Nella prestigiosa sede del Palazzo Reale di Milano, in occasione del 150° anniversario della conclusione del Trattato di Amicizia e di Commercio tra Giappone e Italia, si svolge la mostra che riunisce i tre maestri principali dell’ukiyo-e (“immagini del mondo fluttuante”): Katsushika Hokusai (1760‐1849), Utagawa Hiroshige (1797‐1858) e Kitagawa Utamaro (1753‐1806).
L’ukiyo-e è un genere di stampa artistica cartacea che fa ricorso a matrici lignee e fiorisce in Giappone nel periodo Tokugawa, più noto come Edo (XVII-XX secolo); il termine ukiyo nella fattispecie significa “mondo fluttuante” e si riferisce alla cultura giovane e travolgente fiorita nelle città di Edo (l’attuale Tokyo), Osaka e Kyoto proprio in quel periodo.

Rossella Menegazzo, la curatrice, riferisce che le immagini degli artisti summenzionati riscuotono molto successo in epoca Edo tra i contemporanei, ma sono anche fonti d’ispirazione per il mondo occidentale nella seconda metà dell’800, quando conquistano l’Europa e in particolare la Francia degli impressionisti, i post-impressionisti e i fotografi intrigati dall’esotismo.
Sono immagini ancora attuali in tutto il mondo, icone della cultura pop come della moda, dell’arte, della pubblicità. Inoltre in anni recenti si svolgono ovunque esposizioni dedicate al “mondo fluttuante” e nascono crescentemente pubblicazioni in merito, tanto che la curatrice parla di «revival dell’ukiyoe» e attribuisce il superamento delle barriere culturali e temporali di quelle rappresentazioni alla loro immediatezza, all’essenzialità e al carattere illusionistico.
Ma qual è il cambiamento che ha rivoluzionato la cultura giapponese tra ʼ600 e ʼ800? Se prima il termine ukiyo aveva una connotazione negativa poiché riferito al legame con i beni materiali, ostacolo al raggiungimento dell’illuminazione secondo il pensiero buddista, con l’urbanesimo del primo ʼ600 comincia ad acquisire un significato nuovo: si tende a perseguire e apprezzare l’attaccamento alla sfera terrena, in quanto tutto ciò che ne fa parte va goduto a pieno perché fugace. Espressione di tale idea è il testo seicentesco Racconti del mondo fluttuante (Ukiyomonogatari) di AsaiRyōi, che con ukiyo indica tutto ciò che è alla moda e relativo al piacere, tale da assumere anche una sfumatura erotica: «Vivere momento per momento, volgersi interamente alla luna, alla neve, ai fiori di ciliegio e alle foglie rosse degli aceri, cantare canzoni, bere sake, consolarsi dimenticando la realtà, non preoccuparsi della miseria che ci sta di fronte, non farsi scoraggiare, essere come una zucca vuota che galleggia sulla corrente dell’acqua: questo, io chiamo ukiyo».
La nuova filosofia di vita è rappresentata nel campo visivo proprio dalle immagini del “mondo fluttuante”, che infatti incarnano le mode del momento, dai volti femminili delle bellezze più vagheggiate, come cortigiane e geishe, ai divi del teatro, all’outfit più modaiolo, ai luoghi e ai divertimenti più gettonati, sino a trasmettere anche le leggende e le paure di un popolo che sta vivendo un profondo cambiamento di valori. Il lungo periodo della Pax Tokugawa, infatti, conseguente alla presa del potere della famiglia omonima nel 1603, consente lo sconfinamento nella dedizione ai piaceri.
Si assiste innanzitutto all’urbanizzazione del villaggio di Edo, capitale del “governo della tenda”, cui sono stati sottomessi circa duecento feudi; Edo conosce un ampio sviluppo della vita cittadina, che adombra gli usi provinciali e locali. Dalla distruzione delle cittadine fortificate e dalla nascita della città, con conseguente inurbamento, discende l’affermazione di nuovi canoni estetici, non più dettati da corte imperiale, comandanti militari e aristocratici, ma da mercanti e artigiani, che arricchiti si fanno promotori d’arte e cultura. Le nuove opere però non sono più adornamenti fastosi di castelli e palazzi, ma prodotti accessibili a chiunque, circolabili con facilità ed economici, tanto da diffondersi anche negli ambienti meno facoltosi; sono simili a rotocalchi, si presentano come rotoli da appendere o da srotolare tra le mani per essere letti, ma anche come pitture su paraventi.
Il nuovo genere conosce una diffusione maggiore solo dopo il 1600, a partire dal ricorso alla tecnica di stampa dalla matrice in legno, inizialmente voluta dagli editori di libri stampati ma dagli anni ʼ60 applicata anche a singole immagini. Il mercato dell’ukiyo-e diventa quindi molto fiorente e variegato, poiché costituito da un’offerta eterogenea: fogli sciolti o raccolti in album o su libro, ventagli pieghevoli e dalla forma circolare, silografie replicabili centinaia di volte e facilmente trasportabili come diari di viaggio; non è un caso infatti che il mercato del “mondo fluttuante” alimenti anche il turismo, favorendo la produzione di guide, e che sia da esso alimentato a sua volta.
Fervidi anche gli scambi tra centro e periferia grazie agli spostamenti cui sono obbligati i signori feudali, che lasciano temporaneamente la provincia per risiedere ad anni alterni presso la capitale amministrativa; per facilitarli si provvede anche al potenziamento delle arterie stradali, peraltro conseguenza naturale dell’accentramento del potere. In occasione del loro trasferimento i feudatari omaggiano lo shōgun, il dittatore, con oggetti a carattere artigianale, come lacche e ceramiche, e al ritorno diffondono le novità della vita cittadina attraverso le immagini: gli scambi contribuiscono dunque ad aggiornare culturalmente le province, mentre nei grandi centri mantengono vivo il legame con le tradizioni o consentono di apprendere usi particolari fino ad allora sconosciuti. Si sta plasmando e consolidando, dunque, come nota Rossella Menegazzo, l’identità nazionale giapponese.
Le prime immagini dell’ukiyo-e nascono intorno ai quartieri dei teatri e dei divertimenti, raffigurando scene di vita quotidiana. La rappresentazione di luoghi noti (meishoe) è infatti uno dei temi più importanti del “mondo fluttuante” e a esso è dedicata la prima sezione della mostra. Già nella fine del ʼ500 compaiono vedute interne ed esterne di Kyoto, nel formato del doppio paravento, che percorrono alcuni luoghi della città con una prospettiva aerea a volo d’uccello, mostrando la residenza dell’imperatore, i templi, il viavai dei commercianti, la gente che trascorre una giornata al fiume, gli spettacoli all’aperto. Le vedute si estendono poi anche ad altre città, coniugando l’attenzione verso l’ambiente naturale alla raffigurazione umana. Gradualmente l’ukiyo-e inizia a comprendere anche le scene di genere e quelle paesaggistiche.
Hokusai è certo uno dei principali esponenti, insieme a Hiroshige, del meishoe. Le sue immagini si fondano sulla presenza umana, sulla sua vita quotidiana e sul suo sentimento, cui l’ambiente naturale fa da rispecchiamento e da sfondo. In La [grande] onda presso la costa di Kanagawa, ad esempio, delle acque tumultuose stanno per avvinghiare le imbarcazioni, sullo sfondo del sacro vulcano Fuji, mentre la natura in cui sono integrati i poeti della serie Specchio dei poeti giapponesi e cinesi è quieta e spirituale come il loro animo, di cui è trasmessa la sensibilità «senza necessità di citare alcun verso», afferma la curatrice.
I surimono (“cosa stampata”), compresi nella prima sezione, fanno la loro comparsa nel primo ʼ700 e consistono in eleganti silografie policrome realizzate su foglietti di carta quadrati, preferiti dai committenti privati perché ripiegabili. Date le dimensioni esigue i surimono rivestono soprattutto una funzione pubblicitaria e si prestano a fungere efficacemente da biglietti d’auguri, calendari illustrati, inviti a spettacoli, reading poetici, cerimonie del tè, e immagini da offrire ai templi. Si tratta comunque di una forma d’arte molto raffinata, che associa pittura e calligrafia, di versi poetici in particolare.
Tra i surimono troviamo soggetti naturali, animali e luoghi noti. Vi è ad esempio la vivace rappresentazione della divinità Daikoku che solleva una balla di riso con sopra un mazzuolo e un gallo che simboleggia l’anno di realizzazione, o l’invito che documenta con precisione temporale il concerto di Tokiwazu, o l’immagine della casa da tè “luogo di ristoro Echizen’ya”.
Nella prima sezione sono comprese le vedute prospettiche (ukie), che cominciano a essere realizzate a partire dagli anni ʼ40 del ʼ700, quando gli artisti dell’ukiyo-e decidono di applicare la tecnica occidentale della prospettiva; a essa si presta bene il formato della stampa policroma, più che i rotoli orizzontali e verticali, poiché consente di adottare un segno più preciso. Infatti dal 1720 Yoshimune, l’ottavo shōgun, allenta il proibizionismo, favorendo l’ampia importazione di libri e immagini, gli studi a carattere occidentale e la diffusione di stampe con vedute europee. A esse si ispira ad esempio Okumura Masanobu, ma la prova più evidente degli scambi internazionali è la silografia realizzata da Utagawa Toyoharu, Veduta prospettica. Illustrazione della campana che suona per diecimila leghe nel porto olandese di Frankei; l’opera si ispira infatti a una veduta del Canal Grande di Venezia dipinta dal Canaletto e riprodotta da un’incisione di Antonio Visentini.
I soggetti principali degli ukie sono drammi teatrali, architetture e paesaggi. In seguito compaiono anche immagini create appositamente per visori ottici che esaltano gli effetti di profondità. In mostra possiamo ammirare, tra gli ukie, L’ingresso di Urashima nel palazzo del Drago, in cui un soffitto a scacchiera sembra capovolgere il pavimento prospettico della Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca; osserviamo anche il rigore geometrico della Veduta dell’edificio principale del Tōeizan o la natura di ampio respiro nella Veduta della folla a Yatsuyama durante la fioritura dei ciliegi.
Sempre nella prima sezione figurano immagini di viaggi tra cascate e ponti celebri, di cui Hokusai regala una serie affascinante: ogni cascata ha la sua storia e le sue particolarità, i suoi vapori e le sue nebbie, come quella digradante di Yoshino, ove il mitico samurai Yoshitsune sosta per lavare i suoi cavalli, o quella di Kirifuri, dai rivoli simili a capelli, e quella di Amida, resa sia con la veduta dello strapiombo frontale e del salto dell’acqua, che dall’alto, con una prospettiva a volo d’uccello che mostra il corso da cui ha origine; potenti e molto ripide, poi, le cascate di Yōrō, Kiyotaki e Ōno. Della cascata di Rōben, inoltre, si occupano sia Hokusai, che punta più sulla verticalità e su colori accesi, che Hiroshige, interessato allo sviluppo di una dimensione orizzontale e all’uso di colori più neutri e distesi.
Per quanto concerne le vedute dei celebri ponti giapponesi, l’esposizione annovera undici silografie che l’editore Nishimuraya presenta tramite Hokusai tra il 1833 e il 1834. A connotare un paesaggio, come nel caso delle cascate, è il suo ponte, dalle forme diverse (a volte astruse) e dai nomi poetici: vi è ad esempio l’ottuplice a Mikawa, il ponte di Arashiyama che “attraversa la luna”, il Tenma con le sue festose lanterne rosse, il ponte “appeso alle nuvole” su una valle del monte Gyōdō, i ponti a tamburo del santuario di Tenjin a Kameido.
Una parte della prima sezione è dedicata alle Trentasei vedute del Monte Fuji di Hokusai, cui si è già fatto cenno; è la serie di silografie che ha consacrato l’artista come maestro assoluto dell’ukiyo-e. La Grande onda ne è l’icona, citata infatti nella copertina del libretto La Mer di Debussy nel 1905, ma anche nella musica pop e nella scenografia del cantautore Lorenzo Cherubini (in arte Jovanotti); anche Giornata limpida col vento del sud [o Fuji rosso] e Temporale sotto la cima costituiscono due capolavori indiscussi della serie, di cui il monte Fuji è protagonista ricorrente e solenne, anche nelle stampe in cui si intravede in lontananza.
Un’altra serie silografica della prima sezione è dedicata alle cinquantatré stazioni di posta del Tōkaidō, l’arteria centrale che collega la capitale amministrativa, Edo, a quella imperiale, Kyoto, durante l’epoca Tokugawa. La relativa Pax e il sistema delle residenze alterne favoriscono la diffusione di attività commerciali e d’intrattenimento anche lungo le strade principali: luoghi di ristoro e locande per il pernottamento, negozi con beni di prima necessità e prodotti tipici; sorta di Autogrill di un tempo trascorso, dunque, molto in voga tra i viaggiatori. Hiroshige ne fa il soggetto prediletto e ne diventa il maestro principale, per quanto anche Hokusai produca almeno sette edizioni di Tōkaidō. In mostra, fra le immagini di Hiroshige, il caotico corteo di “vessilliferi” al seguito di un daimyō in [Stazione 1] Nihonbashi, l’ordinata partenza del daimyō nella placida [Stazione 2] Shinagawa, l’essenziale Casa da tè Samegafuchi nella stampa omonima, le più attrezzate case da tè sull’argine in Kanagawa.
La seconda sezione si riferisce alla tradizione letteraria e alle vedute celebri di Hokusai. Comprende delle silografie policrome risalenti a due famose serie del pittore: Specchio dei poeti giapponesi e cinesi e Cento poesie per cento poeti in racconti illustrati della balia. L’ukiyo-e infatti include anche un filone più colto, che guarda ai classici della poesia e della letteratura cinese e giapponese, abbinando nomi, luoghi noti e passi poetici. La prima serie consta di dieci grandi silografie in formato verticale dedicate ai poeti più conosciuti e rivolte pertanto a destinatari colti; i poeti sono rappresentati, come si è già detto, in paesaggi suggestivi collegati alle loro origini o ai loro componimenti, difficilmente leggibili dai meno eruditi.
Il termine shashinkyō, che denomina ogni stampa, significa letteralmente “specchio vera copia” e rimanda dunque all’equivalenza del ritratto con la realtà effettiva di ciò che è rappresentato; ma per reale si intende un’adesione più intima che formale al soggetto, rivelato dunque nelle sue caratteristiche più profonde e autentiche. Il termine nella seconda metà dell’800 viene utilizzato anche nella terminologia fotografica, ma molti lo ritengono inadeguato poiché il risultato di un’operazione meccanica come la fotografia escluderebbe il contenuto psicologico del soggetto.
La serie di Cento poesie per cento poeti in racconti illustrati della balia comprende silografie policrome in formato orizzontale, che illustrano i versi dell’antologia poetica che Fujiwara no Teika scrive nel 1235, Cento poesie per cento poeti (Hyakunin isshu); egli adotta un espediente che gli consente maggiore libertà di interpretazione: finge che a raccontare sia una donna anziana o una balia (uba), cioè una persona poco elegante ed estranea al mondo cortigiano. Ogni veduta mostra un paesaggio dai colori scintillanti associato a un cartiglio su cui sono iscritti dei versi in hiragana (sistema di scrittura sillabico della lingua giapponese) del poeta raffigurato. I versi sono in genere riferiti alle stagioni o alla tematica amorosa, ma non sempre coincidono con il contenuto poetico riportato. Se a volte Hokusai, infatti, abbina coerentemente immagine e versi, in altri casi veste i panni della balia e adotta libere interpretazioni in cui finge di non avere inteso bene il significato del passo; arriva inoltre a ideare soggetti del tutto nuovi e disgiunti dai versi, concedendo al pubblico la possibilità di interpretarli autonomamente.
La terza sezione è dedicata al kachōga, cioè la “pittura di fiori e uccelli”, che è il filone più classico e antico della pittura giapponese e include le immagini riferite alla natura. Il suo sviluppo si svolge principalmente dalla metà del ʼ700, quando giungono dalla Cina dei libri illustrati con il kachōga; tali immagini diventano un modello per gli artisti dell’ukiyo-e, che le ripredono con la tecnica silografica, e vengono utilizzate a scopo decorativo nelle abitazioni più semplici o come sfondi di stampe di bellezze femminili o surimono. Ne sono esponenti sia Hokusai che Hiroshige, che realizzano stampe policrome di vari formati immortalando fiori, insetti, pesci, rettili e altri animali. Nishimuraya, ad esempio, pubblica di Hokusai le serie di piccoli e grandi fiori tra il 1832 e il 1835; esse mostrano come anche dei soggetti diversi dal ritratto di un bel volto possano essere degni di pregio.
Si notino gli abbinamenti tra piante e animali, che della letteratura sono peculiari e vengono adottati come parole chiave in riferimento alle stagioni: peonie e farfalle, gru e pini, ortensie e martin pescatori.
Da apprezzare soprattutto quel rapporto intimo, quasi di religioso rispetto, che Hiroshige sa instaurare con gli elementi naturali; egli infatti ha riscosso un successo maggiore rispetto a Hokusai, probabilmente per via della decoratività accentuata delle rappresentazioni e dell’uso di formati alla moda, come quello dell’uchiwae, cioè il ventaglio rotondo.
La quarta sezione si rivolge interamente al tema della bellezza femminile, coltivato con la sensualità delle silografie policrome di Utamaro tra la fine del ʼ700 e l’inizio dell’800. Tale tematica è una delle più proficue nicchie di mercato dell’epoca Edo insieme al meishoe e si articola sia in semplici ritratti di beltà più o meno celebri che in rappresentazioni di luoghi in cui emerge la figura femminile, come i quartieri di piacere, le case da tè, i luoghi di spettacolo e intrattenimento. Per quanto molti artisti si dedichino al bijinga, cioè la pittura di beltà femminile, già dal XVII secolo, dipingendo donne a piedi nudi che sembrano fluttuare su uno sfondo vuoto, spicca fra tutti il nome di Utamaro, che vi si appassiona in modo più consistente. Utamaro, infatti, ha il merito di aver rivoluzionato il ritratto femminile con una composizione a mezzo busto, una sensibilità estetica attenta per tessuti, acconciature e maquillage e un’indagine psicologica che rende espressivi occhi, labbra, pose e rivela persino i movimenti impercettibili di collo, mani, dita. Le protagoniste dei ritratti sono donne molto ambite, cortigiane, o frequentatrici di case da tè, incontrate forse nel quartiere di piacere che Utamaro frequenta a Yoshiwara con l’editore e amico Tsutaya Jūzaburō; ma sono anche donne comuni, che l’artista comincia a presentare quando le raffigurazioni riferite al mondo dei piaceri vengono bandite dal governo Tokugawa, verso la fine del XVIII secolo.
La quinta sezione annovera i Manga di Hokusai, che ha divulgato la tecnica dell’ukiyo-e mediante manuali che trasmettono le sue conoscenze sul disegno di soggetti naturali. Nella fattispecie si tratta di 15 volumi di Manga, in cui Hokusai ha dipinto rapidamente a mano, in riquadri di dimensioni variabili, immagini di paesaggi, ognuno caratterizzato in base alle stagioni e alle diverse condizioni atmosferiche e geomorfiche, ma anche architetture, armi, utensili; presenti inoltre animali, piante e figure umane di ogni genere, smilze e robuste, verosimili o improbabili, colte in smorfie curiose o in azioni di gioco, combattimento, ballo, toeletta. Non mancano eroi famosi e creature feroci e leggendarie, che dirompono a piena pagina, ma anche parabole, come quella della finitezza della conoscenza umana simboleggiata dai ciechi, che toccano ognuno una parte di un elefante gigante che dunque non riescono a conoscere nella sua totalità. Hokusai ha raccolto quindi varie riproduzioni di luoghi, creature, azioni, fantasie, e grazie al suo operato il japonisme, cioè l’influenza dell’arte giapponese in Occidente, è diventato un fenomeno rivoluzionario. Nel 1856 alcune di queste pagine, usate per imballare delle ceramiche spedite in Francia, vengono scoperte dal pittore Félix Bracquemond, diventando fonte di ispirazione per i suoi amici impressionisti.
La mostra a Palazzo Reale, dunque, regala a profusione immagini del “mondo fluttuante”, puntando dunque su opere dal carattere popolare, capaci di parlare a tutti e di affascinare senza barriere, di avvolgere in un mondo esotico che non è poi così lontano e stravagante, quanto invece accostante e suggestivo.