Fino al XV secolo la giustizia è iconograficamente presentata assieme alle virtù ipostatizzate proprie degli imperatori romani, la Ratio e l’Aequitas, trasmettendo così un’idea della iustitia come “essere giusti”, cioè come virtù costitutiva dell’humanitas. Paradigmatico è l’accostamento concettuale della giustizia all’aequus, aggettivo accompagnato da un carico semantico legato all’idea di uguaglianza, proporzione ed equilibrio; non a caso l’attributo che contraddistingue la rappresentazione dell’aequitas è la bilancia, simbolo con cui inizierà ad essere raffigurata anche la giustizia.
Il primo simbolismo ricorrente è dunque quello della bilancia alla greca – formata da bilico, giogo e due piatti – governata dalla “domina Iustitia”: è il tantundem, lo strumento che rimanda, per antonomasia, a una giustizia di tipo commutativo, negoziato ed equo. La bilancia fin dall’antichità è stata sempre legata all’archetipo dell’equilibrio e della simmetria; ma oltre a ciò, secondo il Vasari, è bene che essa  «metta paura ai popoli» perché, come riporta un famoso passo de Il processo di Kafka, sui suoi piatti chiunque «può essere pesato con tutti i suoi peccati», così come accadeva nelle immagini che illustravano i geroglifici relativi alla psicostasia egizia, in cui la dea Ma’at, personificazione dell’ordine del mondo e della giustizia, pesava le colpe dell’anima del defunto.

Centrale, nella concezione della giustizia provvista dell’attributo della bilancia, è l’idea di un equilibrio da realizzare tra prestazioni sinallagmatiche (la giustizia commutativa), tra attività onorevoli e la loro retribuzione (la giustizia distributiva), tra attività disonorevoli e le rispettive sanzioni (la giustizia correttiva); una raffigurazione, questa, tesa a soppesare, mediare ed espletare ogni armonica virtù con il chiaro fine di pensare al bene comune, raggiungendo così la stabilità nei rapporti sociali. Questa concezione è presente in alcune celebri opere: Giotto, tra il 1304 e il 1306, dipinge nella Cappella degli Scrovegni la sua Iustitia che, ad avviso della storica medievalista Chiara Frugoni, «non regge la bilancia, […] ma la governa e procura che sia pari», garantendo così l’ordinato svolgimento della vita civile e contrapponendosi al giudice corrotto, il quale, arroccato in un castello in rovina tra i boschi, lascia libero spazio ai delinquenti.

Nell’affresco, nessuna figura visibile sostiene il filo quasi impercettibile che funge da bilico nell’esile giogo della bilancia, che così sembra essere sospesa a mezz’aria e ridotta ai soli piatti, questi sì ben visibili, nelle mani della Iustitia. Il risultato è quello di far apparire la giustizia stessa come una bilancia; difatti, la triangolazione che racchiude tutta la figura, la postura e le sue mani, nell’atto di soppesare i due angeli sui piatti, rimandano, in ossequio alla giustizia distributiva, all’atto del proporzionare le loro azioni, e cioè di premiare un giusto, nella mano destra, e di punire un reo, nella mano sinistra. Altro aspetto peculiare di questa allegoria giottesca della giustizia – che, personificata come virtù in mezzo alle altre, ha ancora l’impronta della triade Ratio, Iustitia, Aequitas rievocata un secolo prima nell’operetta giuridica del XII secolo Quaestiones de iuris subtilitatibus – è il richiamo alla Vergine Maria in quanto, come acutamente osservato da Mario Sbriccoli, «ha la corona chiusa della Regina Coeli, il velo virginale e il manto della Mater Misericordiae, largo e lungo fino ai suoi piedi» ed è posta in una cappella tricuspidata, la stessa in cui l’artista collocherà, nel 1310, la Madonna d’Ognissanti degli Uffizi. In ciò possiamo cogliere il tentativo giottesco di effettuare una trasposizione pittorica dell’alleanza di misericordia e giustizia così come eloquentemente descritta dal Decretum di Graziano secondo cui, come riportato dall’Alciati, chi giudica in modo giusto «reca in mano una bilancia e porta nei due piatti giustizia e misericordia: la sentenza sarà pronunciata secondo giustizia, ma la pena sarà addolcita secondo misericordia».

Infine, è interessante guardare anche al fregio dipinto ai piedi del trono della Iustitia, in cui sono ritratte scene di caccia, fanciulle danzanti e cavalieri a cavallo che alludono all’armonia, alla pace e alla prosperità derivanti dalla giustizia; idea, quest’ultima, che è stata riproposta, corredata dallo stesso simbolo della bilancia, nei famosi affreschi dipinti da Lorenzetti tra il 1337 e il 1340 nella Sala del Consiglio dei Nove, ubicata all’interno del Palazzo Pubblico di Siena, con l’intento di ispirare l’operato dei governanti cittadini che lì si riunivano. La Iustitia affrescata da Lorenzetti è quella del Buon Governo, che si pone in antitesi con l’allegoria del Cattivo Governo, raffigurato dalla Tirannia in armatura, seduta in trono e reggente due simboli di disonestà: un pugnale e una coppa di veleno. Anche qui la giustizia rappresenta la virtù dell’aequitas e ritroviamo, inoltre, la tradizionale composizione triadica, in cui però al posto della Ratio del Templum Iustitiae, presente nelle sopracitate Quaestiones, vi è un suo sinonimo: la Sapientia che, sovrastando la giustizia in trono, la quale sopporta il peso dei piatti e li governa in modo equitativo, regge dall’alto il filo che fa da bilico alla bilancia.

Ancora una volta, in modo analogo all’impostazione di Giotto, sui piatti della bilancia sono collocati due Angeli che amministrano i due distinti tipi di giustizia cui fa riferimento il libro V dell’Etica Nicomachea di Aristotele: a destra, quella commutativa, rappresentata dall’Angelo che, secondo l’interpretazione della storica dell’arte Maria Monica Donato, consegna metri e misure ai cittadini – una canna, strumento di misura lineare, e uno staio per pesare il grano e il sale – affinché pratichino scambi e affari correttamente; a sinistra, quella distributiva in cui l’Angelo punisce un malvagio con la spada e onora con una corona un virtuoso.

Il monito latino affrescato alle spalle della giustizia, tratto dal Liber sapientiae, che recita «amate la giustizia voi che governate la terra», è un ulteriore riferimento biblico che caratterizza questa pittura di propaganda politica del Lorenzetti, la quale, da questo momento in poi, nel linguaggio della comunicazione per immagini, considererà la giustizia come garanzia di una pacifica convivenza civile.
Oltre a ciò, a completamento della composizione triadica, sottostante la Iustitia è unita ad essa da due corde che promanano dai piatti della bilancia, troviamo raffigurata la Concordia, la quale tiene sulle ginocchia una grande pialla, strumento utilizzato – sempre secondo la lettura della Donato – come metafora parificatrice e appianatrice delle controversie cittadine. L’artista ritrae quindi la Concordia come figura simbolica in cui termina il buon equilibrio cittadino del quale necessariamente la giustizia si cura. Si viene così a creare una composizione figurativa “a cascata”, in cui la Sapienza tiene materialmente la bilancia e la giustizia la amministra, applicando la sua volontà ai piatti per correggerli all’occorrenza con spirito di equità, sì da incarnare essa stessa la virtù dell’aequitas; infine, vi è la Concordia, la quale non è altro che la diretta conseguenza della corretta amministrazione della giustizia. In altre parole, le figure risultano concatenate fra loro quasi a dimostrazione del fatto che, sottolinea ancora Sbriccoli, come in tutte le altre raffigurazioni della giustizia anche in questo caso «ogni idea rappresentata si intreccia alle altre, nessun valore si realizza se gli altri valori non operano».
Ma, in realtà, nell’affresco del Lorenzetti c’è una seconda giustizia più piccola di quella monumentale che troneggia dalla parte opposta. Ciò perché l’artista, secondo l’opinione della Frugoni, forse ha voluto ritrarre la figura «una volta come emanata dalla Sapienza divina, e un’altra come una delle virtù», o ancora, «come Iustitia mediatrix e come Iustitia vindicativa».

Questa seconda giustizia, infatti, è collocata fra le altre virtù cardinali – Pace, Fortezza, Prudenza e Magnanimità – e al di sotto delle tre virtù teologali – Fede, Speranza e Carità -, sul medesimo lungo trono in cui campeggia il Bene Comune. Quest’ultimo, cui si riferiva San Tommaso come «il fine delle azioni virtuose e della giustizia legale», è personificato in un vecchio in posizione di giudice, il quale impugna nella mano destra uno scettro che lo lega alla giustizia. Tale strumento costituisce il simbolo in cui si sono trasfigurate le corde discendenti dai due piatti della bilancia, riunite poi dalla Concordia e, infine, passate ai ventiquattro magistrati comunali. Con tale raffigurazione si ritiene che Lorenzetti recuperi l’assunto dottrinale di San Tommaso d’Aquino in base al quale è la giustizia che ci dirige verso il Bene Comune.

Didascalie immagini

1. Scena di psicostasia, o pesatura delle anime, nel papiro il Libro dei Morti di Hor, tardo Nuovo Regno, conservato nella Fondazione Museo delle Antichità Egizie, Torino
Foto © FondiAntichi Unimore
2. Giotto di Bondone, La Giustizia, affresco, Cappella degli Scrovegni, Padova, 1306
Foto © FondazioneZeri Unibo
3. Giotto di Bondone, Maestà di Ognissanti, tempera su tavola, Galleria degli Uffizi, Firenze, 1310
Foto © GalleriedegliUffizi
4. A. Lorenzetti, La Giustizia con la Saggezza e la Concordia, particolare da Allegoria del Buon Governo, affresco, Palazzo Pubblico, Siena, 1337-1340
Foto © ComunediSiena
5. A. Lorenzetti, particolare da Allegoria del Buon Governo, affresco, Palazzo Pubblico, Siena, 1337-1340
Foto © ComunediSiena
6. A. Lorenzetti, particolare da Allegoria del Buon Governo, affresco, Palazzo Pubblico, Siena, 1337-1340
Foto © ComunediSiena
7. A. Lorenzetti, Il Bene Comune, le virtù teologali e le virtù cardinali, particolare da Allegoria del Buon Governo, affresco, Palazzo Pubblico, Siena, 1337-1340
Foto © ComunediSiena

 

In copertina

Lorenzetti, La Giustizia con la Saggezza e la Concordia, particolare da Allegoria del Buon Governo, affresco, Palazzo Pubblico, Siena, 1337-1340
(fonte)
[particolare]

Opere citate

• G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, a cura di L. Bellosi e A. Rossi, Einaudi, Torino 1986
• F. Kafka, Il processo, Mondadori, tr. it. E. Pocar, Milano 1988
• C. Frugoni, Gli affreschi della Chiesa degli Scrovegni a Padova, Einaudi, Torino 2005
• C. Frugoni, Una lontana città: sentimenti e immagini nel medioevo, Einaudi, Torino 1983
• M. Sbriccoli, Storia del diritto penale e della Giustizia. Scritti editi e inediti (1972-2007), Giuffrè, Milano 2009
• A. Alciati, Decretum Gratiani, Venetiis: apud Socios Aquilae Renouantis, 1605
• M. M. Donato, Ancora sulle fonti del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti: dubbi, precisazioni, anticipazioni, in Politica e cultura nelle Repubbliche italiane dal medioevo all’età moderna. Firenze, Genova, Lucca, Siena, Venezia, Atti del Convegno (Siena 1997), a cura di S. Adorni Braccesi e M. Ascheri, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, Roma 2001