Venerdì scorso, presso l’Aula Magna “Cesare Brandi” di Roma, il Direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, Sylvain Bellenger e la Direttrice dell’Istituto Centrale per il Restauro Alessandra Marino, hanno presentato alla stampa “Il Ritratto di Pier Luigi Farnese in armatura” di Tiziano Vecellio che fa parte della raccolta farnesiana giunta a Napoli con l’ascesa al trono di Carlo di Borbone (1734) e il dono della collezione della madre, Elisabetta Farnese. Il risanamento si era reso necessario in quanto l’opera presentava condizioni di leggibilità compromesse da una notevole presenza di piccole lacune e abrasioni diffuse, da alterazione degli strati protettivi, colle e vernici, applicati nel restauro precedente del 1957.

Pier Luigi Farnese (1503-1547), primogenito di Papa Paolo III, non indossa un’armatura di rappresentanza, ma una assimilabile a quelle tipiche d’uso militare dell’epoca. Molto semplice la decorazione, che si risolve in un annerimento totale delle superfici, con bordure ribassate e dorate a evidenziare i margini delle lame metalliche. Una piccola decorazione incisa all’acquaforte sembra sottolineare lo scollo alla maniera francese. Forti analogie si possono individuare con l’armatura indossata da Alfonso d’Avalos nell’Allocuzione dipinta dallo stesso Tiziano oggi al Prado.

La figura fiera e altera di Pier Luigi, infatti, appare con autorità e forza nei panni di condottiero con la bandiera che richiama la carica di Gonfaloniere e generale dell’esercito pontificio, assegnatagli dal padre nel concistoro del 31 gennaio 1537, carica che il pontefice perfezionò il giorno successivo. A tale carica seguì quella, prestigiosissima, di duca di Parma e Piacenza la cui proposta di investitura fu fatta nel concistoro del 12 agosto 1545 e la votazione avvenne il 17 agosto non senza contrasti.
Pier Luigi è ritratto in un profilo di tre quarti, suggerendo quasi il passaggio dalla contemplazione all’azione, amplificato dal gesto della mano destra che afferra il bastone, simbolo del suo comando militare, mentre l’altra stringe nell’ombra il manico di un pugnale pronto ad essere afferrato. Infine, il caschetto del soldato portastendardo è ornato da un motivo a voluta che ritroviamo sui caschetti a tre creste della Guardia Farnesiana in ferro sbalzato e dipinto, oggi conservati nell’Armeria del Museo e Real Bosco di Capodimonte.

Il nucleo di dipinti realizzati per i Farnese da Tiziano, ospite della corte a Roma, comprende alcuni fra i più celebri ritratti di tutta la pittura del Cinquecento europeo, in massima parte conservati a Capodimonte. La dinastia dei Farnese, originata dalla piccola nobiltà laziale della Tuscia, valorosi mercenari al soldo del miglior offerente, non fu sempre schierata dalla parte della Chiesa, al punto che Pier Luigi Farnese, al servizio di Carlo V nel 1527, partecipò al sacco di Roma, approfittando dell’occasione per salvaguardare il Palazzo Farnese, mentre suo fratello Ranuccio proteggeva utilmente Clemente VII, che si era rifugiato a Castel Sant’Angelo.

Questa ambiguità opportunistica accompagnava gli incessanti cambiamenti di alleanza nella politica dell’epoca e, in qualche modo, è visibile proprio in quest’opera dove l’ampio stendardo, segnato dall’emblema di Gonfaloniere della Chiesa – il padiglione camerale con le chiavi incrociate – evidenzia l’importante carica ricevuta nel 1537 dal padre. Con la sua tonalità carica e i suoi caldi riflessi contribuisce a mettere in risalto il volto pallido e scavato del duca malato, su cui risalta la violenza emotiva dello sguardo, con gli occhi vivacissimi, la bocca sottile e tesa, specchio del temperamento cruento e risoluto della personalità trasgressiva e dissacratrice, quasi presago della morte violenta che lo avrebbe colpito a seguito di una congiura ordita contro di lui nel 1547, un anno dopo l’esecuzione del ritratto.

Alla precisione dei tratti fisionomici si accompagna la definizione più libera dell’abbozzo per quanto riguarda la posa del condottiero e l’ambientazione. Il braccio destro presenta una prima redazione più sollevata con la mano che si direbbe poggiare su un piano, piuttosto che stringere il bastone del comando. Questa inedita lettura viene suggerita proprio dalla mappatura della superficie dipinta attraverso
l’indagine MA-XRF, che ha permesso di tracciare la distribuzione degli elementi chimici. Tale indagine consente di ricostruire sia le modifiche in corso d’opera – si vedano le immagini del piombo e del ferro – sia le originarie componenti cromatiche, rese di difficile interpretazione dal precario stato di conservazione e dalle alterazioni subite da alcuni pigmenti.

Il quadro restaurato sarà in mostra, a partire dal 18 marzo, presso il Complesso Monumentale della Pilotta a Parma nell’ambito della mostra “I Farnese. Architettura, Arte, Potere”, patrocinata dal Ministero della Cultura e inserita nei progetti di Parma Capitale italiana della Cultura 2020-21.
La rassegna presenterà oltre trecento opere da collezioni italiane ed europee, un corpus eterogeneo e mai riunito prima fra dipinti, oggetti, disegni progettuali, documenti e plastici, a venticinque anni dall’ultima iniziativa sul tema. L’evento si pone l’obiettivo di indagare la straordinaria affermazione della casata nella compagine politica e culturale europea dal Cinque al Settecento, attraverso l’utilizzo delle arti come strumento di legittimazione. Ovviamente, ve ne parleremo, dopo la visita.
Chiudiamo segnalando come, dalla cultura, è arrivato ieri un lieve messaggio distensivo infatti, grazie all’accordo raggiunto dall’Ermitage con il Ministero della Cultura russo – in base al quale viene attenuata la richiesta di un ritiro immediato delle opere prestate dal museo di San Pietroburgo alle Gallerie d’Italia – è stato deciso che, tali opere, possano restare esposte al pubblico nella mostra “Grand Tour” a Milano fino alla sua chiusura del 27 marzo, come inizialmente previsto.