– di Fabio Giuliani –
Giacomo Ceruti, soprannominato il “Pitocchetto” (Milano, 1698 – Milano, 1767): “Si noti che su ‘Paragone’ 215 (del 1968) Longhi poté alfine pubblicare uno scritto di Oreste Marini dove si identificavano i committenti del Ceruti e se ne precisava la cornice socio-politica.” Così scrive a pag. 1113 Gianfranco Contini in Roberto Longhi – Da Cimabue a Morandi riferendosi alla presentazione del grande critico per la mostra I pittori della realtà in Lombardia tenutasi nel Palazzo Reale di Milano nel 1953, con la quale egli, dopo avere sdoganato il Caravaggio con la famosa precedente esposizione del 1951, fece emergere il genio del Pitocchetto.
“Per l’insistenza del pittore a dipingere la povera gente e, per giunta, senza ombra di umore, senza altezzoso distacco, anzi con una umana partecipazione per quei tempi (e anche per oggi) miracolosa (….). Nel pieno di un’età quasi affatto immersa nel ‘serbatoio d’Arcadia’, un’unica esigenza operosa lo spingeva invece, e fatalmente, a scoprire con anticipo incredibile una nuova e semplice natura alla guisa di un nuovo Caravaggio. (…) Chi e quanti fossero i committenti dei suoi teloni popolari non lo saprei dire (…) Una risposta vera, dunque, se mai verrà, sarà soltanto per merito di serie ricerche sulle vicende e gli umori della società bresciana del ‘700; purché speriamolo, si sappia condurre non su astrazioni di classe, ma per riesumazione di fatti certi e di persone vive.” (Roberto Longhi)
La risposta venne da Oreste Marini [Castelgroffedo (MN),1909 – Castiglione delle Stiviere (MN), 1992], Professore, critico e lui stesso pittore, ammiratore del Ceruti fin dalla sua giovinezza, che dedicò i suoi studi al genio del pittore, con eccezionali, insperati risultati – sia documentari che figurativi – pubblicati da un Roberto Longhi entusiasta su “Paragone”, così che il “Gran lombardo” avesse finalmente il posto che meritava nella Storia dell’arte, come Longhi stesso riteneva “uno dei grandi artisti d’Italia”, ma per Marini, d’Europa, prima di Goya e più di Goya, e dal critico spagnolo Urrea Fernandez “il Caravaggio del Settecento”.
Fra i ritrovamenti di Marini vi fu un gran ritratto di sacerdote che, con la sua scritta divenne caposaldo per la datazione delle opere assai difficile del pittore: Don Giulio Cattaneo di Breno, cittadina bresciana in Val Camonica, dove Marini, recatosi per indagini, scoprì nel Municipio il ritratto di un altro Cattaneo, subito dato al Ceruti come il precedente.
In occasione del 250° anniversario della scomparsa di Giacomo Ceruti, il Museo Camuno di Breno ospita una rassegna sulla sua attività di ritrattista nel territorio riunendo quasi tutti i suoi dipinti del genere conservati in musei e collezioni private, dedicando mostra e catalogo alla memoria di Oreste Marini – amico della Val Camonica da lui definita “fiera e colta” – nel 25° anno dalla morte.
Ma veniamo alle opere in mostra. Mentre nei nobili e borghesi ritrattati ammiriamo la psicologia e l’alta qualità pittorica, il ritratto del nobile Giulio Cattaneo ci parla, inoltre, dell’alta moralità del personaggio; con il suo sguardo severo che ci insegue, con il suo gesto perentorio indicante il Crocefisso richiama i grandi quadri di popolo e ci rammenta il brano di uno storico suo contemporaneo: “Mentre i nobili si divertivano le patrie valli pativano la fame”.
Tutto sommato un manifesto etico ammonitore, terribilmente attuale, ma dipinto nel bel mezzo del Settecento. Oreste Marini aveva intuito il legame dell’ambiente bresciano con il giansenismo, complici i profughi di Port Royal nel Convento dei Padri della Pace (ipotesi ora confermata dagli studi). Attualmente è stata formulata la proposta di nominare Santo Blaise Pascal, il grande difensore dei poveri. Il titolo della mostra – come afferma Filippo Piazza, direttore del CaMus e curatore dell’esposizione – intende evocare non soltanto la straordinaria fedeltà al “vero” dei personaggi ritratti da Ceruti, descritti in modo da essere individualmente memorabili, ma anche l’attitudine del pittore, il cui sguardo sulla realtà è posto con una onestà che si vorrebbe far corrispondere alla sua indole. Da queste considerazioni è nata l’idea di proporre “la realtà dello sguardo” quale slogan di questa mostra, che si presta a interpretazioni diverse, ma che, in qualche modo, ambisce a ricomprenderle tutte.
Il percorso è distribuito in quattro sezioni.
La prima parte rappresenta una introduzione, presentando tre dipinti databili nella seconda metà del Seicento, che dunque precedono l’attività di Ceruti in Valle Camonica. Tra queste opere si segnala il Ritratto di Giulio Conti, esposto per la prima volta in assoluto, e i ritratti dei coniugi Cattaneo con i rispettivi figlioletti, dipinti poi adulti dal Ceruti nei due ritratti rintracciati da Oreste Marini.
La seconda sala è dedicata ai dipinti realizzati da Ceruti per le famiglie Cattaneo di Breno nell’arco di un decennio.
La terza sezione è dedicata ai coniugi camuni Bonometti e allo straordinario capolavoro intitolato Uomo con boccale, a metà strada tra il ritratto e la scena di genere. La presenza in mostra di quest’ultimo dipinto, prestato per l’occasione dall’Accademia Tadini di Lovere, è dovuta al fatto che, pur non essendo stato realizzato in Valle Camonica, apparteneva alla famiglia Zitti che aveva stretti legami con questo territorio.
Infine la rassegna chiude con lo scenografico Ritratto Federici, quasi si trattasse di un coup de théâtre che lascia intravvedere i futuri approdi della ritrattistica cerutiana, a partire dalla fine del quarto decennio del XVIII secolo.
Il catalogo, pubblicato da Scalpendi Editore, oltre al saggio di Filippo Piazza, contiene lo studio di Francesco Frangi – ineludibile per rintracciare il percorso pittorico del Ceruti – e di Simone Signaroli che ci parla delle pale d’altare dipinte dal Ceruti in Val Camonica: in particolare, si tratta della chiesa parrocchiale di Sant’Antonio Abate di Rino di Sonico, che ospita tre sue opere, e la chiesa parrocchiale dei Santi Cornelio e Cipriano di Artogne in cui è custodita la Madonna del Rosario datata 1734, circondata dai quindici “Misteri” inseriti in “serti” di roselline di campo. Questa tela, proveniente dalla chiesa di Santa Maria ed Elisabetta, rivela l’abilità di Ceruti nel rinnovare il linguaggio artistico locale.
Questo progetto espositivo è promosso da Comunità Montana di Valle Camonica, Consorzio Comuni B.I.M. di Valle Camonica e Comune di Breno ed organizzato da Cieli Vibranti, Associazione Culturale di Arte e Vita.
Alcune note sulla sede ospitante la mostra. Inaugurato nel 1923 e più tardi donato alla collettività di Breno dal suo maggiore ispiratore don Romolo Purelli (1880-1939), il Museo Camuno, costituito da dieci sale con le collezioni di dipinti, sculture, arredi, archeologia, arti applicate, conserva la memoria storico-artistica della valle. La quadreria annovera un patrimonio rappresentativo di molte scuole regionali, dalla Lombardia al Veneto, dall’Emilia-Romagna alla Liguria fino alla Toscana e all’Italia centro-meridionale.
Una specifica guida ai dipinti è pubblicata da Allemandi & C. Tra i tanti la collezione permanente annovera lo struggente teschio Vanitas, opera del Genovesino, attualmente presente nella mostra dedicata al pittore nel Museo Civico Ala Ponzone di Cremona, evento espositivo “gemellato” con l’esposizione del Ceruti a Breno allo scopo di promuovere la cultura dei rispettivi territori.