Un artista scoperto dal grande pubblico non da tanti anni e diventato una star di primo livello nel panorama delle mostre internazionali. Iacopo Carucci, detto il Pontormo, dalla sua città natale in Toscana, è stato protagonista di tante esposizioni d’arte, non ultima quella che si è chiusa il 29 luglio allestita alla sala delle Nicchie in Palazzo Pitti a Firenze. Da Firenze la mostra si sposterà negli Stati Uniti, dove rimarrà fino al 6 gennaio 2019 alla Morgan Library& Museum di New York per poi fare tappa finale la Paul Getty Museum di Los Angeles, odierna casa di uno dei capolavori dell’artista. Il famoso Ritratto di Alabardiere è uno dei capolavori assoluti della ritrattistica del Cinquecento, vero modello per gli artisti manieristi; tornato in Italia a farsi ammirare dopo 22 anni, fu acquistato dal Getty Museum nel 1989 alla più che considerevole cifra di 32,5 milioni di dollari dalla collezione privata di Chauncey Stillman. Questa affascinante figura di giovane ancora oggi, dopo anni di studi e ricerche, ci nasconde la sua identità. Quale era il nome dell’elegante giovane raffigurato dal Pontormo? E, da domanda nasce domanda: in quale data è stato realizzato il dipinto?

Sono due i nomi in ballo per l’identità del giovane alabardiere. Come scoprirlo? Si parla sempre di storia fiorentina del Cinquecento, perciò non si può prescindere dal partire dalle pagine scritte da Giorgio Vasari nelle sue Vite, il quale dice che Pontormo realizzò il ritratto del giovane Francesco Guardi durante il periodo dell’assedio delle truppe imperiali a Firenze, quindi fra il 1529-30.

Francesco Guardi, erede di un cospicuo patrimonio familiare insieme ai due fratelli Piero e Branca, era nato nel 1514, quindi l’età del giovane raffigurato appare adeguata alle date proposte. Il dipinto, attribuito al Pontormo dallo storico dell’arte Voss nel 1920, non fu però concordemente accettato come ritratto del Guardi da tutti gli storici dell’arte, alcuni dei quali ritennero che fosse quello di Cosimo I de Medici, il futuro giovane Duca di Firenze. Quando il dipinto fu esposto alla mostra l’Officina della Maniera alla Galleria degli Uffizi nel 1996 in occasione delle celebrazioni per il V centenario della nascita dell’artista, il catalogo a cura di Alessandro Cecchi e Antonio Natali riportava nella scheda, a firma di Elizabeth Cropper, la dicitura Ritratto di Francesco Guardi l’Alabardiere. Oggi, la scheda del catalogo della mostra che abbiamo ammirato a Firenze e che sarà in tournée per i prossimi mesi in USA, ripristina un punto interrogativo sull’identificazione dell’effigiato. In verità, leggendo con attenzione la scheda scritta da Davide Gasparotto, uno dei curatori della mostra, la conclusione ci riporta il nome del giovane Guardi, dopo aver messo in fila tutte le informazioni in modo analitico e aver analizzato le probabili date. Inoltre, la fisionomia di Cosimo I giovane non trova riscontro in questo volto tondeggiante dalle fattezze delicate. I primi ritratti di Cosimo esprimono sempre un volto magro dalla mandibola forte con il labbro inferiore sporgente, mentre il volto dell’alabardiere sembra essere vicino alla statua del Davide di marmo di Donatello, oggi conservato al museo del Bargello. Anche la datazione dell’opera, spiega il co-curatore, “è l’argomento più forte contro la sua identificazione come un ritratto di Cosimo I, giacché esso per stile, composizione e costume si inserisce perfettamente nell’itinerario artistico di Pontormo della fine degli anni Venti.” Il disegno preparatorio conservato agli Uffizi ne è un’ulteriore testimonianza.

Il punto interrogativo dell’intestazione della scheda viene quindi definitivamente contraddetto dall’autore con le seguenti parole: “La datazione del ritratto oggi al Getty alla fine degli anni Venti porta dunque a concludere che esso possa essere identificato con il ritratto di Francesco Guardi celebrato dal Vasari come «opera bellissima» dipinta al tempo dell’assedio di Firenze. Francesco, nato nel 1514 e allora fra i quindici e i sedici anni, appare raffigurato mentre monta la guardia di notte di fronte a uno dei bastioni delle mura cittadine, verosimilmente in una sua proprietà denominata la “Piazzuola” di fronte a San Miniato, in quel momento minacciata dai cannoni nemici. Anche se Francesco era troppo giovane per fare ufficialmente parte della milizia fiorentina, sappiamo che molti giovani «che non passavano la età di quindici o sedici anni» seguivano i padri nelle riviste e nei loro giri di perlustrazione e che questa gioventù fiorentina faceva «il più bello spettacolo […] perché egli erano non meno utilmente armati che pomposamente vestiti». I capelli corti e la berretta attestano una moda che, a stare col diarista Agostino Lapini (ed. Corazzini 1900, p. 96), si impose a Firenze proprio nel momento dell’assedio, mentre la medaglietta con Ercole e Anteo sottolinea la lotta mortale ingaggiata dalla repubblica contro la tirannide.” Lo stupendo ritratto non rimase isolato nella produzione pontormiana e questa mostra ha cercato di far luce anche su un’altra identificazione. Per quasi due secoli un altro ritratto, conosciuto dalla critica solo attraverso una stampa del Settecento, che però lo attribuiva al Bronzino, è stato ritenuto perduto ed è stato ritrovato solo recentemente.

E’ il probabile ritratto di Carlo Neroni, della collezione dei marchesi Gerini di Firenze, che fu messa in vendita nel 1825 quando il dipinto venne valutato centocinquanta scudi con l’attribuzione ad Allori, ma rimanendo invenduto. Fu acquistato due anni dopo e finì a Londra nella dimora dei conti di Caledon. L’identità del giovane raffigurata era già finita nell’oblio dal secolo precedente tanto da essere descritta in un inventario del 1733 come ritratto del napoletano Masaniello, leggendario rivoltoso amato dal popolo! La proposta di riconoscere nel ritratto l’opera dl Pontormo che rappresenta Carlo Neroni, ricordata dal Vasari nei suoi scritti, è avvenuta nel 2008 da parte dello storico Francis Russell. Così come l’Alabardiere, il ritratto di Neroni è un dipinto affascinante, con una immagine di un giovane uomo colto nell’atto di tirare fuori dalla sua giacca una lettera, di cui si leggono alcune lettere che rimangono purtroppo un enigma da decifrare. Il giovane nobile fiorentino è vestito in modo elegantissimo, con una berretta rossa messa sulle ventitré, una camicia di “renza” sotto ad una giacca di satin grigio dalle maniche ampie, rivestita da un giubbone aderente di cuoio caratterizzato da tagli verticali e ripresa sulle spalle. Conosciamo poco di Carlo Neroni e in particolare della sua giovinezza. Il nobile era un membro della famiglia discendente da Dietisalvi Neroni, che nel 1466 era stato condannato all’esilio per una fallita cospirazione contro Piero de’ Medici. Dopo ventisette anni in esilio, alcuni membri della famiglia Neroni avevano ottenuto la revocazione della sentenza e il padre di Carlo, Francesco Maria Neroni, era rientrato a Firenze nel 1493. Nel 1530 Carlo sposa Caterina Capponi, figlia di un ricco mercante e nipote di Niccolò Capponi, che nel 1527 era stato nominato gonfaloniere della repubblica fiorentina. Caterina muore nel 1539, e probabilmente questo ritratto viene realizzato ben prima di questo evento, considerando che il giovane sembra avere circa 20 anni e indossa un anello al dito. Ma la missiva in mano fanno pensare ad un tipico ritratto politico, proprio come per l’Alabardiere, con cui fa il paio. “Nell’impostazione compositiva e nel costume l’Alabardiere appare vicinissimo al probabile ritratto di Carlo Neroni, di cui sembra quasi una variante più elaborata; molti elementi in comune entrambi i dipinti hanno col disegno preparatorio per un ritratto di uomo armato, che non a caso è stato talvolta presentato come un primo studio per l’Alabardiere stesso.” Esiste un disegno conservato al Gabinetto dei disegni e delle stampe delle Gallerie degli Uffizi che sembra proprio da porre in collegamento con questo ritratto.

“Il foglio degli Uffizi, per il quale non sembrano comunque sussistere dubbi circa la sua destinazione per un ritratto, corrisponde infatti a uno stadio avanzato all’interno di un processo creativo, e non tanto a una fase transitoria passibile di sostanziali modifiche in vista dell’elaborazione finale, come del resto già sottolineato da Costamagna. Il disegno costituisce il risultato finale di una progettazione avviata da Jacopo a partire dai due studi presenti sul verso del foglio che appaiono rivelativi del processo genetico dell’immagine. Infatti sulla destra compare uno schizzo per l’elaborazione della posa e delle proporzioni che, a causa dell’analitica ricerca dei volumi affidata a un tratteggio fitto e insistito, farebbe pensare all’uso di un modello tridimensionale”. Oltre questi due importanti ritratti, il Pontormo sarà negli States con uno dei suoi più grandi capolavori, la Visitazione, proveniente dalla pieve dei Santi Michele e Francesco a Carmignano.

Oggetto di un importante restauro che ha fornito nuove informazioni sulla tecnica usata dall’artista e sul suo processo creativo, con questo capolavoro i visitatori potranno conoscere l’artista come pittore di soggetti devozionali, che tanto lo hanno reso famoso nel Cinquecento. Praticamente sconosciuta fino al 1904, quando fu riscoperta da Carlo Gamba, l’opera non viene menzionata dal Vasari nella vita di Jacopo Pontormo. La prima testimonianza risale al 1677 nel testo Le bellezze della città di Firenze del Bocchi ampliato da Giovanni Cinelli, che in verità si riferiva al disegno-modello all’epoca conservato in casa del senatore Andrea Pitti, oggi conservato al gabinetto dei disegni e delle stampe delle Gallerie degli Uffizi. Oggi sappiamo che infatti l’artista non si è servito di cartoni preparatori per trasferire l’opera sulla tavola, ma ha usato il metodo della quadrettatura per poter mantenere le proporzioni, in tutto corrispondente a quella sul disegno. Un metodo ben conosciuto dagli artisti dell’epoca: il disegno o bozzetto veniva dotato di una griglia di quadrati, poi attraverso questi era possibile trasferire le linee del disegno, quadrato per quadrato, su un foglio più grande o direttamente sulla tavola ingessata, affinché la composizione fosse adeguatamente sviluppata in una dimensione maggiore, nel completo rispetto di ogni proporzione delineata.

Bisogna arrivare al 1720 per conoscere l’ubicazione del dipinto su tavola, che viene visto in Carmignano durante una visita pastorale del vescovo di Pistoia dentro la chiesa di San Francesco. Nel 1833 viene finalmente pubblicata la notizia della sua presenza a Carmignano nel primo volume del Dizionario geografico fisico storico della Toscana di Emanuele Repetti, rimanendo comunque quasi nascosto al pubblico. Eppure l’opera è coinvolgente sia per la tavolozza dei colori che per la particolare composizione. L’incontro fra la Vergine Maria e sua cugina Santa Elisabetta viene posto in un ambiente urbano di chiara caratterizzazione toscana, come le panche di via o l’arenaria chiara dei palazzi fiorentini. Proprio sulla panca a sinistra del gruppo principale si possono notare due piccole figure sedute, presumibilmente Giuseppe e Zaccaria, i mariti delle cugine protagoniste delle gravidanze miracolose. Un asino poco distante dà conferma di questa identificazione, essendo il mezzo di trasporto solitamente associato a Maria. L’animale, l’intonaco invecchiato del palazzo dal quale spunta il muso, sono tutti dettagli che il restauro del dipinto ci ha incredibilmente regalato. Insieme a Maria ed Elisabetta ci sono anche le loro ancelle, tradizionale modo fiorentino, ma non solo, di rappresentare questo momento della storia di Gesù, come nei mosaici del battistero di San Giovanni. E’ questa un’invenzione estremamente originale che era volta ad attirare direttamente il devoto, proiettandolo nello spazio immaginario vissuto dalle sacre figure di Maria ed Elisabetta; questi espedienti per incrementare il tasso devozionale erano particolarmente favoriti dall’ordine francescano sin dalla fondazione nel XIII secolo. Nel esempio medievale musivo come nel dipinto cinquecentesco, santa Elisabetta appare alta quasi quanto la Vergine, e non è raffigurata inchinarsi in segno di deferenza verso la futura Madre di Dio. Da qui si desume che il committente di Pontormo desiderava mostrare una particolare devozione verso san Giovanni Battista…” Tutti questi dati fanno propendere per una destinazione fiorentina, legata al nome del santo cittadino. La composizione è sicuramente ispirata all’incisione del 1497 delle Quattro donne nude, di Albrecht Durer, artista ammirato da Pontormo che più volte lo cita nella sua pittura, una pratica aspramente criticata dal Vasari.

Dopo il 1520 ci sarà un grande afflusso di di stampe nordiche a Firenze, le cui soluzioni verranno riprese dagli artisti fiorentini soprattutto durante il periodo della peste, facendo quindi un maggior uso di stampe piuttosto che di modelli dal vero, come accadde al Pontormo, che era confinato alla Certosa. Il committente della Visitazione fu probabilmente Bonaccorso Pinadori, uno speziale che vendeva regolarmente il materiale artistico a Pontormo, tanto da supporre che fu lui a procurare i pigmenti usati. Sono colori particolari, che catturano l’occhio in tonalità sature, vibranti, cangianti, che l’artista ha usato in modo originalissimo. “I pigmenti puri, o mescolati fra loro mediante un legante oleoso (olio di lino), furono stesi con pennellate decise, sovrapposte e a volte quasi trasparenti.” E poi: “Alcuni tocchi di biacca e terra verde infondono una fissità languente, mentre i nasi e le bocche sono profilati col cinabro in sottili sfiammate di luce rossa proveniente dal basso. Una linea sottile grigio chiara, che in realtà è il colore del velo dell’ancella anziana risparmiato, mette in evidenza il profilo di Maria: un’invenzione di Jacopo per far emergere le sue figure.” Le quattro figure sembrano impegnate in una danza solenne, i piedi sollevati e le vesti gonfie, come se la gravità non esistesse, gli sguardi profondi, intensi e carichi di sentimento. Un’opera dalla quale è difficile staccare gli occhi. Un vero capolavoro. La data va probabilmente collocata dopo la Deposizione Capponi, a ridosso della fine del periodo repubblicano, avvenuta nell’estate del 1530, a giudicare dall’analisi stilistica. Come mai non è citata dal Vasari? Tante illazioni sono state fatte, sia di natura politica che personale, ma probabilmente la verità è molto più semplice: il Vasari non la conosceva perché non era presente in città in quel momento e i committenti, dopo la caduta della Repubblica, decisero di non impreziosire alcuna chiesa cittadina, mandandola a stare nella loro villa di Carmignano. A secoli e chilometri di distanza da questo ameno paesino, la Visitazione incontrerà anche il Ritratto di Carlo Neroni da poco riscoperto, eccezionalmente conservato, che in Italia manca da oltre due secoli e che non è mai stato esposto negli Stati Uniti. Come è stato possibile a Firenze, anche negli States gli amanti dell’arte potranno così ammirare, riuniti per la prima e forse unica volta, tre dipinti fondamentali della maturità di Pontormo, opere che segnarono una svolta cruciale nell’evolversi della sua arte. Grazie agli studi per questa mostra itinerante si è inoltre sfatato il mito di un Pontormo solitario, eccentrico, a volte nevrotico, caratterizzazione che fu invece un’invenzione del suo rivale, il pittore, architetto e storico Giorgio Vasari, ma che ha esercitato grande fascino fino a oggi. “Recenti studi hanno tuttavia condotto a riconsiderare profondamente tale rappresentazione e hanno stabilito che essa era in gran parte frutto della rivalità di Vasari nei confronti di Jacopo e di coloro che ne avevano raccolto l’eredità artistica alla corte medicea, Agnolo Bronzino e Alessandro Allori, come parte di una ponderata campagna volta a ridimensionare la loro importanza e a consolidare l’egemonia vasariana come principale pittore di corte. Come il comportamento di Pontormo si è rivelato di gran lunga meno stravagante rispetto a quanto si è a lungo creduto, così la maggior parte di ciò che veniva considerato insolito nei dipinti qui presi in esame si rivela invece come coerente espressione di un preciso intento artistico.”

Didascalie immagini

  1. Jacopo da Pontormo (Pontorme, Empoli 1494 – Firenze 1557), Ritratto di Alabardiere (Francesco Guardi?), 1529-1530 circa, Olio su tela (trasportato da tavola), Los Angeles, The J. Paul Getty Museum
  2. Giorgio Vasari (Arezzo 1511 – Firenze 1574), Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, et architettori. Seconda edizione, Firenze, appresso i Giunti [1568]: frontespizio della Vita di Jacopo da Pontormo, 1568, Xilografia e stampa a caratteri mobili metallici, Firenze, Biblioteca degli Uffizi
  3. Jacopo da Pontormo (Pontorme, Empoli 1494 – Firenze 1557), Studio per l’Alabardiere, 1529-1530, Pietra rossa, parzialmente riquadrato lungo il lato inferiore a pietra rossa, carta, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe
  4. Jacopo da Pontormo (Pontorme, Empoli 1494 – Firenze 1557), Ritratto di giovane uomo con berretto rosso (Carlo Neroni?), 1530 circa, Olio su tavola, Collezione privata
  5. Jacopo da Pontormo (Pontorme, Empoli 1494 – Firenze 1557), Studio per un ritratto di giovane armato, 1529-1530 circa, Pietra nera, carta, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe
  6. Jacopo da Pontormo (Pontorme, Empoli 1494 – Firenze 1557), Visitazione, 1528-1529 circa, Olio su tavola, Carmignano, pieve dei Santi Michele e Francesco
  7. Jacopo da Pontormo (Pontorme, Empoli 1494 – Firenze 1557), Modello per la Visitazione, 1528-1529 circa, Pietra nera, tracce di gessetto bianco, quadrettatura a pietra rossa, carta, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe
  8. Albrecht Dürer (Norimberga 1471 – 1528), Quattro donne nude, 1497, Incisione a bulino, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
  9. Jacopo da Pontormo (Pontorme, Empoli 1494 – Firenze 1557), Autoritratto, 1526-1528, Pietra rossa, carta parzialmente tinteggiata al verso con pietra rossa diluita, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe

IN COPERTINA
Jacopo da Pontormo (Pontorme, Empoli 1494 – Firenze 1557), Ritratto di giovane uomo con berretto rosso (Carlo Neroni?), 1530 circa, Olio su tavola, Collezione privata
[particolare]

 

Miraculous Encounters.
Pontormo from Drawing to Painting

  • Morgan Library & Museum
    dal 7 settembre 2018 al 6 gennaio 2019
     
  • Paul Getty Museum
    dal 5 febbraio al 28 aprile 2019