«…Giovan Antonio […] si mostrò nella pittura sí valoroso, che le sue figure appariscon tonde e spiccate dal muro. Laonde per avere egli dato forza, terribilità e rilievo nel dipignere, si mette fra quelli che hanno fatto augumento alla arte e benefizio allo universale… » Giorgio Vasari, 1550

“Il Rinascimento di Pordenone con Giorgione, Tiziano, Lotto, Jacopo Bassano e Tintoretto” è una mostra utile curata da Caterina Furlan e Vittorio Sgarbi, con l’organizzazione generale di Villaggio Globale International, l’omaggio della città natale a uno dei maggiori artisti protagonisti del Rinascimento italiano. Con l’altissimo numero di allestimenti pleonastici, quando vengono attualizzati gli studi in modo scientifico da mettere un punto fermo, “utile” è il maggior apprezzamento si possa fare a un evento espositivo con l’augurio che, dopo la rassegna, la città di Pordenone possa dedicare all’illustre figlio, un centro studi capace di proseguire il lavoro finora svolto così da evitare, all’artista, un ulteriore oblio.

Infatti, come spiega la Curatrice: «Sebbene Giovanni Antonio abbia goduto di una fortuna critica pressoché ininterrotta, la sua riscoperta in chiave moderna è frutto degli studi condotti nei primi decenni del Novecento da Adolfo e Lionello Venturi, Kurt Schwarzweller e soprattutto Giuseppe Fiocco. A quest’ultimo si deve infatti la prima monografia sull’artista, apparsa in concomitanza con la grande mostra dedicatagli nel 1939 nel castello di Udine e preceduta da una serie di contributi del medesimo autore, il primo dei quali intitolato provocatoriamente “Pordenone ignoto”.»
Ora, come accadde con la mostra del 1985 a Villa Manini – anche allora curata dalla professoressa Caterina Furlan, la maggiore esperta di Giovanni Antonio de’ Sacchis – il grande pubblico ha modo di riscoprire la pittura potente, caratterizzata da un vigoroso plasticismo e ricca di effetti illusionistici, di un artista esuberante, sorprendente, eclettico protagonista dei primi quarant’anni del Cinquecento. Non uno di seconda fascia, ma un grande fra i grandi. Basta studiarlo, osservarlo e confrontarlo per rendersì conto di quanto sia stato innovatovo non solo in Friuli e in Veneto, ma in un più ampio contesto padano se, mezzo secolo dopo la morte, fu fonte di ispirazione anche per il giovamissimo Caravaggio che, prima di trasferirsi a Roma, lo vide e lo annotò.

La mostra ha il pregio di mettere in dialogo una quarantina di dipinti e disegni del Pordenone con quasi altrettante opere di Giorgione, Tiziano, Sebastiano del Piombo, Lotto, Romanino, Correggio, Dosso Dossi, Savoldo, Moretto, Schiavone, Bassano, Tintoretto, Amalteo. La Curatrice, sottolinea come a Venezia, l’artista si era affacciato, sullo scorcio degli anni venti, con tutta la sua irruenza di “pittor novo”, riconosciutagli per primo da Vasari e «La sua parabola lagunare coincide grosso modo con il dogado di Andrea Gritti, artefice di una politica culturale volta a trasformare Venezia in una nuova Roma. Cresciuto e formatosi in ambito provinciale, Il Pordenone seppe superare lo svantaggio derivante da questa situazione periferica non solo grazie alle sue qualità personali, ma anche in virtù di importanti commissioni che gli permisero di affacciarsi ben presto oltre i confini regionali e attingere direttamente alle fonti della modernità, rappresentata a Venezia dalla pittura di Giorgione e dei suoi “creati”, Tiziano e Sebastiano del Piombo. Le fortune del Pordenone sono legate soprattutto alla sua abilità di frescante, una tecnica che richiedeva grande “prestezza” e abilità di mano perché, come ricorda Boschini nella sua Carta del navegar pitoresco (1660), “quando s’ha fata una figura, / No torna indrio più del relogio el razo”, ossia le lancette dell’orologio non possono più girare all’indietro. A differenza dei pittori da cavalletto abituati a lavorare per lo più nelle proprie botteghe, in ragione di questa sua prerogativa egli esplicò gran parte della sua attività in un ambito territoriale molto vasto: dall’Umbria alla Lombardia, dall’Emilia alla Liguria, oltre che naturalmente nel Veneto e nella propria terra d’origine.

Ciò gli permise di entrare precocemente in contatto con tradizioni figurative diverse e di arricchire il proprio linguaggio con stimoli provenienti soprattutto, ma non esclusivamente, dai due grandi “luminari” del secolo, Michelangelo e Raffaello. 
Purtroppo la maggior parte della sua produzione ad affresco è andata perduta; tuttavia i cicli superstiti, tra cui le imprese decorative di Cremona, Cortemaggiore e Piacenza, dimostrano che rispetto alle finezze esecutive egli privilegiò sempre la visione d’insieme e il punto di vista dell’osservatore, reso compartecipe delle vicende narrate. Inoltre si espresse al meglio quando ebbe a disposizione vasti spazi che gli permettevano non solo di dare libero sfogo al suo “furore” creativo, ma anche di dimostrare le sue indubbie capacità di regista nel comporre affollate scene d’insieme all’interno delle quali ciascun personaggio mantiene la propria individualità e il proprio peso. 

Per questo motivo le sue figure, caratterizzate da “una certa pastosa rotondità e rilievo”, appaiono sempre “staccate dal campo in cui sono dipinte” (Carasi 1780). Colte molto spesso all’apice di un gesto o di un movimento, esse introducono nelle composizioni la nozione di tempo, inteso come misura della mobile continuità degli stati. Particolarmente significativo è a tale proposito lo straordinario disegno a pietra rossa del Louvre, preparatorio per il cavaliere ripreso da tergo affrescato dal Pordenone nella grandiosa Crocifissione di Cremona, nel quale l’istantaneità dell’azione è ribadita dalle varie posizioni assunte dalla mano destra.» Per i disegni arrivati da Parigi, dispiace constatare non siano insieme a molti altri (di musei nazionali che hanno negato i prestiti) anche se quelli presenti rendono ugualmente l’idea della forza di quella mano. 

La professoressa Furlan fa notare anche i vari elementi per definire la modernità del de’ Sacchis iniziando dal rapporto con l’antico. A esempio, negli affreschi di palazzo Tinghi a Udine, dove i modelli classici sono reinterpretati e adattati al suo stile fortemente espressivo. La decorazione di palazzo Tinghi (databile tra il 1532 e il 1534) si distingue anche per l’attualità del messaggio iconografico e le scene di Gigantomachia dipinte nelle campiture verticali della facciata, di cui resta il ricordo attraverso vari disegni. Quando nel 1535 Giovanni Antonio si stabilì definitivamente a Venezia, grazie alla sua composita cultura d’immagine, all’eccellenza nel disegno che gli permetteva di dominare appieno gli effetti di scorcio e all’abilità nelle “invenzioni d’architettura” (Vasari 1568), fu visto dai contemporanei come un innovatore e la Curatrice, al riguardo, osserva: «In effetti le opere realizzate nella fase finale di attività si distinguono, oltre che per la forte impronta romanista, per il tentativo di conciliare la lezione michelangiolesca con le eleganze formali della “maniera” esperite in occasione dei suoi viaggi di lavoro a Genova e Piacenza negli anni in cui Perin del Vaga attendeva alla decorazione di palazzo Doria e Correggio era impegnato in quella della cupola della cattedrale di Parma. 

Forse alcune di queste opere tarde, come per esempio la pala destinata all’altare maggiore del duomo di Pordenone o l’Annunciazione per la chiesa del convento muranese di Santa Maria degli Angeli, eseguita in “concorrenza” con Tiziano (Vasari 1568), si possono considerare in un certo senso delle “pitture mancate” perché in esse l’artista non riuscì a raggiungere quella sintesi in larga misura manieristica di cui era alla ricerca (Bettini 1939 ). Tuttavia, tenendo presente che esse furono eseguite diversi anni prima dell’approdo a Venezia di artisti quali Francesco Salviati, Giuseppe Porta e Giorgio Vasari, si comprenderà meglio l’interesse da lui suscitato per questo suo “azzardo”

La mostra si estende anche alle testimonianze “virtuali” dei capolavori del de’ Sacchis conservati a Piacenza, Cremona e Cortemaggiore oltre a quelle del Duomo e nel Museo Civico di Pordenone, occasione per scoprire la città e il territorio provinciale attraverso itinerari tematici appositamente predisposti. Infine, il lungo lavoro condotto in questi anni dal Comune per la digitalizzazione e catalogazione del patrimonio pordenoniano in provincia, sarà fruibile dal pubblico grazie a una singolare esposizione allestita alla Galleria Harry Bertoia, che sarà inaugurata e fine anno (in quell’occasione parleremo anche delle opere dei giganti del tempo messe in dialogo da Vittorio Sgarbi che ha focalizzato sull’apoteosi dell’arte rinascimentale). 
Accompagna la mostra un prezioso catalogo edito da Skira per comprendere pienamente il fiero temperamento di Giovanni Antonio (anche attraverso gli autoritratti) e di come la sua opera si nutrì delle grandi imprese romane di Michelangelo nella volta della Cappella Sistina, ma filtrate da quelle di Raffaello nelle Stanze vaticane, un ponte ideale fra i due mondi.

Didascalie immagini
Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone

  1. Madonna con il Bambino e i santi Sebastiano, Ruperto, Leonardo, Rocco, 1513-14
    olio su tela cm. 238×162
    Vallenocello Chiesa Parrocchiale dei santi Ruperto e Leonardo
  2. Santi Martino e Cristoforo, 1527-28
    particolare di “San Martino” (scomparto sinistro)
    olio su tavola, cm. 240×150
    (misura di ciascun scomparto)
    Venezia, Scuola Grande Arciconfraternita di San Rocco
  3. Santi Martino e Cristoforo, 1527-28
    particolare di “San Cristoforo” (scomparto destro) 
    olio su tavola, cm. 240×150
    (misura di ciascun scomparto)
    Venezia, Scuola Grande Arciconfraternita di San Rocco 
  4. Veduta di una sala della mostra
  5. San Rocco tra i santi Girolamo e Sevastuano, 1511 c.
    olio su tavola cm- 143×143
    Santa Maria della Salute (sacrestia)
  6. Veduta di una ulteriore sala della mostra
  7. Santi Sebastiano, Rocco e Caterina, 1530 c.
    olio su tela cm. 173×115
    Venezia, Chiesa di San Giovanni Elemosinario

In copertina l’iimagine guida della mostra
particolare tratto dall’affresco più antico, 
la Madonna con il Bambino (1506),
all’interno del Duono di Pordenone

 

 

 

Il Pordenone. Appunti per una biografia
(courtesy prof.ssa Caterina Furlan)

  • «Giovanni Antonio de’ Sacchis – detto il Pordenone – nasce nell’omonima cittadina friulana intorno al 1483/84. Il padre, di nome Angelo, è un “magister murarius” originario di Corticelle nel bresciano; la madre una certa Maddalena, di ignoto casato. La sua educazione pittorica si svolge in ambito locale, dominato dalla figura di Gianfrancesco da Tolmezzo, che costituisce senz’altro il maggior frescante friulano prima del Pordenone e accanto al quale emergono le figure di Pellegrino da San Daniele e di Giovanni Martini: l‘uno in precoce contatto con l’ambiente ferrarese, l’altro influenzato dai modi di Alvise Vivarini. Gli esordi del pittore in “contado”, dove – stando a Vasari – si sarebbe rifugiato per “campare la vita da una mortalità venuta nella sua paria”, restano attualmente documentati soprattutto attraverso il trittico della parrocchiale di Valeriano, firmato e datato 1506, e l’importante ciclo di affreschi nella chiesa di San Lorenzo a Vacile. Le figure dei padri della chiesa campite sulla destra della volta e più ancora le mutile scene parietali attestano che sullo scorcio del primo decennio del Cinquecento il giovane Pordenone è ormai pervenuto, dalla maniera grafica e ancora quattrocentesca delle prime vele, a una concezione più moderna del fare pittorico, presumibilmente desunta da un primo, diretto contatto con il mondo lagunare. Opere successive, quali la Madonna e santi della parrocchiale di Vallenoncello (databile al 1512-13), la grandiosa pala dell’altare maggiore di Susegana (1513-14) o gli affreschi della chiesa di Sant’Ulderico a Villanova (cui l’artista attendeva nel settembre del 1514) evidenziano l’ulteriore evoluzione del suo linguaggio e il progressivo aggiornamento sugli esiti della pittura veneziana coeva che, dopo la scomparsa di Giorgione e il trasferimento di Sebastiano del Piombo a Roma, aveva trovato il suo esponente più prestigioso in Tiziano. La sintesi delle varie esperienze confluisce nella pala della Misericordia del duomo di Pordenone, eseguita su commissione di Gianfrancesco da Tiezzo nel 1515- 16. Al gruppo della Sacra Famiglia, riunito eccentricamente sulla destra, si contrappone a sinistra la figura di san Cristoforo che fa leva sulla lunga pertica per guadare il fiume. Ne scaturisce un motivo di tensione, raccolto e amplificato dal paesaggio retrostante, che accende d’una intonazione del tutto particolare quel “giorgionismo contaminato di tizianesco”, per usare un’espressione di Longhi, tipico del Pordenone in quegli anni. Limitando il ragguaglio alla pittura ad affresco, la successiva evoluzione dell’artista è attestata dalla decorazione della volta e delle lunette della parrocchiale di Travesio (per cui riceve alcuni pagamenti nel corso del 1517), dal ciclo di affreschi della chiesa di San Lorenzo a Rorai Grande (che avrebbe dovuto ultimare entro l’estate di quello stesso anno) e dal gigantesco San Cristoforo, oggi ridotto allo stato larvale, dipinto all’esterno della chiesa di San Martino al Tagliamento intorno al 1517-18. Da questo momento il linguaggio del Pordenone, sempre più espanso nella forma, avvolgente nel moto e dilato nella stesura delle campiture di colore, si avvia ad assumere quelle connotazioni magniloquenti e pletoriche che costituiranno la principale caratteristica degli affreschi della cappella Malchiostro nel duomo di Treviso (1520). Il Pordenone. Appunti per una biografia Promossa da BIOGRAFIA Tale processo, probabilmente innescato dalla conoscenza e meditazione su opere di Michelangelo e di Raffaello, ha indotto la critica a ipotizzare precoci e ripetuti soggiorni dell’artista nell’Italia centrale. I tempi e le modalità di eventuali viaggi in Umbria e a Roma – centro di irradiazione della cosiddetta “maniera moderna” – non sono stati ancora del tutto chiariti. A favore di un contatto diretto con l’arte dell’Urbe sembra comunque deporre non solo l’affresco con Madonna e santi della parrocchiale di Alviano (patria di quel Bartolomeo cui nel 1508 la Serenissima aveva infeudato la città di Pordenone appena sottratta agli Imperiali), ma anche e soprattutto le concitate scene della Passione di Cristo affrescate dal Pordenone nella cattedrale di Cremona tra il 1520 e il 1522 e contraddistinte da un linguaggio violentemente espressionistico, nel quale elementi nordici si fondono con altri desunti dalla cultura figurativa tosco-romana. Tra il momento trevigiano e quello cremonese si inseriscono alcuni importanti lavori, tra cui la pala con Madonna e santi della parrocchiale di Torre di Pordenone licenziata nel dicembre del 1521, che palesa la conoscenza di opere di Raffaello e in particolare della celeberrima Madonna di Foligno, all’epoca conservata nella chiesa romana dell’Aracoeli. Negli anni seguenti gli impegni di lavoro si fanno via via più numerosi. Tra le imprese più significative vanno ricordate le portelle dell’organo del duomo di Spilimbergo, commissionate dai signori del luogo e ultimate nel corso del 1524, insieme con gli scomparti della relativa cantoria. Secondo alcuni studiosi potrebbero risalire a questo periodo tanto la decorazione della cappella dei Pallavicino nella chiesa dei Francescani a Cortemaggiore quanto il grandioso Compianto nella stessa chiesa, che per la contenuta tragicità e la magistrale resa del corpo di Cristo costituisce uno dei massimi raggiungimenti dell’artista. Sullo scorcio del terzo decennio il Pordenone approda a Venezia, con l’incarico di decorare il coro della chiesa di San Rocco (1527-28). Contestualmente dipinge i santi Martino e Cristoforo sulle ante esterne di un armadio destinato a custodire gli ex voto che per il plasticismo delle colossali figure e soprattutto per l’ardito scorcio del san Cristoforo presentato in torsione suscitarono grande scalpore tra i contemporanei, proponendosi quale manifesto di un linguaggio nuovo che di lì a poco si sarebbe dispiegato con ancora maggiore evidenza sulla facciata di palazzo Talenti-d’Anna sul Canal Gande. All’inizio degli anni Trenta il pittore è chiamato a Piacenza, dove affronta la decorazione del tiburio della chiesa di Santa Maia d Campagna e di due cappelle laterali. Il prolungato soggiorno in città gli permise di rinsaldare i rapporti con l’ambiente artistico emiliano e in particolare con Correggio, nello stesso periodo impegnato sui ponteggi della cupola della cattedrale di Parma. Dopo una breve esperienza genovese al servizio del principe Andrea Doria, fece ritorno in Friuli, alternando soggiorni di lavoro a Venezia e consolidando la sua fama di decoratore di esterni. Questa produzione è oggi quasi completamene perduta; tuttavia di alcune facciate, come quella di palazzo Tinghi a Udine, restano numerosi disegni. A tale proposito, può essere utile ricordare che il Pordenone fu un grandissimo disegnatore e che il suo corpus grafico comprende circa un centinaio di fogli. A partire dall’estate del 1535, dopo aver realizzato una pala destinata all’altare maggiore del duomo di Pordenone popolata di figure che nella varietà di atteggiamenti tradiscono l’indirizzo manieristico delle sue ricerche nella fase finale di attività, si trasferisce definitivamente a Venezia. Qui, protetto da personaggi influenti quali Jacopo Soranzo, probabile tramite della commissione dei lavori in palazzo Ducale, la famiglia Pesaro e lo stesso doge Andrea Gritti, diviene il principale antagonista di Tiziano, ricevendo l’elogio di letterati e umanisti, tra cui Pietro Aretino e Ludovico Dolce. Sul finire del 1539, ripetutamente sollecitato da Ercole II, si reca a Ferrara per approntare una serie di cartoni per arazzi. Tuttavia poco dopo l’arrivo nella città estense, “assalito da gravissimo affanno di petto”, come scrive Vasari, “si pose nel letto per mezzo morto” e, aggravandosi di continuo, morì nel giro di pochi giorni, tra il 12 e 13 gennaio di quell’anno.»

Dove e quando

Evento: Galleria d’Arte Moderna – Parco Galvani – Pordenone
  • Fino al: – 02 February, 2020