Così menestrelli e cantastorie con le loro ballate raccontarono, di corte in corte, la triste storia d’amore, morte, di violenza e tradimenti di Rosmunda, vittima e carnefice, dolce e infedele moglie di Alboino, Re dei Longobardi. Era stata la preda più ambita, il vessillo più glorioso da sventolare sul campo di battaglia, per cui era valsa la pena di affrontare una lunga sanguinosa guerra per strapparla al padre Cunimondo, re dei Gepidi ed al promesso sposo Clodoveo, Re dei Franchi. Bella come un angelo, ingenua come l’acqua di sorgente, candida come una colomba, Rosamunda, dalla bocca rosata, Alboino volle esibirla al suo popolo, per festeggiare la vittoria longobarda. Si scelse Verona, terra di ottimo vino come luogo più adatto per solennizzare questo fausto evento. Ornata, proprio come una barbara regina, di pesanti gioielli d’oro e pietre preziose. Acconciata come una dea pagana, così Alboino presentò al popolo la sua sposa, dimostrando il suo potere non solo di condottiero vittorioso, ma anche di uomo e sovrano. In questa festa il vino correva a fiumi. L’ubriachezza era consueta nei banchetti dei barbari e Alboino, in quella occasione, trascese nel vino oltremodo.
Dopo che egli ebbe vuotato molte coppe di spumante vino italiano, ordinò che gli si recasse l’ornamento più nobile e prezioso della sua mensa: il cranio di Re Cunimondo, che, come ci dice ancora lo storico (Oscar Pio in Vita delle imperatrici romane. Ed. Nerbini Firenze 1988) era stata artisticamente trasformata in una coppa ornata d’oro e argento. Tutti a questa festa erano un po brilli. Il vino frizzante delle colline veronesi cominciava a fare il suo effetto. All’apparire del macabro trofeo, simbolo della vittoria sui Gepidi, tutti applaudirono selvaggiamente, mentre, i capitani gloriosi si passavano la coppa inneggiando al recente trionfo. Anche Alboino godette di questa atmosfera gioiosa, e come dice un antica ballata, alzando al cielo l’orrido calice, appena svuotato disse ai servi : “colmate nuovamente la coppa fino all’orlo e porgetela alla regina, affinchè beva….con suo padre” e guardandola negli occhi aggiunse : “ Bevi Rosmunda bevi per me il suo sangue, per te il mio vino!”. La bella chiuse gli occhi e rispose: “Sia fatta la volontà del mio signore”. Dopo il malefico brindisi, Rosmunda sembrava domata, remissiva, rassegnata, ma cadde in un tale stato di frustrazione e sconforto da toccare anche il cuore di pietra di Alboino, della corte, dei sudditi, ormai anche loro innamorati della candida colomba, rapita al nemico Cunimondo. Aveva lo sguardo spento, non proferiva parola, non mangiava, aveva perso ogni interesse…ed anche abbandonato il talamo coniugale. A corte vennero consultati, inutilmente, veggenti e archiatri illustri. Anche i cuochi di Palazzo che si vedevano respingere i più succulenti bocconcini, preparati, con amore, per la bella disappetente regina, decisero di fare qualcosa per la sua salute. Si consultarono e decisero che era il momento di una gastronomica soluzione choc: preparare una salsa così nutriente e stuzzicante da resuscitare anche un morto! Raccolsero le cose più salutari, stimolanti, corroboranti, eccitanti che trovarono nelle loro dispense e nelle regali riserve di rare spezie d’Oriente, e si misero all’opera: midollo di bue, pregiate misture di spezie profumate e pepe, tanto pepe…di tutti i colori, di cui già si favoleggiava il potere rinvigorente, ma anche le afrodisiache virtù.
Da tanto impegno venne fuori una specie di bomba, una mistura esplosiva, un overdose di energia a cui dettero il nome di Pearà dal tanto pepe che vi avevano adoprato. Fiduciosi della loro ricetta confidando nel magico potere attribuito alle spezie e al portentoso pepe, sottoposero la loro salsa, all’esame del delicato palato di Rosmunda, dalla bocca rosata, accompagnando le tenere carni fumanti dei loro famosi bolliti, per cui i longobardi sono passati alla storia della gastronomia. La bella triste sovrana, apprezzò, gustò, si compiacque, si congratulò con la brigata di cucina e….chiese il bis! A poco a poco riacquistò l’appetito, anzi….tutti gli appetiti! Riacquistate le forze la candida colomba, la tremante fanciulla rapita al padre, si trasformò in una vera e propria circe, in una specie di dark lady, tutta sesso, violenza il cui pensiero fisso era: la vendetta. Secondo gli studiosi di tradizione locale fu proprio la carica detonante di questa salsa infuocata a scuoterla dalla malinconia e a scatenare in lei una guerra di ormoni e velenosi sentimenti di rappresaglia contro il consorte. Concepì per benino il suo piano per liberarsi dell’odiato Alboino, servendosi del più fido dei fidi scudieri del marito. Scelse proprio lui Elmigisio, che già irretito dalla sua grazia, aveva perso la testa per lei. Il drudo, così lo definiva la storia, si cercò un compare e insieme sfidarono il destino del re dei Longobardi. Colto all’improvviso nella sua camera da letto, Alboino cercò invano di difendersi….con uno sgabello non potendo sguainare la sua gloriosa spada, perché la ormai non più candida colomba, l’aveva fissata al fodero.
Liberatosi dell’odiato sposo, con l’oro (tanto) dei forzieri reali, con il nuovo amante Elmigisio, inseguita dai longobardi inferociti, Rosmunda si rifugiò a Ravenna. Qui governava l’esarca Longino in nome dell’imperatore d’Oriente, che accolse la fuggitiva allettato dalle sue grazie ma anche dalle grandi ricchezze che portava con se. Ma il finale di questa storia non fu con il “….e vissero felici e contenti” anzi tra Longino e Rosmunda stava nascendo un ben promettente flirt e Elmigisio era ormai di troppo. Allora, niente di meglio che una coppa di vino dolce condito con qualche goccia di potente veleno, offerto con allettanti lusinghe e promesse di un indimenticabile notte di passione per risolvere rapidamente l’ormai insopportabile triangolo d’amore. Elmigisio, ormai cotto a puntino, cadde nella trappola, ma al primo sorso, si accorse dell’inganno e sguainata la spada (questa volta non fissata al fodero) la puntò alla gola della bella traditrice e la costrinse a bere il veleno insieme a lui. Al mattino, i servi li trovarono morti stecchiti fra le seriche lenzuola del loro letto d’amore.
Così la tragica fine della bella Rosmunda e dei suoi intrighi d’amore e morte correvano con le rime di cantori, di corte, di castello in castello, di magione in magione suscitando sdegno e raccapriccio e qualche lacrima di commozione e pietà, ama anche molta ma molta curiosità per la ricetta dei cuochi longobardi, di quella salsa che aveva scatenato tanto pandemonio. Così troviamo che la “pearà” uscita dalla famosa cucina di Alboino, rivive in una ricetta trecentesca con nome di “peverada” con l’aggiunta di fegato che nell’antichità era considerato sede della forza (da cui…avere fegato). Ma addirittura il cuoco tedesco di Papa Martino IV (1360-1431) Giovanni Bockenheym nel suo “Registro di cucina” propone una salsa molto simile che chiama “pepata negra (Piperatum nigrum)” per carne e pesce e, per i bon ton ci indica anche a chi è riservata: pro magnatis….per i dignitari!
La leggenda della poderosa salsa dei cuochi di Alboino con la vicenda d’amore, sesso, violenza e morte ha valicato contrade e tempi arrivando fino a noi col fascino e il mistero che spesso uniscono storia e tradizione….anche in cucina.
Dettagli
Particolare che raffigura Alboino mentre porge a Rosmunda l’orrido calice (fonte) Una immagine che raffigura Alboino mentre porge a Rosmunda l’orrido calice (fonte) Ancora una immagine che raffigura Alboino mentre porge a Rosmunda l’orrido calice (fonte) L’assassinio di Alboino, re dei Longobardi di Charles Landseer (1856) (fonte) Copertina del volume La Cucina di Papa Martino V di Giovanni Bockenheym, edito da Mondadori nel 1955. A cura di Giovanna Bonardi – serie di gustose ricette con testo originale latino a fronte.