Meno di due euro. Perché allora ci sembra di pagare così tanto per l’energia? Perché ne usiamo tanta, troppa, quasi per ogni cosa.
Non esiste nessuna energia verde, né di nessun altro colore.
Scegliere un’energia vuol dire scegliere un tipo di trasformazione con vantaggi e svantaggi. Qualsiasi energia è sporca se usata su larga scala. Scegliere un’energia vuol dire scegliere tra gli inconvenienti che accettiamo e quelli che non accettiamo. In aggiunta, tutte le fonti di energia sono gratis, anche il petrolio. Il problema non è la sua abbondanza o scarsità in natura, ma l’uso che ne facciamo, il lavoro che s’impiega per estrarlo, e l’accesso. Ciò che conta è che l’energia debba essere molto concentrata e con poche barriere che ci separino dalla sua fonte per essere poco costosa ed efficiente.
Le fonti energetiche “pulite” non stanno sostituendo quelle più inquinanti.
Anzi, si sono sommate a queste ultime. In sostanza, la domanda e l’estrazione di fonti energetiche continua ad aumentare dalla Rivoluzione Industriale ad oggi. Prima il carbone, poi il petrolio, passando per il gas, il nucleare, l’idroelettrico, ed i più recenti eolico e solare, nessuna fonte energetica ne ha sostituito un’altra ma ciascuna si è aggiunta a quella precedente. Ogni terrestre usa ventiduemila kWh all’anno. Abbiamo sviluppato un’appendice meccanica che equivale a duecento volte la nostra potenza muscolare. È come se il terrestre medio avesse la forza lavoro di duecento schiavi (ovviamente non suddivisi equamente tra i popoli della Terra, per esempio seicento pro capite per la Francia, cinquanta pro capite per l’India).
Sempre di più.
Dalla metà dell’Ottocento siamo sempre di più e consumiamo sempre più energia pro capite. L’aumento della popolazione segue l’aumento iperbolico dell’energia. Abbiamo macchine sempre più performanti (dal 1930 al 2020 le macchine forniscono da cinque a dieci volte più lavoro con la stessa quantità di energia), ma ne usiamo sempre di più!
Più la nostra pressione sulla Terra aumenta più aumentano gli squilibri.
È improbabile che questa crescita continui, abbiamo raggiunto i limiti della Terra. I nostri numeri e l’energia che usiamo aumentano, ma la Terra è sempre la stessa. I problemi ambientali attuali sono uguali a quelli del passato ma è la loro intensità e frequenza ad essere cambiata. L’aumento esponenziale della nostra azione sull’ambiente ha causato una conseguente moltiplicazione esponenziale dei sottoprodotti negativi di questa trasformazione.
Da liberi a schiavi del lavoro.
L’energia in abbondanza ha alzato enormemente l’efficienza dell’agricoltura. Dal 1850 ad oggi il numero di lavoratori in agricoltura è calato drasticamente. Allo stesso tempo sono aumentati gli operai con l’aumento della produzione industriale, spinta dall’energia del petrolio. Ma si è sviluppato un processo perverso in cui la produzione di petrolio era sempre maggiore del numero di macchine stesse e di operai (questi ultimi ormai ridotti a seguire il ritmo alienante delle macchine). Tutto fino al primo grande shock del petrolio (1973), al conseguente aumento dell’automazione, al grande calo di operai, ed all’espansione del terziario.
Un mondo ricco di lavori nel terziario non è un mondo dematerializzato, ma l’esatto opposto.
In un sistema fortemente basato sulla produzione industriale, il numero di addetti ai lavori aumenta con il numero di macchine. Nel terziario invece il numero di impieghi aumenta con l’aumento dei prodotti. Ad esempio, produciamo sempre più automobili e più velocemente che in passato, ma il tempo per venderle, richiedere un mutuo per comprarle, per assicurarle, per distribuirle, per imparare a guidarle, per controllare il traffico è sempre lo stesso. Abbiamo un bisogno più grande di persone che lavorino nel terziario. Più un sistema è fatto di oggetti numerosi e complessi più ha bisogno di gente per occuparsene. Ed ogni prodotto in più ha richiesto un costo energetico in più.
Il virtuale non rimpiazza il fisico, ma s’influenzano a vicenda.
Se aumenta l’uno aumenta anche l’atro. Utilizzare internet vuol dire utilizzare carbonio. Più l’energia è abbondante più generiamo prodotti e flussi d’informazioni. Lo possiamo notare in tutti i settori della nostra vita. In agricoltura occupiamo i terreni per dar da mangiare agli animali che vogliamo consumare noi stessi (e produrre un kg di carne di vitello comporta quarantadue kg di CO2 mentre un kg di verdura comporta meno di un kg di anidride carbonica). L’80% degli acquisti che facciamo viene dalla GDO nella quale il prezzo del cibo conta solo dal 3% al 30% del prezzo finale (tutto il resto serve a pagare i costi legati a distribuzione e vendita). Il tempo che passiamo negli spostamenti è lo stesso rispetto al passato, la differenza è che oggi andiamo più lontano. In città, la costruzione di abitazioni è più veloce della crescita della popolazione stessa.
Consideriamo la Terra come fatta di risorse infinite.
Questo concetto si è sviluppato tra Settecento e Ottocento quando i primi economisti (occidentali) vedevano la Terra con grandi possibilità di espansione, colonizzazione, e piena di risorse abbondanti. Ciò che era raro era il lavoro umano e le risorse naturali sembravano infinite. L’obiettivo era produrre. Da allora, non riusciamo a concepire un mondo senza crescita. Pensiamo che la nostra volontà di arricchimento non dipenda che da noi e non dalle risorse. All’inizio era ignoranza, ora è rifiuto di riconoscere la realtà.
Il riscaldamento climatico chiama altro riscaldamento climatico
Il grande problema dell’aumento di temperatura causato dalle emissioni di gas serra, dovute all’attività umana, è l’innesco di una serie di fenomeni che peggiorano ulteriormente la situazione climatica (ad esempio lo scioglimento del permafrost causato dall’aumento di temperatura ai poli, determina il rilascio di grandi quantità di gas serra che a loro volta contribuiscono all’aumento di temperatura). Non sappiamo cosa accadrà esattamente ma per certo sappiamo che andremo incontro a sempre maggiori incognite. Il sistema è in tensione e non sappiamo dove si romperà.
Abbiamo poco tempo.
L’unica soluzione per affrontare lo scenario meno negativo (l’aumento di due gradi entro il 2100) richiede una riduzione drastica ed inesorabile delle emissioni dei gas ad effetto serra entro il 2050. Per Jancovinci non possiamo continuare a usare così tanta energia e dobbiamo rassegnarci a perdere il confort delle energie fossili. Il problema è che per evitare una caduta drastica dovuta ad un cambiamento così radicale, che rischia di sfociare nel caos sociale proprio nel momento in cui serve più coordinazione tra popoli, dobbiamo comunque continuare a produrre energia a bassa emissione di carbonio per agevolare la decrescita e la sobrietà energetica.
La questione del nucleare.
Jancovinci vede l’energia nucleare come la soluzione più fattibile, perché è un’energia concentrata, controllata dallo Stato (nel contesto francese), genera pochi rifiuti (rispetto alle altre energie fossili) ed ha emissioni di anidride carbonica pari quasi a zero. L’autore non è convinto che eolico e solare possano essere una soluzione rapida ed efficace perché sono fonti energetiche incostanti, che richiedo molto spazio, e difficoltà d’immagazzinamento dell’energia. Il nucleare potrebbe quindi essere il paracadute che smorzerà la violenza della decrescita energetica. Tuttavia Jancovinci ha ricevuto diverse critiche per questa proposta, (il dibattito sull’uso dell’energia nucleare come fonte pulita è tra le questioni più controverse quando si parla di soluzioni al cambiamento climatico). Infatti, l’autore non menziona le fragilità delle centrali nucleari in situazioni di conflitti armati o attacchi terroristici, e minimizza le incertezze legate allo stoccaggio dei rifiuti nucleari. In aggiunta il settore eolico e solare è in rapida espansione con costi di produzione sempre più bassi rispetto al passato. Allo stesso tempo l’installazione e l’entrata in funzione di nuove centrali nucleari richiede molto tempo probabilmente non sufficiente a produrre energia nei limiti di tempo individuati dall’accordo di Parigi.
Che futuro?
Nonostante tutte queste problematiche e l’urgenza della decrescita energetica Jancovinci e Blain concludono l’opera trovando una possibile soluzione nel fautore stesso di questi problemi: l’essere umano.
Non dobbiamo per forza fermarci ad un sentimento di colpa, ma possiamo agire per rimediare ai danni fatti. Non servono delle imposizioni inamovibili: il problema climatico è un problema di quantità, anche la soluzione deve essere di quantità. E ci sono tutta una serie di azioni possibili e concrete da intraprendere per agire in questo senso (illustrate dai due autori). Sarà certamente difficile cambiare perché siamo governati da tendenze, impulsi e desideri che ci spingono al guadagno immediato ed al minimo sforzo, ma in noi è congenita la ricerca di soluzioni collettive. L’individualismo si è sviluppato perché la collaborazione tra esseri umani non sembrava più indispensabile alla sopravvivenza, ma la fine prossima dell’energia infinita ed il fallimento della tecnica ci mostrano che la strada da seguire sono lo sforzo e l’organizzazione collettiva.